In
margine al recente documento ecclesiale
Memoria
e
riconciliazione
Di don Giorgio Paximadi
Abbiamo assistito ad un festival della disinformazione,
in cui ci è stato propinato non ciò che il Santo Padre ha detto, ma ciò che
si riteneva giusto basandosi su di una conoscenza della teologia e della storia
della Chiesa sommarie ed infarcite di leggende e luoghi comuni.
Il documento della Commissione Teologica Internazionale
(CTI) "Memoria e Riconciliazione" (MR), che ha fornito le linee teologiche
portanti al clamoroso gesto di cui si è reso protagonista il Papa durante la
celebrazione della prima domenica di Quaresima, come pure il discorso tenuto
in quell’occasione da Giovanni Paolo II per introdurre la "richiesta di
perdono", sono certamente dei testi profondi e di lettura non semplice.
È stato certamente per questo motivo che la quasi totalità dei mezzi di informazione,
compresi quelli "cattolici", nel parlarne, si è astenuta dal compiere
l’operazione ovvia per chi desideri dar conto di un testo scritto: quella di
leggerlo. Abbiamo così assistito ad un vero festival della disinformazione,
in cui ci è stato propinato non ciò che il Santo Padre o la CTI hanno effettivamente
detto, ma ciò che questo o quel giornalista ritenevano che fosse stato detto,
basandosi su di una conoscenza della teologia e della storia della Chiesa sommarie
ed infarcite di leggende nere e di luoghi comuni. Abbiamo perciò udito
parlare di Crociate, di roghi delle streghe e di piacevolezze simili. Minoranze
vocali si sono dette stupefatte che il Papa non avesse chiesto perdono di questo
o di quel misfatto - la negazione del sacerdozio alle donne piuttosto che quella
del matrimonio agli omosessuali - evidente manifestazione di quanto la Chiesa
sia ancora affetta da quell’oscurantismo di cui chiede vanamente scusa. Si è
detto e ripetuto praticamente tutto, tranne una cosa, quella fondamentale; nessuno
si è preoccupato di fare nemmeno uno sciatto e sommario riassunto di quanto
è stato in realtà affermato.
Peccato; è stata un’occasione sprecata, e certo la povertà di mezzi di "Caritas
Insieme" non può sperare di contrastare il rombo della propaganda disinformata
e disinformante. Una cosa però possiamo fare, forse non particolarmente originale,
ma finora non tentata: appunto uno sciatto e sommario riassunto di quanto è
stato effettivamente detto in quei documenti ecclesiali di cui tutti sanno...
nulla.
Incominciamo con il notare una cosa banale: il documento della CTI non riguarda
le diverse accuse che si possono fare alla Chiesa per dei misfatti di cui si
sia macchiata nel corso dei secoli; esso offre piuttosto alcune ragioni che
permettano di intuire le condizioni necessarie per affermare come giustificata
e legittima la prassi inaugurata da Giovanni Paolo II. Non ci si chiede dunque
per che cosa la Chiesa domandi perdono, ma cosa voglia dire e come sia possibile
una domanda siffatta. Una prima constatazione s’impone: il documento della CTI
si muove all’interno di un orizzonte di fede, ed esige una concezione cattolica
della fede e della Chiesa. La sua preoccupazione non è prima di tutto quella
di rispondere ad obiezioni di chi si trova all’esterno della Chiesa, ma è quella
di riconoscere che non sempre il comportamento dei cristiani è stato all’altezza
di quella Chiesa di cui facevano parte e la cui santità riconoscevano. È in
quest’ottica che si deve leggere una richiesta di perdono per quegli scandali
del passato che possono offuscare la testimonianza di oggi (MR 1.4). Due rischi
vanno tuttavia evitati: in primo luogo "la purificazione della memoria
non potrà mai significare che la Chiesa rinunci a proclamare la verità rivelata,
che le è stata confidata, sia nel campo della fede, che in quello della morale".
In secondo luogo va evitata l’ipocrisia di quei farisei che, venerando le tombe
dei profeti assassinati dal popolo, affermavano che, se fossero vissuti all’epoca
in cui i loro padri si erano resi colpevoli di quei misfatti, non si sarebbero
associati ad essi. Ipocrisia, questa, già duramente colpita da Gesù stesso (Mt
23,29-32) e che non tiene conto del fatto che la coscienza morale è indissolubilmente
legata ai condizionamenti storici, anche se non è totalmente definita da essi.
Fatte queste considerazioni iniziali la CTI passa ad esaminare le testimonianze
scritturistiche che potrebbero fornire giustificazione ad una tale richiesta
di perdono, giungendo ad affermare che essa non trova "un riscontro univoco
nella testimonianza biblica", tuttavia si basa "su quanto la Sacra
Scrittura afferma riguardo alla santità di Dio, alla solidarietà intergenerazionale
del Suo popolo e al riconoscimento del suo essere peccatore. L’appello del Papa
coglie inoltre correttamente lo spirito del Giubileo biblico, che richiede che
siano compiuti atti volti a ristabilire l’ordine dell’originario disegno di
Dio sulla creazione" (MR 2.4).
Dalla testimonianza biblica si passa poi al cuore teologico della questione:
il mistero della Chiesa, "santa, in quanto resa tale dal Padre mediante
il sacrificio del Figlio e il dono dello Spirito, essa è in un certo senso anche
peccatrice, in quanto assume realmente su di sé il peccato di coloro che essa
stessa ha generato nel battesimo, analogamente a come il Cristo Gesù ha assunto
il peccato del mondo" (MR 3). "La Chiesa è santa perché, santificata
da Cristo, che l’ha acquistata consegnandosi alla morte per lei, è mantenuta
nella santità dallo Spirito Santo, che la pervade incessantemente" (MR
3.2). "Si può distinguere, tuttavia, la santità della Chiesa dalla santità
nella Chiesa"; la prima è l’indefettibile santità assicuratale dal dono
dello Spirito, la seconda è la vocazione di tutti i credenti che a tale santità
devono tendere, in un cammino fatto di successi ma anche di cadute e di conversioni,
in una santità vera ma imperfetta e comunque bisognosa di continuo rinnovamento.
Di tale imperfezione della santità dei suo figli la Chiesa può farsi carico
"non in quanto soggetto del peccato, ma in quanto assume con solidarietà
materna il peso delle colpe dei suoi figli, per cooperare al loro superamento
sulla via della penitenza e della novità di vita" (MR 3.4)
Al giudizio teologico deve far riscontro un corretto giudizio storico: "Ci
si deve domandare: che cosa è precisamente avvenuto? che cosa è stato propriamente
detto e fatto? Solo quando a questi interrogativi sarà stata data una risposta
adeguata, frutto di un rigoroso giudizio storico, ci si potrà anche chiedere
se ciò che è avvenuto, che è stato detto o compiuto può essere interpretato
come conforme o no al Vangelo, e, nel caso non lo fosse, se i figli della Chiesa
che hanno agito così avrebbero potuto rendersene conto a partire dal contesto
in cui operavano. Unicamente quando si perviene alla certezza morale che quanto
è stato fatto contro il Vangelo da alcuni figli della Chiesa ed a suo nome avrebbe
potuto essere compreso da essi come tale ed evitato, può aver significato per
la Chiesa di oggi fare ammenda di colpe del passato" (MR 4).
Non ci si chiede per che cosa la Chiesa domandi perdono, ma cosa voglia dire e come sia possibile una domanda siffatta.
Un’obiezione si presenta
facilmente: dato che il peccato è qualcosa di soggettivo, ossia di inerente
al soggetto che lo compie, come può la Chiesa farsi carico delle colpe di persone
del passato, la cui morte ha estinto la colpa soggettiva? La CTI risponde che
"il male fatto spesso sopravvive a chi l’ha fatto attraverso le conseguenze
dei comportamenti, che possono diventare un fardello pesante sulla coscienza
e la memoria dei discendenti" (MR 5.1). Di tali conseguenze i discendenti
possono farsi carico, implorando il perdono da Dio per le colpe del passato,
ed attraverso una "purificazione della memoria" in cui si elimina
dalla coscienza tutte le forme di risentimento o di violenza che l’eredità del
passato vi avesse lasciato.
È soltanto a questo punto che, sulla base delle considerazioni finora svolte,
la CTI individua quattro ambiti nei quali si può esercitare questa "purificazione
della memoria", ambiti che sono stati fatti propri dal Santo Padre nel
suo atto solenne del 12 marzo scorso; essi sono:
* La divisione dei cristiani, con particolare riferimento a quelle mancanze
di carità che portarono all’attuale separazione tra Chiesa d’oriente e Chiesa
d’occidente, a fronte di problemi storici e di mentalità che giocarono un ruolo
preponderante rispetto a quelli dottrinali. Per quanto riguarda la separazione
provocata dalla Riforma, si osserva che "altri campi della rivelazione
e della dottrina furono oggetto di controversia" (MR 5.2).
* L’impiego di "mezzi dubbi per conseguire fini giusti, quali sono tanto
la predicazione del Vangelo, quanto la difesa dell’unità della fede" (MR
5.4). È da notare che né la CTI né il Santo Padre citano mai fatti storici concreti,
come l’Inquisizione o le Crociate, il giudizio sui quali è evidentemente troppo
complesso ed articolato per essere sbrigativamente trattato.
* I pregiudizi antigiudaici presenti nelle menti e nei cuori di molti cristiani,
i quali possono avere addirittura facilitato la persecuzione del nazismo nei
confronti degli ebrei.
* I mali di oggi, come l’ateismo teorico o pratico, la mancanza di rispetto
della vita, soprattutto nel caso delle legislazioni abortiste e della dignità
dei poveri, in tanto in quanto causati anche da testimonianza insufficiente
da parte dei credenti.
Questo, in massima sintesi, il contenuto del Documento "Memoria e riconciliazione",
cui il Santo Padre si è ispirato. Chi, leggendo quest’esposizione si è stupito
per il livello di distorsione e di superficialità con cui un argomento così
delicato è stato trattato, tragga da questo stupore utile insegnamento quando,
in futuro, gli capiterà di apprendere dai mass media il contenuto di pronunciamenti
ecclesiali. In certi casi è più che mai vero che fidarsi è bene, ma ...