[ 1.
Chiesa e mass-media ] [ 2.
Verso un marketing del sociale ] [ 3.
Comunicare l'invisibile ] [ 4. Solidarietà e inganno ]
[ 5.
I soldi dei poveri per fare informazzione ] [ 6.
La testata informativa "Caritas Insieme" ] [ Un
pò di storia ]
Per Caritas Ticino fare informazione vuol dire anche, in sintonia con il magistero
della Chiesa, educare l'ascoltatore a discernere dentro la valanga di notizie
che i media danno quelle autentiche da quelle false. In altre parole una capacità
di giudizio.
Non ci sono mai stati tanti programmi di "solidarietà" come
in questi anni: sui quotidiani troviamo gare di solidarietà per salvare
i bambini vittime delle guerre, la TV e la radio celebrano il coraggio dei volontari
oppure la generosità dei donatori. Il portatore di handicap, con le sue
patologie, è da svariati anni al centro di una non stop di raccolta di
fondi, le tombole e i giochi a premi fanno più audience se il ricavato
è devoluto ai più sfortunati, persino le star del rock o del cinema
cantano e recitano per gli ultimi. Ecco la nuova solidarietà: cuore e
sentimenti formato business e spettacolo. C'è chi sostiene che va benissimo
parlare di povertà, fame e miseria tra gli artificiali sorrisi delle
presentatrici che propongono tra un dramma e l'altro la promozione di un detersivo
oppure del cibo per gatti. L'alternativa sarebbe di non parlarne affatto. Ma
esistono due differenti tipi di messaggi:
1. Il primo consiste nella divulgazione di un progetto, al fine di raccogliere
dei fondi. In questo caso anche lo show televisivo è lecito, anzi utile
poiché, trenta secondi di promozione all'interno di un varietà
guardato da milioni di persone equivalgono, dal punto di vista della diffusione
di un'informazione, a migliaia di conferenze in gruppi parrocchiali e missionari.
2. Il secondo tipo di messaggio, invece, non mira solo alla raccolta di fondi
ma cerca di fornire alcuni strumenti per una presa di coscienza dei gesti solidali,
in altre parole promuove un'educazione alla solidarietà. In questi casi,
lo spettacolo è un insulto alla sofferenza e alla miseria degli uomini
e banalizza il concetto di solidarietà. La promozione di una società
più solidale non può quindi utilizzare solo gli spazi già
esistenti ma deve poter sviluppare un suo specifico per non cadere nello spettacolo
di tipo umanitario.
I media sono un'opportunità per la solidarietà perché l'informazione "coincide con un elemento fondamentale della democrazia. In assenza di informazioni uno è più povero, e più povero significa che è più soggetto agli altri. In assenza della possibilità di comunicare uno è più povero perché non può trasmettere se stesso, non può dar notizia agli altri dei propri valori e in qualche modo è più isolato" . Ma non basta dar voce agli ultimi, un'informazione volta a promuovere un mondo più solidale offre occasioni di riflessioni, strumenti di analisi, affinché il dar voce a chi non ne ha permetta di creare un dialogo e una maggiore comprensione della problematica. Paradossalmente un dar voce generico, inserito in gare di solidarietà, dove ad attirare le attenzioni del pubblico non sono le situazioni di ingiustizia, fame o miseria, ma l'aumento del montepremi e il raggiungimento di nuovi record di donazioni, non danno voce a nessuno, anzi mettono a tacere tutti. La miseria di milioni di persone viene soffocata sotto il peso dei soldi raccolti e alimenta in noi la certezza che un mondo più solidale può essere comperato grazie alla nostra generosità.
Le attenzioni giornalistiche collegate alle problematiche umanitarie o sociali
rientrano in una logica disarmante: una spruzzatina di drammi del mondo non
guasta mai, interessa e fa audience. L'approfondimento, invece, è possibile
solo quando l'umanitario assume dimensioni bibliche o finisce sulla cronaca
nera distorcendo così la realtà. Un esempio: quando l'Africa finisce
in TV è per veicolare immagini di bambini con il ventre gonfio, uomini
che brandiscono un macete, donne analfabete e sottomesse. Come farebbero senza
di noi?
Non è possibile passare dai volti sofferenti in TV di un popolo che muore
di fame, al primo piano del fiocco rosa appeso alla gabbia di un elefantino
nato in cattività. Le cronache dal Terzo Mondo, suscitano emozioni, commuovono
il pubblico allo stesso modo di due occhi grandi di un cucciolo di foca o del
tenero passo di un elefantino appena nato. Questo è solo spettacolo,
un tocco esotico che i diversi da noi ci regalano. Italo Calvino nelle sue Lezioni
Americane scriveva: "Gran parte di questa nuvola di immagini si dissolve
immediatamente come i sogni che non lasciano traccia nella memoria, ma non si
dissolve una sensazione di estraneità e di disagio. Ma forse l'inconsistenza
non è nelle immagini o nel linguaggio soltanto: è nel mondo...
rende tutte le storie informi, causali, confuse, senza principio né fine".
La povertà deve scioccare, sconvolgere, non è ammesso un silenzioso
e raccolto sentimento di rispetto verso la sofferenza. In un campo profughi
vogliamo vedere bambini spaventati, sofferenti, senza giocattoli, non persone
che, nonostante le drammatiche situazioni combattono e vivono con dignità
la loro dura realtà. Ci accontentiamo di appagare la nostra curiosità
con delle immagini senza fare uno sforzo per capire l'origine di quello che
vediamo.
La solidarietà scatta su un principio semplice: dobbiamo vedere il dramma
con i nostri occhi. Ma occorre fare i conti con il mercato. Il dramma infatti
dal punto di vista mediatico durerà solo pochi giorni, di conseguenza
le immagini devono essere accuratamente selezionate, secondo la sensibilità
e le aspettative del pubblico.
Non bisogna infatti dimenticare un'altra regola della solidarietà business,
"Non più di un dramma alla volta" . Il principio dell'innocenza
della popolazione colpita da un dramma è un terzo fattore scatenante
la nostra solidarietà. Siamo più sensibili ai terremotati armeni,
rispetto ai terremotati iraniani perché quest'ultimi generano il fantasma
collettivo del fondamentalista islamico che mette le bombe nei mercati.
In presenza di questi ingredienti, si aggiungono un po' di immagini stereotipate
della povertà e della miseria e con la dovuta semplificazione della problematica
nasceranno le nostre forme di aiuto più o meno inutili: paracaduteremo
sui campi profughi tonnellate di giocattoli che i nostri figli non adoperano,
oppure andremo al concerto rock in favore degli affamati con il sentimento che
abbiamo contribuito, nel nostro piccolo, alla risoluzione del dramma. In seguito
il problema svanirà nel nulla e non lascerà più traccia
né sui giornali né alla TV.
Rony Brauman, presidente di "Médecins sans frontières"
dal 1982 al 1994, descrive molto bene gli ingredienti indispensabili per trasformare
un dramma in spettacolo . Rony Brauman ricorda a questo proposito i fatti successi
in Etiopia nel 1984. La fame faceva strage e i media sollevarono un'immensa
ondata di solidarietà. Nessuno si domandava la causa di una situazione
simile, tutti celebravano il successo di un'operazione di salvataggio che ha
permesso di raccogliere tonnellate di viveri e medicinali trasportandole nelle
aree colpite dalla carestia. Pochi capirono che lo spostamento di centinaia
di migliaia di uomini provocato dalla fame, era un'arma nelle mani di un governo
che cercava di sterminare migliaia di persone. Paradossale il fatto che proprio
lo stesso governo etiope fu elogiato per la modalità in cui affrontò
la crisi, convogliando i disperati verso i centri di distribuzione degli aiuti.
In questi luoghi, centinaia di migliaia di persone furono rapite dalla milizia,
separate dai famigliari e deportate al sud del Paese. "In una passività
complice e quasi generale, più di 700'000 persone furono rapite in pochi
mesi sotto gli occhi di coloro che venivano per aiutarle. Almeno 200'000 (...)
sono morte, mentre tutto il pianeta si inteneriva davanti alla propria generosità,
cantando We are the world" . Siamo il mondo cantavamo, ma quello descritto
da Todd Gitlin: "Un mondo in cui le guerre tra alcuni sono uno spettacolo
per altri" .
È insito nella natura umana, siamo convinti che un fatto sia reale perché
l'abbiamo visto con i nostri occhi, purtroppo il mezzo televisivo è virtuale
come tanti altri e di conseguenza non può esistere la notizia oggettiva.
"Esiste al contrario la manipolazione della realtà perché
assuma forma di notizia" come affermato da Paolo Brivio . Molte manipolazioni
non sono nemmeno disoneste, sono solo un tentativo soggettivo di lettura di
una realtà, interpretata in maniera errata o semplicemente semplificata.
La televisione guardata distrattamente oppure utilizzata come strumento formativo
plasma le nostre scelte, gli orientamenti culturali e educa i nostri giudizi.
Così ci viene mostrato un mondo fatto di luoghi comuni che noi assimiliamo
come reale.
Ecco perché chi desidera veicolare un messaggio, dalla vendita di un
detersivo alla promozione di una società più solidale, non può
sfuggire dalla "galassia dei media" e dovrà familiarizzarsi
con queste tecniche elaborando strategie di comunicazione.
Daniele La Barbera, della Facoltà di Medicina di Palermo (Cattedra di
Psicoterapia), non esita a definire questi atteggiamenti come infantili e patologici
e aggiunge "In una dimensione temporale che privilegia il consumo dall'esperienza,
piuttosto che il suo vissuto profondo e che tende a dilatarsi sempre di più
nel presente, tutto passa molto in fretta ed è cancellato completamente,
sia nella vita del singolo, sia in quella delle mode, dei gusti delle ideologie.
Nella civiltà dell'effimero e della non permanenza, svuotata di ideali
e dominata dal desiderio, sarà allora indispensabile trovare nuovi modi
e nuovi canali per risignificare la relazione umana, l'incontro, il valore della
storia e del passato (...). Sarà fondamentale il recupero di una dimensione
simbolica che restituisca alla vita senso, scopi, consapevolezza e tensione
morale, che riscopra il senso del vivere e del morire all'interno di un universo
simbolico e che apprezzi assieme al senso del limite, il rapporto ineludibile
tra gioia e dolore come indispensabile elemento maturativo della personalità
umana."
Trovare nuovi modi e nuovi canali non significa spegnere internet e la TV ma
cercare, proprio con questi strumenti, di veicolare messaggi che sappiamo ricondurci
ad una vita reale. Nell'introduzione di un interessante libro edito dalla Piemme
, Geraldo Fazzini affermava che "oggi non possiamo più permetterci
il lusso di chiederci se i mass media servano o meno alla causa della solidarietà.
Il fatto è che nella civiltà della comunicazione ci siamo immersi
fino al collo. Con tutte le conseguenze del caso." Il flusso delle informazioni
diretto ai giovani, garantito fino a vent'anni fa dalla scuola, dalla famiglia
e dalla Chiesa oggi è assicurato dai mezzi di comunicazione. Per gli
adulti, i mass media sono una delle poche vie informative e formative, quindi
la questione non è se i mass media siano buoni o cattivi, ma semmai è
come utilizzarli in modo intelligente.
Per promuovere la solidarietà non è sufficiente mettere una telecamera
in faccia a chi non ha voce o un microfono che amplifica l'urlo della miseria
umana. Le immagini stereotipate degli show televisivi, il ragazzo in carrozzella,
le donne africane con il seno prosciugato che cercano di allattare il bimbo
affamato, sono una forma di spettacolo che attira l'attenzione per un meccanismo
più vicino al voyeurismo che alla solidarietà. Questa è
una forma di "carità" che zittisce tutti, la voce dei disperati
e la nostra coscienza.
I responsabili dell'informazione non possono nascondere la verità del
mondo. E l'evangelico "ditelo sui tetti " si deve trasformare in ditelo
nei microfoni davanti alle telecamere, sulla pagina Web, in radio e sui giornali.
E chi ascolta ha il dovere di ricercare la verità, sondando il reale.
Dar voce significa creare le condizioni affinché ci sia un vero ascolto,
e soprattutto un confronto, perché le parole dell'altro entrando nelle
case di tutti possano essere un incontro di nuove realtà, pensieri e
culture.
A questo proposito diceva Mons. Bello: "Il marocchino, il tossicodipendente,
l'altro in genere, non sono solo destinatari della nostra esuberanza oblativa.
Sono soggetti che hanno da darci anche loro qualcosa".
È appunto la dimensione del riconoscimento della libertà e del
valore dell'altro, come persona unica, che permette di aumentare la solidarietà
che va oltre la spettacolarizzazione del diverso o la donazione di soldi. La
solidarietà oltrepassa tutto questo e i media sono una occasione per
comunicarlo. Questa è la modalità intelligente di comunicare con
cui Caritas Ticino cerca di dialogare con il suo pubblico.