La
punta dell'iceberg che non c'è I
casi di povertà materiale che si manifestano in Ticino come emergenze a cui
bisogna rispondere
con urgenza tamponando con "soldi" una situazione finanziaria precaria,
sono definiti da alcuni addetti ai lavori "la punta dell’iceberg".
A Caritas Ticino continuiamo a provare a guardare sott’acqua ma l’iceberg proprio
non riusciamo a trovarlo. Forse non guardiamo abbastanza bene sul fondo, forse
non siamo così veloci nel tuffarci o forse, oltre alla punta, non c’è nient’altro,
la montagna di ghiaccio non è sommersa, l’iceberg semplicemente non c’è.
Di Roby Noris
Chi parla di punta emergente dell’iceberg credo sia male informato
o si adagi sui luoghi comuni che popolano sia la galassia Gutemberg sia il villaggio
globale televisivo. Chi si piega su un problema sociale rischia di cadere nella
trappola del sensazionalismo e del catastrofismo, come se a dare lustro e credibilità
al proprio impegno fosse la grandezza della catastrofe, meglio se di dimensioni
planetarie. Dire che ci si occupa di povertà materiale in Ticino e che si è
contenti di non essere confrontati con un fenomeno dilagante, esplodente e senza
controllo, suona stonato ad alcune orecchie che probabilmente vorrebbero affondamenti
titanici per sentirsi utili e necessari. Caritas Ticino preferisce invece adoperarsi
per evitare i piccoli affondamenti, che anche se sono pochi e rari sono pur
sempre troppi, perché anche solo un povero è già un povero in più del necessario.
Il collega Dante Balbo, responsabile del nostro servizio sociale, nelle pagine
che seguono, a questo proposito scrive "che la povertà come la intendiamo
classicamente, è un evento raro"
Affermare che
in Ticino lottiamo contro un fenomeno contenuto, che non sta esplodendo, che
ciò che incontriamo non è la punta di nessun iceberg, e che non si sta smantellando
lo stato sociale, non significa affatto che ci si possa permettere di abbassare
la guardia nella lotta alla povertà. Significa solo che la povertà materiale
è abbastanza sotto controllo e lo è soprattutto relativamente a molte altre
realtà socio economiche del nostro pianeta, senza andare a fare inutili confronti
coi paesi del Terzo Mondo. Del resto qualunque stato sociale avanzato cerca
di mettere sotto controllo i fenomeni legati alla povertà materiale che di fatto
non esplode e non supera i limiti che si considerano semplicemente come massimo
consentito. In Svizzera, ad esempio, non è permesso l’accattonaggio e la scelta
di vivere da barboni è impossibile, semplicemente perché il controllo sociale
è elevato e in men che non si dica l’aspirante o il neobarbone farà i conti
coi servizi sociali competenti che gli impediranno di dormire in un cartone
o sopra le griglie di aerazione del metro. I pochi casi di Zurigo o Ginevra
sono solo smarginature di un sistema comunque sotto controllo. In altre parole
nei paesi ricchi con un sistema di protezione sociale avanzato, la povertà materiale
si manifesta solo fino a quando si decide che è diventata "insopportabile":
la situazione più emblematica è forse quella di New York dove una decisione
"politica" del famoso sindaco Giuliani ha cambiato in pochi anni la
faccia di Manhattan da cui sono scomparsi completamente i poveri che sono stati
sostanzialmente scacciati. In Svizzera invece si è messa sotto controllo la
povertà materiale garantendo di fatto, con forme diverse, il minimo vitale a
tutti.
Ma sarebbe fatale credere che la povertà sia finita: solo la povertà materiale,
quella estrema, è sotto controllo, rimane invece un’ampia gamma di forme di
emarginazione da debellare che sono ben più difficili da eliminare. Con i soldi
si può vestire, dare un tetto e da mangiare a tutti, ma non si comprano i cambiamenti
di mentalità, la dignità perduta, la possibilità di esprimere le proprie capacità,
un posto nella propria comunità di appartenenza, la via d’uscita dai vicoli
ciechi della droga, dell’alcool e della depressione. Questa realtà gigantesca
di sofferenza, di mancanza di senso e di speranza, sono la punta di un altro
iceberg di cui non si parla abbastanza, la vera sfida che non si vince distribuendo soldi ma ricominciando ogni giorno
a costruire una società diversa.