San
FILIPPO Neri
Di Patrizia Solari
San
Filippo lo vogliamo ricordare in particolare per la sua opera nell’accoglienza
dei pellegrini e per l’istituzione della visita alle Sette Chiese di Roma
In questo numero della rivista, che si avvicina alla metà dell’anno giubilare, vogliamo dedicare la nostra attenzione a San Filippo Neri (1515-1595), la cui festa cade il 26 maggio. Noto soprattutto per aver iniziato l’ "oratorio", lo vogliamo ricordare in particolare per la sua opera nell’accoglienza dei pellegrini e per l’istituzione della visita alle Sette Chiese di Roma, gesti strettamente collegati uno con l’altro.
Filippo nacque in un popoloso quartiere di Firenze e, come tutti i fiorentini, fu battezzato nel battistero di S. Giovanni. "Poco sappiamo della sua infanzia: il padre Francesco esercitava la professione di notaio; la madre, Lucrezia da Mosciano, morì molto presto e la cura del piccolo Filippo rimase affidata alla matrigna. Dalla testimonianza della sorella Elisabetta sappiamo che mentre per il suo carattere altruista e allegro era soprannominato ‘Pippo buono’ (soprannome che gli rimase tutta la vita), non mostrò mai vocazione o devozione particolare. (...) A 18 anni (...) lasciò Firenze, dove non doveva più ritornare, per far pratica di commercio presso un cugino in Campania, secondo un diffuso costume. Ma la mercatura non doveva essere la sua vocazione perché nel 1534-1535 lo troviamo già a Roma, dove sarebbe rimasto oltre 60 anni." 1)
Filippo visse
a Roma proprio nel periodo di passaggio dal Rinascimento al Barocco, nei decenni
dei mutamenti più radicali: dalle prime tensioni riformatrici al trionfo della
Controriforma. Dapprima la sua esperienza sembrò concentrarsi ai suoi compiti
di precettore e alla frequenza di alcuni corsi di teologia e filosofia all’università
della Sapienza e allo Studio generale degli agostiniani, alternando la visita
solitaria alla Roma antica delle catacombe e delle basiliche e la frequentazione
della nuova Roma, dei giovani di strada, degli artigiani, dei commercianti e
degli uomini d’affari. Ma "il rapporto con altri spirituali che animavano
la città negli ultimi anni del pontificato di Paolo III si unì al desiderio
di riforma, nel riferimento alla Chiesa primitiva come modello d’esperienza
cristiana individuale e collettiva. Nel 1548 collaborò con il suo confessore
alla fondazione della Confraternita della SS. Trinità dedicata in particolare
all’assistenza ai pellegini poveri: l’attività svolta durante l’Anno Santo 1550
è quindi centrale nella sua vita, per la fusione tra l’ansia di perfezione individuale
e la ricerca di una sua missione specifica per la riforma della Chiesa. Dopo
aver ricevuto in pochi mesi gli ordini minori e maggiori, fu consacrato sacerdote
il 23 maggio 1551 (...) ed entrò tra i cappellani della chiesa di S. Girolamo
della Carità." 2)
L'oratorio
Diamo accenno alla nascita e alle caratteristiche dell’opera di san Filippo,
conosciuta con il nome di Oratorio e che, nel XIX secolo, ispirerà John Henry
Newman, convertito dall’anglicanesimo e divenuto poi cardinale. 3)
"L’oratorio rappresenta (...) la proiezione fondamentale della spiritualità
di Filippo e la sua peculiare creatura all’interno delle varie correnti spirituali
del Cinquecento italiano. Non era una formula fissa, ma uno strumento flessibile,
un processo più che un ordinamento rigido (...). Nato dalle riunioni pomeridiane
nella stanzetta di Filippo in S. Girolamo, nel 1552, come insieme di letture
e conversazioni spirituali tra un ristretto gruppo di amici, esso si allargò
trasferendosi dapprima in un granaio-deposito sopra la stessa chiesa di S. Girolamo,
poi in un locale attiguo alla chiesa di S. Giovanni in riva al Tevere e infine
alla Vallicella, attirando un mondo variopinto composto da membri della società
di corte ma anche da molti popolani e artigiani nelle loro ore pomeridiane libere
(...). La formula era molto libera e flessibile nell’adattarsi ai vari livelli
di cultura (...); i sermoni venivano tenuti in forma piana e dialogica non dal
pulpito, ma da una sedia (...). Di solito si iniziava con la lettura di libri
devoti e di vite di santi, poi avevano luogo i sermoni (...); poi musiche e
canti (...). Un breve intervento di padre Filippo o di un suo sostituto e le
preghiere finali concludevano l’incontro." 4)
La visita delle Sette Chiese
Ecco come viene presentata la nascita di questo gesto 5): "Avevano cominciato
a ritrovarsi lì, sul sagrato della chiesa di San Girolamo della Carità, a un
passo da piazza Farnese. E non sarà passato inosservato alla curiosità dei romani
quell’insolito ritrovo quotidiano, proprio nell’ora della passeggiata pomeridiana.
Noti perdigiorno accanto a notabili, figli di usurai e commercianti, familiari
di alti prelati e persino banditi di strada. Erano gli amici di padre Filippo,
il fiorentino. Tutto era cominciato in quel maggio 1551 quando Filippo, novello
sacerdote, aveva preso dimora presso San Girolamo della Carità. Li aveva conosciuti
in quelle piazzette e viuzze nel cuore di Roma, di quella Roma popolana, scanzonata
e insolente, e subito avevano cominciato a frequentarlo. S’intrattenevano con
lui nella chiesa e poi uscivano per una passeggiata. (...) imboccato il ponte
Sant’Angelo, dopo una sosta all’Arcispedale di Santo Spirito in Sassia, puntavano
dritti a San Pietro, per una visita alla tomba dell’apostolo, oppure se ne andavano
verso l’Esquilino, a Santa Maria Maggiore. La domenica o nei giorni di bel tempo
(...) il cammino si faceva più lungo. La meta erano le Tre Fontane, la basilica
di San Paolo; si andava poi sull’Appia alle catacombe di San Sebastiano e dopo
aver consumato un pasto all’ombra di qualche vigna, si faceva ritorno passando
per San Giovanni in Laterano e santa Croce in Gerusalemme. Filippo e i suoi
(quei primi che diventeranno il nucleo della congregazione dell’Oratorio) le
chiamavano familiarmente ‘visite’. Proprio come andare a far visita alla casa
di un amico, con l’unica differenza che ‘le case’ visitate erano luoghi cari
alla memoria cristiana di Roma.
È fiorita così, con questa spontaneità, con la stessa semplicità con cui sono
nate tutte le opere di san Filippo, la pratica di pellegrinaggio più famosa
e duratura di Roma: la visita delle Sette Chiese. Il pellegrinaggio alle sette
basiliche giubilari ebbe un tale successo che da poche decine di partecipanti
arrivò in pochi anni, con il crescere della popolarità di Filippo, a coinvolgere
centinaia di persone, fino a raggiungere sotto il pontificato di Pio IV (1560-1565)
seimila partecipanti!"
Il primo pellegrinaggio ufficiale alle Sette Chiese ebbe inizio il 25 febbraio
1552. Infatti "con il crescere dei partecipanti Filippo decise di dedicare
al pellegrinaggio un giorno fisso dell’anno. E quale gli parve più opportuno?
Il giovedì grasso. Il giovedì del ridanciano e chiassoso carnevale romano...
(...) Il percorso, lungo sedici miglia, fu diviso in due giornate. La partenza,
la sera del mercoledì, era da San Girolamo (...) l’ultima tappa dell’itinerario:
Santa Maria Maggiore. Qui, dopo un ultimo raccoglimento, i partecipanti si congedavano
intonando la Salve Regina. Lungo tutto il percorso sempre si andava cantando."
6)
Ma vennero anche tempi duri, perché quel radunarsi di tanta gente cominciò a
essere guardato con diffidenza: si diceva che Filippo fosse un ambizioso, che
voleva attorniarsi di gran seguito e lo si accusò di essere un autore di sètte,
termine allora pericolosissimo. Fu minacciato di essere messo in prigione dal
cardinale Rosario, vicario di Roma, e Filippo si sottomise all’ordine di sospendere
le visite. Ma dopo quindici giorni il cardinale morì improvvisamente e il Papa
mandò un messaggero da Filippo, con in dono due grossi ceri e il permesso di
riprendere ogni attività.
In seguito, anche dopo la morte di Filippo, la visita continuò, con la partecipazione
di molti papi.
In occasione del terzo centenario della canonizzazione di san Filippo, nel 1922,
dopo una fase di declino, la visita venne ripresa con nuovo slancio nella terza
domenica dopo Pasqua. Durante l’ultima guerra fu tenuta in Quaresima, come atto
penitenziale. Da allora la pratica di questo pellegrinaggio è andata scomparendo,
per lo meno nella forma e con le caratteristiche con cui Filippo l’aveva concepita.
Filippo cercò una santità antieroica, una perfezione di vita spirituale che può essere raggiunta senza separarsi dal mondo, attraverso l’esercizio delle virtù elementari della carità, della semplicità e della pazienza
L'ospitalità
ai pellegrini
Durante gli Anni Santi la città di Roma doveva far fronte alla presenza di un
numero cospicuo di pellegrini, che raggiungevano cifre molto elevate in occasione
delle cerimonie più importanti. Una parte di essi poteva permettersi di alloggiare
a pagamento in alberghi e camere d’affitto, ma la maggioranza erano pellegrini
poveri e per di più spesso in cattiva salute a causa della fatica e delle difficoltà
incontrate durante il viaggio. "Alle necessità di questa massa di pellegrini
poveri cercava di sopperire l’opera assistenziale delle confraternite. Quelle
nazionali - come per esempio Santa Maria dell’Anima per i tedeschi, San Luigi
per i francesi, Santa Maria di Monserrato per gli spagnoli, San Giuliano per
i fiamminghi - si prendevano cura dei loro concittadini nei loro ospizi e ospedali
nei quali venivano offerti vitto, alloggio, all’occorrenza cure mediche e talvolta
anche un sussidio per il viaggio di ritorno. Analoghi servizi venivano offerti
ai loro correligionari dalle confraternite regionali italiane che, come quelle
nazionali, disponevano in genere di una buona quantità di fondi. Ma un cospicuo
numero di pellegrini ‘generici’ non rientrava in queste categorie di assistiti
e ancora alla metà del XVI secolo non era raro vedere gruppi di essi dormire
all’addiaccio, cercando riparo sotto i portici o presso il sagrato delle chiese.
Fu a loro che si rivolse dunque la carità operosa di san Filippo Neri."
7) Ebbe così origine la Confraternita della Santissima Trinità dei pellegrini.
All’inizio i confratelli, con poche risorse, ospitavano i pellegrini nelle loro
case, poi, a man mano che l’opera veniva conosciuta, vennero messi a disposizione
alcuni locali e già nel primo anno di attività la Confraternita poté ospitare
fino a seicento pellegrini al giorno. "San Filippo e i compagni li accoglievano,
lavavano loro i piedi, li servivano a mensa, li conducevano nel dormitorio e
nei giorni seguenti li accompagnavano nelle visite alle Basiliche." 8)
La Chiesa non poteva nascere dal costituirsi di un clero secolare separato, ma da un rinnovo complessivo del popolo cristiano nelle sue strutture storiche concrete: di qui l’interesse di Filippo per i meccanismi della vita economica
Il dinamismo
della confraternita, che nel 1562 fu denominata da Pio IV "Arciconfraternita
della Santissima Trinità dei Pellegrini e dei Convalescenti", si dimostrò
durante l’Anno Santo del 1575: ospitò non meno di 135mila pellegrini, offrendo
loro, in media per tre giorni, alloggio e vitto gratuiti. "Per far fronte
a tutte queste spese l’Arciconfraternita, che disponeva di redditi fissi molto
modesti, contava sulla carità dei suoi molti simpatizzanti: dalle modeste elemosine
del popolo minuto ai larghi donativi della nobiltà romana ed estera. Regolari
e robuste sovvenzioni venivano poi dal Papa e dai cardinali. L’aiuto che riceveva
non si limitava per altro al contributo economico: erano infatti moltissimi
quelli che andavano all’ospizio per prestare la loro opera anche nei servizi
più umili, e fra loro non disdegnavano di esservi lo stesso Papa, i cardinali
e i più bei nomi dell’aristocrazia romana." 9)
L’operosa attività dell’Arciconfraternita è proseguita nel tempo fino al secolo
scorso, ospitando nei vari Anni Santi fino a 300mila pellegrini. Dal 1870 essa
si è ridotta gradualmente fino a limitare la sua attività alla promozione del
decoro del culto.
Concludiamo
questi brevi accenni alla figura di san Filippo Neri con alcune considerazioni
che ci possono accompagnare nella nostra esperienza di fede personale e quotidiana:"(...)
il messaggio specifico di Filippo diventò quello di una santità antieroica,
di una perfezione di vita spirituale che può essere raggiunta in ogni stato
di vita, dall’artigiano al curiale, dal padre di famiglia al prelato, senza
separarsi dal mondo ma al contrario, attraverso l’esercizio delle virtù elementari
della carità, della semplicità, della pazienza, attraverso l’accettazione gioiosa
della sofferenza e della morte stessa come compimento e perfezione della natura
umana. (...) la convinzione precisa che la Riforma della Chiesa e di Roma non
potevano nascere dal costituirsi di un clero secolare regolare come ceto separato,
ma da un rinnovamento complessivo del popolo cristiano nelle sue strutture storiche
concrete (...): di qui l’interesse non secondario di Filippo per i meccanismi
della vita economica (...), della vita cortigiana o di quella produttiva (la
sua passione per gli orologi non può essere considerata una delle sue follie
o stranezze)." 10)
1) AAVV, Il grande libro dei santi, Vol. I, ed. San Paolo, 1998 pp. 684-688;
2) ibid.; 3) Nel 1847 Newman scriveva: "Da molto tempo provo rispetto
e ammirazione speciali per il carattere di san Filippo Neri..." e,
dopo aver visitato in Italia vari Oratori, scrive da Milano: "(varie
considerazioni su altre congregazioni) Si potrebbe dire che questo tempo chiede
una secolarità esterna con un impegno interno dal moderato ascetismo; e questo
è precisamente l’ascetismo dell’Oratorio." (in MARIN, José Morales,
John Henry Newman - La vita, Jaca Book, Milano 1998, p. 189); 4) AAVV, Il grande...;
5) FALASCA, Stefania, RICCIARDI, Giovanni, O Roma felix, Trenta Giorni società
cooperativa, 1999 - Ediz. fuori commercio, pp. 159-160; 6) id. pp. 161-162;
7) Filippo Neri e l’ospitalità ai pellegrini in "30gioni", n. 1, 1999,
p. 96; 8) id. p. 97; 9) id. p. 98; 10) AAVV, Il grande ...