Ogni
istante è sempre Pasqua
Nulla è
più triste della primavera della natura senza la primavera dell'anima.
Con un po' di sole e un po' d'acqua anche il povero sambuco dà foglie
e frutti, mentre noi uomini, con tutto il dono di Cristo, non sappiamo fiorire.
Se non riusciamo a rinascere e a purificarci per Pasqua, dobbiamo sentirci rimproverati perfino dai piccoli fiori e dalle umili gemme.
La Pasqua non è costruita dal calendario, non si crea con il suono delle campane e neppure con i solenni riti liturgici. La vera Pasqua è lo scambio dell'offerta di Dio con la nostra povera offerta, è l'incontro della bontà divina con l'umile bontà del nostro cuore.
Lo splendore e la ricchezza della Pasqua scaturiscono dallo slancio spontaneo dei nostri cuori che rispondono all'appello del Padre.
La risurrezione di Cristo ci libera dalla vanità. E' la liberazione più radicale. Vanità è una parola biblica che significa inconsistenza, fragilità, assurdità: qualcosa che a distanza sembra consistente, solido e affascinante, ma che quando l'afferri svanisce e delude. L'uomo rincorre sogni che non raggiunge mai, e anche quando li raggiunge lo deludono. Si affatica per un futuro che non è suo. Così è la vita. A meno che la morte venga vinta, a meno che l'amore che Dio ha per noi diventi la roccia che sostiene la nostra fatica. E' appunto tutto questo (e molto di più) la risurrezione di Cristo, è appunto questo che a Pasqua noi festeggiamo.
Non è bastata la grossa pietra che gli uomini hanno rotolato per bloccare l'uscita del sepolcro. La pietra è ribaltata, il sepolcro è vuoto! Quel sepolcro è diventato non la fine di un 'illusione o il crollo di una speranza, ma l'inizio, il principio, la fonte della speranza, di ogni speranza per l'uomo di sempre, di oggi, anche di una terra di sepolcri e di macerie, di anime e di corpi.
Scopertine/coppia la forza vitale da quel sepolcro vuoto.
Niente e nessuno potranno distruggere con i segni della morte colui che è la vita, né la sua azione che sfida crudeltà e violenze che ancora oggi solcano l'arduo campo del mondo.
Il nostro pensiero corre là dove, vicino o lontano, i valori della vita e della persona vengono uccisi e sepolti, dove il massacro dei cuori è violenza, dove la cattiveria è profanazione delle creature del Dio della vita.
Ma non dobbiamo rassegnarci; anche tra le macerie dell'odio spuntano ancora fiori di speranza, "brividi di risurrezione".
In questa Pasqua - speranza e certezza di vita eterna - ritroviamo, a un anno dalla morte, il ricordo del Vescovo Eugenio Corecco.
Cosa significa ricordare? Cosa significa ricordare una persona con la quale abbiamo vissuto, discusso, lavorato, camminato? Alla quale abbiamo voluto bene. Nel mistero di Dio, che è mistero di amore, c'è una realtà che supera la dimensione, pur ricca, del ricordo. E' la realtà della presenza. Coloro che sono morti vivono nel Signore: per questo sono ancora presenti nella nostra vita. Non sono semplici parole consolatorie, ma la realtà della nostra fede. Speranza e insieme certezza. Così ricordare il Vescovo Eugenio significa sentire, nella gratitudine, la sua presenza. Significa ritrovare, attuali, forti e invitanti le sue parole. Come quelle da lui scritte, ricordando il Vescovo Giuseppe Martinoli: "Quando muore un Vescovo (e ciò vale parallelamente anche per i preti), non preghiamo solo perché il Signore Gesù, giudice eterno, lo accolga con misericordia e lo ricompensi. Preghiamo anche perché lui che, grazie al Sacramento dell'Ordine, è stato nostro Pastore, continui ad aiutarci dal Paradiso, a proseguire il nostro cammino di salvezza sulla terra, assieme ai suoi successori".
Per questo e perché ci ha voluto bene, gli chiediamo di continuare a pregare per noi e a guidarci. Con la sua forza, la sua parola, il suo sorriso. Soprattutto con la sua testimonianza, che ha raggiunto il momento più sublime e vigoroso nel periodo della sofferenza, quando la croce si è fatta pesante, dura, dolorosa. Insieme ritroviamo il suo insegnamento, impegnandoci, perché nulla, ma proprio nulla di quello che ci ha insegnato deve andare smarrito. Lui ci ha indicato l'essenziale, quello che conta veramente nella nostra esistenza: Gesù Cristo, e la nostra salvezza in Gesù. La salvezza che è la Pasqua: vita e risurrezione. Per sempre.
Siamo chiamati a risorgere. Sempre. In ogni istante. Per vivere, accogliendo la vera vita. Germoglia da una croce; sgorga da un sepolcro vuoto; viene da lui.
Per questo Buona Pasqua.
+ Giuseppe, Vescovo
Lugano, marzo 1996.