Caritas
Ticino risponde alla consultazione sulle "101 proposte di rilancio economico"
Riportiamo integralmente
la presa di posizione di Caritas Ticino inviata al Dipartimento delle Finanze
e dell'Economia il 12 giugno 1996
Le nostre riflessioni si basano sull'esperienza di Caritas Ticino presente e
attenta all'evoluzione della società ticinese dal 1942, ma più
particolarmente quale organizzatrice di Programmi Occupazionali per disoccupati
di lunga durata dal 1988.
Aver sviluppato in una prima fase attività a carattere artigianale e
successivamente a carattere più industriale per centinaia di persone
ogni anno - attualmente 120 posti a tempo pieno - ci ha permesso di costruirci
un nostro piccolo osservatorio sul fenomeno della disoccupazione, in particolare
di lunga durata, e di vedere già realizzate su modelli ridotti, ma abbastanza
indicativi, sinergie tra sociale ed economia che sempre più ci appaiono
come l'unica strada per sfuggire alla trappola dell'assistenzialismo.
In quest'ottica ci permettiamo di esporre alcuni interrogativi.
Quale modello di sviluppo sociale
Pur comprendendo che strategie e misure puntuali a breve e medio termine lascino
poco spazio ad analisi approfondite e globali, e a riflessioni filosofiche-sociali
sullo sviluppo complessivo, riteniamo comunque il documento carente nell'esplicitare
a quale modello di sviluppo sociale faccia riferimento, a che progetto di società
ticinese si voglia mirare. Vogliamo una società a due velocità
o vogliamo una società dove si realizza la coesione sociale?
Si parla di "interventi indiretti per migliorare le condizioni quadro dell'attività
economica" nei diversi ambiti della vita sociale, ma non ci si occupa di
integrare i servizi in un'ottica economica; solo la formazione e riqualificazione
sembrano essere punti nevralgici per la ripresa economica.
Misure per la ripresa economica partendo da strategie e modello di sviluppo
sociale
Per noi invece tutti i servizi alla persona, alla famiglia, ai gruppi sociali
devono essere al centro di un dibattito di sviluppo economico.
Diversamente avremo sempre una spaccatura concettuale, culturale e quindi di
vita, tra chi e che cosa fanno economia e chi e che cosa fanno servizi e assistenza.
Si parla tanto di assistenzialismo, di tagli agli sprechi dello stato sociale,
ma fino a quando i servizi rimarranno altro rispetto al concetto di economia
si continuerà a riprodurre e perseguire misure di ripresa e misure di
crisi in termini di dipendenza e non di promozione. A seconda del tipo di misure
economiche scelte, conseguirà poi un tipo di sviluppo sociale. Diversamente
noi vorremmo che il discorso avvenisse in modo inverso: strategie e modello
di sviluppo sociale con conseguenti misure puntuali per la ripresa economica.
Quindi obiettivi come flessibilità e deregolamentazione dei rapporti
di lavoro ci preoccupano abbastanza se applicate laddove la fragilità
e la precarietà dell'impiego sono già un dato di fatto, sono già
una condizione sociale, sono già una condizione esistenziale.
A noi sembra sia il momento di precisare a quali strategie e misure puntuali
sulla qualità della vita dobbiamo fare riferimento per ripensare le misure
economiche.
Solo una politica attenta alla persona con gli strumenti indicati nel piano,
come aiuti alle imprese maggiori, infrastrutture tecniche e tecnologiche ecc.,
possono diventare motore e volano di ripresa economica.
Se la LADI non parla con la LAS
Crediamo che oltre alla collaborazione del Dipartimento Istruzione si debba
mettere in conto una partecipazione diretta del Dipartimento Opere Sociali se
si vuole parlare di economia. Le possibilità della LADI dovrebbero essere
armonizzate con quelle della LAS, per quanto riguarda in particolare le misure
occupazionali, perché si tratta sempre delle stesse persone disoccupate
che rischiano di passare da un compartimento stagno ad un altro che, pur affrontando
lo stesso problema, non comunica col primo. Passare dal vagone LADI al vagone
LAS, se non comunicano fra loro, sarà per molti disoccupati come passare
da un'illusione all'altra inseguendo soluzioni che così non si troveranno.
Interpretiamo il fatto di aver omesso nel documento qualunque accenno alla LAS,
come la paura di confondere le misure occupazionali, soprattutto i programmi,
con forme di tipo assistenzialistico. Ma in ciò vediamo un pericoloso
errore di prospettiva: se i programmi occupazionali (LADI) sono intesi solo
come formazione/riqualifica e successivamente reinserimento nel mercato tradizionale,
visto che in questo mercato non ci sono più posti sufficienti per tutti,
allora anche queste misure non hanno più senso, in quanto non potranno
mai raggiungere quell'obiettivo del reinserimento di tutti i disoccupati nel
mercato attuale. Così impostati i programmi occupazionali LADI rischiano
fortemente di essere solo palliativi di stampo assistenzialistico tanto quanto
le misure della legge assistenza per i disoccupati di lunga durata qualora non
abbiano una prospettiva economica. La differenza sostanziale non è nel
passaggio da una legge all'altra ma di concezione imprenditoriale/promozionale
che può essere presente in entrambe le leggi.
Non crediamo si possa parlare di ripresa senza capovolgere il concetto di assistenza
corrispondente a spesa passiva, cioè a pedaggio da pagare sull'autostrada
dello sviluppo.
Quanti sono i disoccupati fuori dai dati dei computer dell'Ufficio del Lavoro
ma dentro quelli dell'Ufficio Assistenza? Quanti ne faranno il passaggio tra
breve? Che tipo di disoccupazione é quella presente nella LAS?
Siamo tutti coscienti che la LADI copertine/copre solo una parte della disoccupazione?
Come pensiamo di affrontare i problemi delle migliaia di persone che transiteranno
dalla LADI alla LAS?
Si possono pensare programmi occupazionali di lunga durata e non limitati a
6 mesi che diventano 5 e1/2 con le vacanze obbligatorie?
E' possibile pensare alle revisioni della legge cantonale sul sostegno all'occupazione
e ai disoccupati che possa costituire un ponte tra disoccupati LADI e disoccupati
LAS?
Che la riqualificazione, la formazione, il reinserimento, l'organizzazione di
Programmi Occupazionali possano essere strumenti anche LAS?
Paradossalmente "appartenere" alle competenze di un dipartimento o
di un altro, di uno o dell'altro ufficio, può cambiare lo stato sociale,
i diritti sociali e di fatto la dignità personale: il disoccupato, sempre
la stessa persona, indipendentemente dalle sue potenzialità e dalle probabilità
di reinserimento, quando finisce il diritto alle indennità di disoccupazione
e fa domanda di assistenza se non ha mezzi propri, cambiando ufficio e dipartimento
cambia statuto e diventa assistito, con probabilità nulle o quasi di
ritornare nel computer della disoccupazione. E dall'anno prossimo chi finirà
il diritto alle indennità di disoccupazione non potendo più partecipare
a nessuna misura LADI sarà automaticamente solo un potenziale assistito
di competenza del DOS.
Quindi auspichiamo vivamente che si ripensi non più in termini di leggi
dipartimentali ma di leggi e interventi per "omogeneità" di
bisogni.
I Programmi Occupazionali non devono presentare solo costi
Crediamo nei programmi occupazionali, riconfermati e sostenuti nel documento,
come una possibilità interessante anche se per l'esperienza fatta ne
vediamo i pericoli. Riteniamo soprattutto che si debba allargare il ventaglio
di opportunità anche a settori produttivi, primari e secondari. I nostri
programmi nonostante il freno di una giusta preoccupazione di non concorrenzialità
col mercato, riescono a guadagnare almeno il 15/20% dei costi di gestione, che
date le dimensioni superano il milione di franchi, e ciò talvolta sembra
addirittura creare qualche preoccupazione a livello di LADI invece di essere
motivo di soddisfazione perché si diminuisce il carattere assistenziale
di questa misura. Ma secondo noi non é sostenibile che i Programmi Occupazionali
presentino solo costi come é previsto nella nuova legge LADI. Questo
significa anche deresponsabilizzazione e marginalità sociale!
Noi crediamo invece che i Programmi Occupazionali possono essere attività
economicamente valide se inserite in un quadro puntuale di progettazione, pianificazione
e programmazione economica e sociale.
Possono essere elementi di valorizzazione: ambientale, con riciclaggio, recupero
ecc.; di mercato, con sostegno alla produzione di beni importati (vedi orticoltura
e semilavorati dell'industria); di qualità di prodotto (vedi sostegno
a produttori associati per acquisizioni di nuovi mercati (anche esteri) con
maggiore qualità di prodotto.
Questo ci porta a considerare che sia possibile parlare di Programmi Occupazionali
anche per chi nel mercato attuale non sarà più inserito e finirà
in assistenza. Quindi permettere il guadagno di uno stipendio ora corrisposti
bene o male in termini di "assistenzialismo" e di esclusione, sia
che si tratti di indennità di disoccupazione sia di prestazioni assistenziali.
Quanto costano "economicamente parlando" i servizi erogati derivanti
da comportamenti di emarginazione sociale? Sanità, assistenza, misure
di sicurezza? ecc.
Di fatto parlare di Programmi Occupazionali di lunga durata ci sembra un investimento
economico e sociale di notevole portata.
In questa prospettiva però non bastano più inviti e pubblicizzazione
per l'organizzazione di Programmi Occupazionali, ma servono sostegni decisi
a progettazioni e programmazioni con ricerche di mercato e progettualità
economica.
Caritas Ticino sta sperimentando alcune strade come quella del riciclaggio del
materiale elettronico e dei tessili e dell'orticoltura. Da queste esperienze
e dall'investimento nella programmazione e pianificazione ci rendiamo conto
che si potrebbe fare molto battendo piste nuove che potrebbero persino permettere
di riportare in Ticino attività che sono state esportate. Ma tutto ciò
ha bisogno di essere studiato con mezzi adeguati, e non può essere lasciato
solo all'iniziativa di organizzazioni come Caritas Ticino che non potranno mai
disporre di mezzi pianificatori se non su sperimentazioni di dimensioni contenute.
L'esempio dell'orticoltura ai disoccupati
Fra disoccupazione e agricoltura, nel documento, sembra non esserci nessun nesso,
che vogliamo invece fare notare visto che siamo impegnati con il nostro Programma
Occupazionale in orticoltura con due aziende, S.Maria di Pollegio e Isola Verde
di Cadenazzo, con 48 posti di lavoro complessivi sull'arco dell'anno, e crediamo
sia stata una scelta di campo molto favorevole sia per gli aspetti formativo-occupazionali
per i disoccupati sia per la situazione di mercato in cui non abbiamo problemi
di concorrenza.
Ad una analisi molto superficiale del mercato del lavoro in orticoltura ci pare
che l'occupazione nel settore sia quasi esclusivamente di tipo stagionale con
stranieri; sicuramente per problemi di stipendio/ore settimanali di lavoro,
ecc.
Ora fuori da pruriti xenofobi o razzisti ci sembra che l'inserimento in questo
settore di personale disoccupato indigeno (senza penalizzazione per le aziende,
rapportando stipendi e orari alla attuale situazione e poi integrare il tutto
con maggiorazioni adeguate) potrebbe essere una prospettiva per l'occupazione
magari con Programmi Occupazionali particolarmente attrezzati. Abbiamo già
sottoposto quest'idea all'Ufficio Cantonale del Lavoro che l'ha accolta positivamente.
Questo esempio può forse dare meglio la misura della preoccupazione che
ormai da tempo esprimiamo e che non ci sembra essere presente nel documento
in consultazione: vorremmo infatti che si superasse l'idea riduttiva dei programmi
occupazionali intesi solo come occasione di formazione/riqualifica professionale
e di attività non produttiva.
Molte altre osservazioni potrebbero essere oggetto di discussione e meriterebbero
un approfondimento maggiore che sarà forse possibile in altra sede.
Ringraziamo per l'attenzione che si vorrà dare a questo nostro tentativo
tutt'altro che esaustivo di focalizzare alcune preoccupazioni che ci sembrano
importanti nella riflessione in atto.