Un esercito di nuovi poveri e settore non profit
Anno internazionale per combattere la povertà

Di Mimi Lepori


Un nome ambizioso per questo 1996, iniziato da ben due mesi e mezzo all'insegna della più grande indifferenza per quanto attiene l'impegnativo nome che l'assemblea generale dell'O.N.U. ha voluto riservargli. Anche per la ricca Svizzera l'obiettivo di eliminare la povertà corre il rischio di rimanere un pio desiderio. Sono 500'000 le persone che vivono una situazione finanziaria precaria: le cifre non sono più contestate da nessuno e neppure le categorie di persone che le compongono. Si tratta di famiglie monoparentali, di disoccupati di lunga durata, di andicappati, di persone anziane e di tossicodipendenti, e all'interno di queste categorie le donne sono le persone maggiormente colpite. Chi, solo una decina di anni or sono avrebbe individuato nella disoccupazione uno dei problemi più grandi di questo fine secolo? I pochi che parlavano di nuova povertà erano perlopiù guardati come delle mosche bianche. Piangere non serve, anche se molte situazioni legate alla nuova povertà possono far piangere. In molti casi non è neppure il problema finanziario il primo aspetto arduo della questione; anche perché l'aiuto quantitativo, grazie alle diverse leggi, è dato. Difficile, se non quasi impossibile, permettere a queste persone di sentirsi ancora parte, soggetti di questa società. Il grande rischio dell'emarginazione, dell'esclusione è presente. Si vive infatti in una società dove lo statuto professionale è considerato come unico elemento di riconoscimento del valore o meno di una persona. Che fare allora con le tredicimila persone e più di disoccupati che molto difficilmente troveranno dei posti di lavoro? Non tocca a noi indicare allo Stato e al mercato come fare per permettere all'economia la ripresa che tutti auspicano. A noi -Ente sociale che opera nella società ticinese- e che facciamo parte del settore privato, tocca il compito di far capire che questo terzo settore contiene un potenziale importantissimo per assorbire parte di questi disoccupati, diminuendo così il rischio di una vera emarginazione -con i conseguenti costi sociali- di questo esercito di nuovi poveri. Siamo agli albori di una reale radiografia di questo terzo settore, o settore non profit ricco di enti, istituti, associazioni di utilità pubblica. I Paesi che già lo hanno radiografato sono riusciti a farlo diventare interlocutore a pieno diritti dello Stato e del mercato. Uno dei rischi che bisogna evitare di correre è quello di non permettere a questo terzo settore di dialogare con gli altri mondi, primo fra tutti quello economico.

Ci aspettano anni di una grande creatività sociale per dar corpo a delle nuove imprese sociali, capaci di coniugare l'aspetto sociale con una nuova mentalità imprenditoriale capace di assorbire il numero piú alto di disoccupati in attività d'utilità pubblica. Ben venga quindi il fondo creato dal Dipartimento federale competente di FR. 300'000.- per premiare tutti quei progetti, messi in piedi da organizzazioni del settore non profit, che vorranno testimoniare di una mentalità nuova, imprenditoriale sociale capace di contribuire alla sfida di questo fine millennio, offrendo posti di lavoro diversi a questo nuovo esercito di poveri.