Incontri
di formazione mensili per gli operatori di Caritsa Ticino
Segni
modesti per proclamare sogni "impossibili"
Di Dante Balbo
Tra suicidio e valore del segno, massimi sistemi e persone vive, gli operatori
si confrontano con la dottrina sociale della Chiesa.
L'anno scorso, a partire da parole chiave come libertà e responsabilità,
lavoro, bene comune, appartenenza e solidarietà, l'equipe degli operatori
di Caritas si è trovata a cercare di entrare nel linguaggio della dottrina
sociale della Chiesa, a partire dall'esperienza di ciascuno.
Il tema in fondo è sempre lo stesso: cercare di capire a quale uomo guarda
la Chiesa quando pretende di salvarlo. Ognuno di noi vorrebbe capire se le proposte
della Chiesa sono ancora attuali e se hanno un senso per la nostra vita.
A questo si aggiunge che noi operiamo in un ente che lavora al servizio della
Diocesi, esprimendo e promuovendo in essa la dimensione della Carità.
La formazione dell'equipe, dunque, più che un addestramento tecnico,
d'altra parte impossibile per tutti gli operatori che lavorano in settori così
diversi tra di loro, si doveva spostare su temi generali che riguardassero tutti,
come uomini e donne e come operatori.
L'anno scorso, ci siamo fatti la bocca, come si suol dire, cercando di parlare,
se non la stessa lingua, almeno di capirne il significato in modo simile.
Quest'anno, cioè dal settembre del 1995, ci siamo cimentati con un'enciclica
intera del Papa attuale, la "Centesimus annus".
Perché questo documento e non un altro?
Questa enciclica ha una caratteristica importante: è stata scritta a
cento anni dalla prima enciclica sociale della Chiesa, la "Rerum Novarum"
di Leone XIII e dopo i fatti dell'89, in particolare la caduta del muro di Berlino
e dei regimi comunisti dell'est europeo.
Questo ha dato spunto al nostro Pontefice per fare due operazioni: da una parte
ha ripercorso il cammino della dottrina sociale della Chiesa negli ultimi cento
anni, dall'altra, ha messo in luce i grandi cambiamenti economico-sociali che
la crisi delle economie socialiste metteva in gioco per il nostro futuro.
Schegge di sapienza
Gli spunti per dialogare
sono moltissimi e noi ci siamo dati alcuni temi-cornice che ci permettessero
di non "pascolare" per questo immenso prato.
Uno di questi temi lo abbiamo già affrontato, il lavoro, mentre ora
siamo alle prese con l'economia, per arrivare a definire il terzo tema, il
bene comune.
Qui è difficile riassumere ore di discussione, almeno un paio al mese
e ogni trimestre una mattinata intera, dedicate alla formazione, ma ci sembra
interessante mettere in comune con i lettori della rivista alcuni spunti,
scelti fra i molti interventi duante le serate e mattine di formazione.
Economia globale e soluzione suicida
"Oggi le economie
dell'est sono cadute e si va affermando un solo modello economico, i cui meccanismi
sono così complessi e giganteschi che noi siamo la pulce sull'elefante
e, pretendere di far tremare la terra su cui cammina il pachiderma è
pura follia.
Oggi vi sono mercati immensi come quelllo asiatico che è invaso dai
colonizzatori capitalisti senza regole e senza possibilità di essere
arrestati. Tecnologie che da noi sono proibite perché dannose, come
i frigoriferi al freon, diventano merce pregiata in Cina.
Le transazioni finanziarie sono di così ampia e rapida portata che
il nostro potere di intervenire è praticamente nullo.
Lo stesso concetto di lavoro si va modificando verso la esclusione di masse
sempre più grandi di uomini e donne senza qualifica, anziani, quindi
troppo costosi, senza speranza di reinserirsi anche se riqualificati."
La Chiesa che sorpresa
"Intanto la Chiesa
dice che questo modello economico a lunga scadenza non pagherà nessuno,
anzi è destinato all'autodistruzione, mentre l'attenzione alla persona
in tutti i suoi aspetti è pagante anche dal punto di vista economico."
"Sì, ma che potere ha la Chiesa di incidere sui meccanismi economici,
visto che le decisioni importanti si prendono altrove e non certo con una
sensibilità cristiana?"
Non Sogni, ma Segni
"Il potere dei cristiani,
in particolare di organizzazioni come la nostra, è quello di porre
dei segni di verità, delle indicazioni che dicono che si può
fare anche in un altro modo, che si possono creare condizioni per una economia
più umana, anche se saranno in 250 a sperimentarlo, sarà sempre
una affermazione di verità che nessuno potrà contestare.
Se ci illudessimo di poter cambiare il mondo, saremmo folli, e ci converrebbe
domani mattina chiudere Caritas e andare a lavorare in banca, dove guadagneremmo
di più e ci stresseremmo forse di meno, ma il nostro obiettivo non
è la trasformazione sociale, ma l'annuncio della salvezza come un fatto
concreto che si traduce nelle relazioni umane di tutti i giorni."
L'economia degli uomini e non dei dollari
"Prima lavoravo in una ditta, per otto anni, ma non partecipavo alle decisioni, non mi interessava se andava bene o male, non ero coinvolto mai nei problemi dell'azienda. Oggi lavoro in un posto dove ogni mattina so che dovrò misurarmi con delle persone e con esse camminare, sforzandomi di essere autentico e con la chiarezza che se le cose funzionano, dipende anche da me."
I "buoni" non siamo noi
"Non si tratta di essere migliori degli altri, né di cercare di essere più gentili, questo lo lasciamo ai Farisei di ogni epoca che ringraziano di non essere donne o negri, ma di camminare con davanti un obiettivo differente che non è la produzione di cose o di dollari, ma l'attenzione all'altro che come me fatica ogni giorno, magari con l'idea che gli hanno messo in testa che ormai non vale più niente. Potergli dimostrare, lavorando con lui, anche solo per sei mesi, che se lui non vale più un soldo, non valgo niente neanch'io, è più importante del fatturato."
Illusioni mortali?
"Non rischiamo così di illudere una persona che, uscita dai nostri programmi, si ritroverà nello stesso mondo spietato della legge del libero mercato?"
La Follia della Croce
"Forse,
se ci illudiamo di salvare la gente o di rovesciare le leggi economiche, ma
noi speriamo solo di aver detto a qualcuno che non è da buttare via e
che la sua persona è preziosa anche se fallirà cento volte. Del
resto la carriera di Gesù, nostro modello, non è stato un fallimento
progressivo, fino alla sconfitta della croce? Eppure alla distanza quella croce
ha qualche cosa da dire ancora nonostante siano passati duemila anni."