La
VERITÀ di
un pensiero inattuale
Un
libro postumo di Mons. Isidoro Marcionetti
Di
Don Graziano Borgonovo
Mi sono imbattuto in Mons. Marcionetti solo poche volte,
incrociandolo per via Nassa negli ultimi anni della sua esistenza terrena, lui,
venerando parroco della chiesa di Santa Maria degli Angeli, e io, giovane professore
della Facoltà di Teologia di Lugano. È stata per me una piacevole sorpresa il
venir a conoscenza delle omelie da lui pronunciate alla Radio della Svizzera
Italiana niente meno che quarant’anni fa e di recente pubblicate nel primo anniversario
della sua morte. Mi sono parsi pensieri profondi e veri; profondamente veri
e profondamente inattuali; bisognosi dunque di essere meditati proprio oggi,
perché la nostra "attualità" di cattolici di inizio terzo millennio
sia un po’ meno cedevole rispetto alle mode correnti di pensiero (già in voga
negli anni Sessanta, ben inteso!) e un po’ più preoccupata della mai vecchia
"verità" (che parola inattuale!), così incisivamente presente in tutte
le meditazioni di Mons. Marcionetti. Mi sono perciò detto: prendo la penna (ohibò!,
almeno qui è necessario non essere troppo inattuali e ho dunque preso,
anziché la penna, il computer), introduco brevemente e faccio conoscere questo
bel libro meritevole di non passare subito nel dimenticatoio. E in quale altro
modo presentarlo, se non concedendogli di parlare direttamente? Ho allora scelto
qualche brano pescando tra i passaggi più persuasivi e provocatori ...
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"V’è tendenza, oggi, a ritenere che tutte le religioni siano suppergiù egualmente buone: strade diverse, che conducono alla stessa meta; e che un uomo non sarà giudicato da Dio per quel che ha creduto, ma per il come ha vissuto. Questo, che chiamiamo "indifferentismo religioso", è contrario alla ragione e alla rivelazione. Per potere affermare che ogni religione conviene all’uomo, bisognerebbe provare che è indifferente a Dio il culto che gli uomini gli debbono. Gesù Cristo, Uomo-Dio, ha sconfessato nella maniera più categorica ogni tentativo di ridurre la religione al beneplacito dell’uomo... L’indifferentismo religioso trae le sue origini dal soggettivismo in materia di fede, che erige il "giudizio personale" a norma suprema della vita religiosa. Esso è diventato la filosofia comune della religione tra le grandi masse. L’indifferentismo serve a cullare in una falsa sicurezza il pensiero, tenendolo lontano dalla rigorosa ricerca della verità oggettiva. Dire che tutte le religioni si equivalgono è affermazione contraria ai principi della logica e del senso comune. La logica vuole che affermazioni contrarie non possono essere, al tempo stesso, vere. Se una è vera, quella contraria è falsa. Negare questo principio vuol dire negare all’uomo la possibilità di ragionare. Questo criterio, valido in ogni campo, perché non dev’esserlo anche in religione?" (da: Il volto della sua Chiesa, pp. 110-113).
"Rispondere all’interrogativo: 'Perché sono cristiano e non di una religione diversa?', semplicemente col dire di esser nato e di esser stato educato, poniamo in Svizzera o in Italia, anziché in India, in Cina o alla Mecca, significherebbe non tanto che io non conosco l’induismo, il buddismo o l’islamismo, ma che non ho capito affatto il cristianesimo. Porre, oggettivamente, tutte le religioni sullo stesso piano vuol dire non conoscere cos’è il cristianesimo. Si può dir subito con Danielou che la differenza essenziale tra il cristianesimo e tutte le altre religioni è che "le altre partono dall’uomo" e sono un tentativo commovente, talvolta bellissimo, di elevarsi alla ricerca di Dio: ma soltanto nel cristianesimo avviene il movimento inverso, la discesa di Dio verso il mondo per portargli la comunicazione della vita. La vera religione, il cristianesimo, è quella costituita da questi due elementi, quella in cui alla chiamata dell’uomo ha risposto la grazia di Dio" (da: Superiorità del Cristianesimo, pp. 234-237).
"Noi cattolici sappiamo di essere nella religione vera. Lo dimostriamo a tratti essenziali: Gesù è Dio; Gesù ha fondato sulla roccia, che è Pietro, la sua Chiesa gerarchica; ad essa ha dato il potere di perdonare i peccati, la promessa di infallibilità, l’assistenza sicura del suo Spirito. Ciò che la Chiesa insegna, comanda, condanna, Gesù l’insegna, comanda e condanna. Obbedire alla Chiesa vuol dire obbedire a lui... La morale cattolica, considerata in se stessa, è la morale di vita e di santità; il dogma cattolico è il codice certo, unico e completo di ciò che dobbiamo credere come rivelato da Dio; il culto cattolico è quello che Dio attende, esige, riconosce come culto autentico e perfetto. Ma quanti cattolici, pur vivendo nella religione vera, meriterebbero il rimprovero di Cristo! Cattolici che "posano"... Cattolici "superficiali"... Cattolici di "abitudine"... Cattolici malati di "devozionalismo"... Cattolici "incoerenti"... Cattolici "egoisti"... Da queste considerazioni taluni potrebbero sentirsi autorizzati a concludere che dal momento che vi sono cattolici cattivi, la religione cattolica non è vera. Sbaglierebbero. La religione cattolica, come la verità, è vera perché vera in se stessa, accettata, quindi, o non accettata, praticata bene o praticata male. Già troppo la Chiesa del Signore ha sofferto dal giorno in cui, e sono 400 anni, s’è creduto di doverla riformare nei suoi principi e nelle sue divine istituzioni perché di riforma potevano aver bisogno gli uomini che mal la rappresentavano ..." (da: Religione vera ..., pp. 83-85).
"Che pensare del sincretismo? È senza dubbio seducente, riconosciamolo. Ci troviamo il rispetto della diversità, il rispetto di diversi tentativi dell’uomo nella sua ricerca della verità. Osserviamo, tuttavia, che il riconoscere i valori di ciascuna religione non obbliga affatto ad adottare una prospettiva sincretistica. Di più, vi sono nelle varie religioni differenze che non sono convergenti, ma assolutamente divergenti, e su punti essenziali. L’affermazione, spesso ripetuta, secondo la quale tutte le religioni insegnano la stessa cosa, si rivela, quindi, inesatta. L’unità della verità non esiste più nel fatto e neppure nel diritto; e l’uomo, fermato nella sua marcia verso la verità, è obbligato ad accontentarsi di una specie di scetticismo. Questo scetticismo sarà più spesso l’agnosticismo classico di molti nostri contemporanei e che così s’esprime: "Noi non ci rifiutiamo di aderire alla verità, ma crediamo che non sia possibile arrivarci e dobbiamo ritenerci soddisfatti delle nostre certezze soggettive". L’oggettività consisterebbe in una convergenza delle nostre certezze, ma questa convergenza non è che parziale. Certo, noi possiamo essere dei sincretisti, ma la nostra esigenza razionale non esce soddisfatta da questa coesistenza in noi di concezioni divergenti. La questione cruciale è, evidentemente, di sapere se esiste o meno una trascendenza nel senso assoluto del termine; se, cioè, esiste un Dio unico, dal quale dipendiamo e al quale siamo legati da una religione che, per esser vera, dev’essere unica" (da: Religione..., pp. 201-204).
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Colpisce la capacità argomentativa, l’uso sicuro della ragione che traspare da queste battute. Proprio di usare rettamente la ragione abbiamo oggi bisogno, più del pane che mangiamo. Ma per questo, forse, abbiamo anche bisogno di non crogiolarci in "complessi di inferiorità", rispetto al mondo "laico", alla cultura "secolarizzata" o a qualsiasi pur nobile forma di percorso religioso, allorché si tratta di professare il dono della fede cattolica o di esplicitarne le conseguenze a livello di giudizi culturali pubblici. Perché fede e ragione "sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità". L’insegnamento di Mons. Marcionetti, con i suoi "pensieri inattuali", resta attuale quarant’anni dopo, proprio in forza di quella verità che è l’anelito perenne della ragione umana.