Aiuti all'estero
di Caritas Ticino: piccoli pregetti per costruire segni di speranza
Un gruppo di famiglie ticinesi all'origine di un nuovo progetto
Un tetto per le bambine di Rio Negro
Di Marco Fantoni
Il problema dei bambini rimasti senza famiglia ed abbandonati a loro stessi
è una delle piaghe che da sempre sono al centro dell'attenzione e preoccupazioni
di molti.
L'esperienza della famiglia Giudici di Riva San Vitale, è appunto legata a questa preoccupazione. Anni fa adottarono un bambino colombiano ospite dell'Istituto Jesus Infante di Rionegro (Medellin).
"E' appunto grazie a Gabriel che abbiamo conosciuto la Colombia e spesso ci capita di ripensare a quel Paese, perché un pezzettino del nostro cuore l'abbiamo lasciato là" è quanto ci dicono i coniugi Giudici.
A Rionegro, città di 120'000 abitanti, situata a nord di Medellin, dal 1978 esiste la Fondazione Jesus Infante che ha come scopertine/copo quello di dare protezione ai bambini abbandonati. Essa è legata direttamente alla Diocesi e presieduta dal Vescovo locale.
"Le persone più importanti sono comunque i bambini, anima e ragione di essere della medesima. Il loro rendimento a livello accademico, sportivo, sociale e personale è la soddisfazione più gratificante che si può avere in questo tipo di lavoro", sottolinea la famiglia Giudici.
Una delle preoccupazioni dei responsabili di questo progetto, oltre all'accoglienza, è quella di puntare sulla formazione del bambino che resta ospite fino all'età di 18 anni, ricevendo oltre alla formazione scolastica di base, anche quella professionale in settori come quello dell'agricoltura e dell'allevamento di bestiame, oppure dell'artigianato, come falegnameria, elettricità, panetteria, pescicultura ed artigianato diverso.
Queste iniziative, oltre a permettere un certo autofinanziamento dell'Istituto, potranno facilitare ai giovani, il reinserimento nel tessuto sociale della vita di tutti i giorni con meno difficoltà.
I ragazzi accolti attualmente sono 120 e vivono in una tenuta agricola che da scuderia per cavalli è stata adattata alle nuove esigenze, ottenendo così aule scolastiche, refettorio, cucina, dormitori ed ateliers.
Come detto l'Istituto accoglie bambini e ragazzi ed un ulteriore obiettivo dello stesso, attualmente è quello di offrire alle bambine e ragazze che frequentano l'Istituto un dormitorio dignitoso all'interno dello stesso. In effetti sono ospiti di un'abitazione precaria esterna, che comunque non può ospitare le circa 40 tra bambine e ragazze.
Ci dice ancora la famiglia Giudici, che con altre in questi anni ha sostenuto la Fondazione con diverse iniziative: "Siamo convinti che si stia lavorando nella direzione giusta per cercare di troncare la spirale dell'emarginazione che sembra condannare i bambini che sono in stato di abbandono; all'interno dell'Istituto avranno la garanzia della formazione fino a 18 anni".
E' così sorta la necessità di una nuova costruzione da adibire a dormitorio e che potrà ospitare fino a 50 tra bambine e ragazze le quali rimarranno all'interno del Jesus Infante evitando di restare sulla strada attirate da pericoli diversi.
La sensibilità di chi ha continuato la collaborazione con le persone di Rionegro, ha portato al coinvolgimento di Caritas Ticino, che negli ultimi anni, grazie anche ad una generosa offerta indirizzata allo scopertine/copo, sostiene progetti a favore dell'infanzia. (vedi riviste precedenti)
Il fatto emergente è quello di vedere che gli amici di Riva San Vitale hanno veramente lasciato un pezzetto di cuore a Rionegro, continuando nella nostra realtà l'accoglienza e la solidarietà di chi si occupa dell'infanzia all'interno dell'Istituto Jesus Infante. Questa ha permesso pure di coinvolgere, sia la Conferenza Missionaria della Svizzera Italiana, sia Don Emilio Conrad, già direttore di Caritas Ticino ed ora responsabile della missione della nostra Diocesi a Baranquilla sempre in Colombia, che essendo nelle vicinanze ha potuto garantire sulla necessità e la validità dell'iniziativa a Rionegro.
Dunque si sono fatte partecipe, strutture diocesane che potranno contribuire allo sviluppo di un'esigenza importante per tutti, in modo particolare per le bambine dell'Istituto.
Caritas Ticino, attualmente sta valutando la richiesta di sostegno per il finanziamento della costruzione del dormitorio per le bambine e ragazze che ammonta a Fr. 45'000.¾.
Avremo occasione di riparlarne
nei prossimi numeri della rivista.
Aiuti all'estero di Caritas Ticino: piccoli pregetti per costruire segni di speranza
Due case in Croazia: due testimonianze
di Vera Podpecan
Durante l'ultimo viaggio in Croazia e Bosnia siamo passati a Zagabria e Samobor per visitare le case acquistate da Caritas Ticino grazie alla solidarietà dei ticinesi e donate alla Caritas di Zagabria.
Vrapce
Dal momento dell'apertura della casa a Vrapce (Zagabria) fino al 31 dicembre 1995 sono state accolte 168 persone di cui 58 madri e 110 bambini. 53 madri con 99 bambini sono riuscite a trovare un posto di lavoro oppure hanno potuto tornare presso le loro famiglie.
Solo un bambino è stato dato in affidamento e la m adre ha trovato una occupazione lavorativa.
Attualmente nella casa vivono 5 madri e 9 bambini.
Oltre le donne che hanno subito violenza e quelle che sono riuscite a fuggire dalla guerra in Bosnia, in questa casa hanno trovato accoglienza anche donne che dovevano collocare i loro figli presso gli ospedali di Zagabria. La casa serve tuttora per una serie di servizi proprio per la posizione geografica interessante, infatti trovandosi a Zagabria può essere in contatto con tutti i Centri sociali e sanitari importanti.
Samobor
Dal 1993 al 1995 nella casa di Samobor hanno trovato ospitalità 155 persone di cui 68 madri e 87 bambini. 62 madri con 69 bambini sono riuscite a sistemarsi, trovando un posto di lavoro oppure sono tornate presso i loro famigliari.
3 madri hanno trovato un posto di lavoro e una abitazione fuori dalla Caritas e i loro 3 figli sono rimasti in una casa della Caritas, fino a quando le madri non diventeranno completamente autosufficienti.
In questo momento nella casa di Samobor vivono 6 madri e 14 bambini.
Sempre durante questo ultimo viaggio abbiamo potuto intervistare alcune donne che dopo un soggiorno nelle case della Caritas oggi vivono fuori dalla casa.
Anica proviene da una cittadina che confina tra Croazia e Bosnia.
Nel mese di marzo del 1993 gli è nata la bambina. Da quel momento si trova sulla strada, viene ospitata qualche volta da amici però sempre in situazioni precarie.
Ci puoi spiegare come sei arrivata alla Caritas?
Anica: Nel mese di ottobre del 1993 ero disperata, non avevo una lavoro non avevo un alloggio, l'inverno era alle porte.. Una persona mi ha detto: "prova a chiamare alla Caritas la signora Brajsa. Loro aiutano. Non avevo molta fiducia perché già prima avevo chiamato diverse associazioni umanitarie, ma nessuna di loro mi aveva poi concretamente aiutata. Mi sono anche detta che tentare non nuoce.
Ho telefonato e ho parlato con un'assistente sociale, la quale dopo aver sentito la mia storia mi ha detto: "Venga subito nella nostra casa di Samobor". Io continuavo a dirle che in fondo mi bastava qualche consiglio al telefono... lei ha insistito e io sono partita subito . Quando sono arrivata nella casa di nuovo ho avuto una piacevole sorpresa. La casa era una vera casa, grande, calda e finalmente c'era anche da mangiare.
Nella casa tutti abbiamo vissuto come in un grande famiglia.
Quando dovevo uscire per andare in qualche posto le altre mamme si occupavano della mia bambina. Mi ricordo che una volta alle 03.00 di notte dovevo con urgenza portare la bambina al pronto soccorso, una madre e venuta con me e le altre le hanno curato il suo figlio. Durante il periodo in cui sono rimasta in quella casa ho trovato di nuovo fiducia nelle persone, infatti tra di noi c'era una grande amicizia e ci si aiutava tutte. Soprattutto nei momenti di difficoltà, quando si pensava al futuro, al momento in cui si sarebbe dovuto lasciare la casa, ecco che la solidarietà tra di noi è stata veramente importante.
Presso la Caritas ho terminato il corso per diventare sarta , ottenendo il certificato di capacità lavorativa.
E' molto difficile descrivere con le parole cosa si sente dentro quando si trova un aiuto, un vero aiuto.
Grazie al mio impegno e grazie alla Caritas ho trovato un posto di lavoro e un appartamentino.
Finanziariamente non dipendo più dalla Caritas, oggi io e la mia bambina siamo autosufficienti. Mantengo i contatti con le mamme che erano nella casa e anche con le donne che ancora oggi vivono presso la casa di Samobor.
Vesna è arrivata alla casa di Vrapce con il primo gruppetto di ospiti. Proviene dalla Bosnia.
Puoi descrivere il tuo arrivo nella casa?
Vesna: (piangendo) è molto difficile parlare del passato, è molto difficile ricordare tutto quello che ho passato prima che la Caritas mi aprisse le sue porte.
Sono scappata dalla Bosnia, dove sono rimasta incinta non per la mia volontà. Aveva già una bambina. Nel 1993 mi trovavo ha Zagabria sulla strada, ero disperata, sono andata in un Ospedale a chiedere aiuto, ma loro non potevano aiutarmi. Avevo deciso di uccidermi.
Un' infermiera si è accorta della mia disperazione e ha chiamato Caritas. Sono venuti subito a prendermi e mi hanno accompagnato presso una delle case della Caritas. Per alcuni mesi sono rimasta in uno stato di depressione. Sono uscita da questo tunnel nero solo grazie al personale specializzato della Caritas. Al momento in cui hanno aperto la casa di Vrapce sono stata una delle prime ospiti. Lì ho ritrovato fiducia in me stessa e anche voglia di vivere. Caritas ha ritrovato la mia prima bambina in Bosnia e l'hanno fatta venire subito a Vrapce. In quella casa ho imparato a cucinare e a svolgere diversi altri lavori. Il destino ha voluto che durante quel periodo incontrassi un uomo con il quale ci siamo sposati. Dal nostro matrimonio è nato un bambino e ora viviamo tutti insieme in un appartamento a Zagabria.
Durante la nostra permanenza a Zagabria abbiamo parlato anche con l'assistente sociale della Caritas che è responsabile delle due case.
La signora ha avuto una vita simile alle nostre ospiti; all' inizio del 1995 è scappata da Sarajevo con due figlie gravemente ferite dai cecchini.
La Caritas le ha dato accoglienza e la possibilità di lavorare. Con lei abbiamo discusso della situazione delle donne che sono passate dalle due case e che attualmente ci vivono. Riportiamo alcuni stralci della discussione:
"Per capire bene un dolore bisogna vivere il dolore.
Le donne nelle case imparano a condividere il bene e il male e adagio adagio ritrovano se stesse. Ognuno di queste donne ha bisogno di una mano e di un sorriso per poter continuare a vivere degnamente. Dopo aver dormito in campi, alla stazione, e quando pensavano che l'unica soluzione era quella di togliersi la vita , loro e il loro bambino che portavano in grembo, in braccio, trovare un aiuto concreto come quello offerto in queste Case è stato una vera ancora di salvezza."
Ha concluso la conversazione dicendo: "A Sarajevo ho perso tutto, mio marito, le due mie figlie ferite che molto probabilmente rimarranno invalide, la mia casa, il mio lavoro. TUTTO. Grazie alla Caritas, prima all'accoglienza, ora al lavoro, ecco che ho ancora voglia di vivere. Sono stanca, dentro, ma sento che qualcosa sta cambiando. Quando la sera arrivo nella mia camera, stanca, ma contenta di essere con le mie figlie credo che questa vita valga ancora la pena di essere vissuta, anche se è stata crudele con me e con tutte le persone, le famiglie che a causa di questa assurda guerra hanno perso tutto.
Grazie alla Caritas sono diventata più forte e con ansia aspetto il giorno quando potrò ritornare a Sarajevo. So che devo iniziare tutto da capo, ma accumulando le forze e la fiducia che ho trovato qui, mi sarà più facile ricominciare la mia vita là, dove la guerra ha voluto distruggermela.