Il
vangelo in televisione
Chiesa
e
mass-media
Di Dante Balbo e Roby Noris
La
Chiesa si muove, con ritmi e tempi diversi, verso la comunicazione elettronica.
Vi sono esperienze coraggiose come la televisione satellitare Sat 2000 dei Vescovi
Italiani o la nuova KTO sempre su satellite del vescovo di Parigi e posizioni
più prudenti come quella espressa nel documento sugli strumenti della comunicazione
sociale dei vescovi svizzeri.
Caritas Ticino si è piegata su questo documento e ha inviato alla conferenza
episcopertine/copale le sue osservazioni a partire dall’esperienza televisiva quinquennale
di Caritas Insieme su TeleTicino con cui collabora e di cui è azionista. In
vicinanza alla giornata delle comunicazioni sociali proponiamo ai nostri lettori
qualche passaggio del documento dei Vescovi e alcuni stralci della nostre osservazioni
come spunto di riflessione. Ci preme che di fronte alla chiusura davanti a esperienze
come la nostra da parte di addetti ai lavori in ambito cattolico, rimanga aperto
almeno uno spiraglio di possibilità che la riflessione non sia definitivamente
chiusa su posizioni monopolistiche ormai completamente anacronistiche anche
se, come sempre, vincenti.
Un doveroso ringraziamento per il sostegno a Caritas Insieme e un particolare
riconoscimento per il coraggio di posizioni aperte e lungimiranti sulla comunicazione
televisiva, non certo facili da difendere in Ticino e in Svizzera in generale,
vanno al nostro vescovo Mons. Giuseppe Torti di cui riportiamo nel riquadro
l’ultima intervista rilasciata alle nostre telecamere.
Estratti
dal documento della Conferenza Episcopertine/copale Svizzera: "Piano pastorale
per la comunicazione e i media nella Chiesa Cattolica in Svizzera"
4.4.
Nella cultura dei media, un impegno concepito come una diaconia: |
Osservazioni di Caritas Ticino al "PIANO PASTORALE PER LA COMUNICAZIONE
E I MEDIA NELLA CHIESA CATTOLICA IN SVIZZERA"
Il documento
preparato dalla Commissione dei media e fatto proprio dalla Conferenza Episcopertine/copale,
riveste un interessante carattere di novità, nel suo intento, in quanto il primo
ad occuparsi specificamente di rapporti fra Chiesa e Mass media in modo sistematico.
Ci sembra molto positivo il riferimento al magistero, così come la lucida analisi
dell’evoluzione del mercato dei media alle soglie del terzo millennio.
Il cuore, la diaconia (4.4 piano pastorale)
Il centro del
messaggio è costituito dalla dimensione di diaconia che viene attribuita giustamente
alla Chiesa nel suo rapporto con i media.
La nostra sensibilità vocazionale ci imporrebbe di dare più ampio spazio nel
documento a considerazioni relative alla nuova povertà, non intesa in senso
materiale, ma culturale e antropologico.
Vi si accenna nel documento quando si parla di pre-evangelizzazione, ma purtroppo
il tema non viene sviluppato.
Si sottolinea l’importanza del dialogo e dell’apertura della Chiesa nel suo
approccio ai media, tenendo ai margini invece l’aspetto di contributo essenziale
che la Chiesa può dare in questioni d’importanza vitale per il futuro stesso
dell’umanità.
Si pensi ad esempio alla posizione della Chiesa sulla famiglia e sulla regolazione
delle nascite in cui i valori evangelici della dignità umana o del rispetto
della vita o della inviolabilità dell’unione coniugale sono patrimonio prezioso.
Praticamente la Chiesa è sola a difendere queste posizioni in un occidente scristianizzato
e incapace di produrre soluzioni umanamente valide anche nei confronti dei paesi
in via di sviluppo.
Persone, non individui
Ci pare singolare
che una delle priorità indicate come servizio-diaconia della Chiesa sia la difesa
degli "individui" e della loro sfera privata.
Poiché il linguaggio della Chiesa nei documenti deve essere attento alle proprie
valenze mediatiche, si nota che nel messaggio compare sempre il termine "individuo"
e non "persona".
Il riferimento poi alla sfera privata, implica una concezione privatistica ed
individuale, lontana dal concetto di persona, cioè di uomo inserito in una comunità,
originale contributo della cultura cristiana, oggi più necessario che mai.
Pubblico non é statale
Subito dopo,
sempre al punto 4.4 (C) si elogia il ruolo della televisione e radio pubblica,
da un lato giustamente, sottolineandone l’aspetto di garante del pluralismo,
non soggetto alle tensioni di interessi privati, ma ponendolo come scelta precisa
di sostegno da parte della Chiesa, come se pubblico coincidesse con statale.
Ricordiamo a questo proposito, ad esempio, che la stessa televisione statale
ha riconosciuto il ruolo delle emittenti private accettando che ricevessero
almeno le briciole dei proventi del suo privilegio monopolistico.
Questo in ragione del fatto che gestione privata non significa assenza di servizio
al pubblico, del resto necessario anche per poter soddisfare esigenze di mercato.
Se un’emittente privata non avesse rilevanza pubblica, non avrebbe pubblico.
Ci sembra altresì strano questo elogio, alla luce del documento stesso che notava
come i rapporti fra Chiesa e media elettronici sono soggetti a mutamenti continui
e che la tendenza è quella della creazione da parte dei media stessi di proprie
redazioni religiose, che farebbero capo alle agenzie cattoliche solo in termini
di consulenza e partenariato, ponendole alla stregua di altri partner nel vasto
mercato.
L’indicazione di una scelta per una televisione o comunque media pubblico, se
intesa come statale, dovrebbe a nostro giudizio essere meno marcata, contestualmente
all’orientamento dello stesso documento che, in altre parti (vedi punti 5 e
6), sottolinea la necessità di attenzione alle realtà locali e regionali e alla
possibilità di collaborazione con altre istituzioni e agenzie mediatiche a carattere
locale e privato.
Questa posizione, le cui conseguenze sono per noi tangibili, nel rifiuto di
un contributo da noi chiesto alla "Domenica dei Media", alla cui raccolta
per altro hanno sicuramente partecipato molti dei 30.000 spettatori della nostra
trasmissione televisiva o dei 43.000 lettori della nostra rivista, ci sembra
infine anacronistico rispetto al documento stesso che sottolinea la fluidità
del mercato mediatico e la necessità di creare sinergie laddove sia possibile,
pur di non trascurare questa importante possibilità di evangelizzazione e di
diffusione della cultura cristiana.
Caritas Ticino, dimenticata perché fenomeno troppo locale o concorrente scomoda?
Ci rammarichiamo,
perciò, che la nostra esperienza sia completamente assente dalle analisi per
altro dettagliate del documento, visto che siamo parte della commissione dei
Media della Diocesi di Lugano e la nostra organizzazione è strettamente legata
e dipendente dall’Ordinario locale.
In conclusione ci sembra che il documento del piano pastorale per la comunicazione
e i media nella chiesa Cattolica in Svizzera sia, nonostante alcuni punti oscuri
che ci auguriamo possano essere rivisti in futuro, un buon punto di partenza,
per la promozione del dibattito interno alla Chiesa sul suo rapporto con i media,
in relazione al rapido mutamento delle realtà sia ecclesiali, sia sociali che
inves
tono questo
settore della nostra civiltà.
I Vescovi ticinesi
e la TV
L’esperienza
di Caritas Ticino da cinque anni in televisione con una sua trasmissione
settimanale, è stata voluta e sempre sostenuta dai nostri vescovi, mons.
Giuseppe Torti ora e mons. Eugenio Corecco al momento del nostro avvio
in quest’avventura. La mia posizione è chiarissima. Proprio
qui mi sono già pronunciato in maniera molto esplicita: non posso concepire
che gli strumenti che ci offre il progresso tecnico siano lasciati in
un cantuccio o non entrino in una realtà come questa. Questo
concetto che io traduco con pensieri e parole mie, è anche presente nell’insegnamento
del Magistero della Chiesa. Dico
se ci fosse la possibilità di avere altre due emittenti che si offrono
prenderei anche quelle altre due; perché il bene fatto anche con questi
strumenti non è da scartare, tutt’altro, è da prendere a piene mani. |