Politiche
sociali: cambiare, ma come?
La parola al direttore dell'Istituto delle assicurazioni
sociali Carlo Marazza
A cura di Mimi Lepori
Continua il dibattito
sula cambiamento delle politiche sociali; dopo il giudice Daniele Cattaneo e
l'economista Christian Marazzi, Caritas Insieme incontra su questo numero Carlo
Marazza.
D: Solo alcuni anni fa eravamo in pochi a parlare e a scrivere di assicurazioni
sociali, di politiche sociali. Oggi tutti (troppi) ne parlano proponendo loro
analisi e loro soluzioni. Dal suo osservatorio cos'è cambiato in questi
anni?
Carlo Marazza*: I mutamenti economici e l'accellerazione dei cambiamenti
sociali, richiedono molta capacità e disponibilità per capire
quali sono i problemi e rispondere con buone soluzioni.
Finché le cose andavano bene e l'economia tirava, a parte gli addetti
ai lavori, pochi s'interessavano di sicurezza sociale. Oggi se ne parla soprattutto
e troppo in termini economici, perché l'obiettivo è troppo spesso
solo finanziario.
Benché il futuro delle nostre assicurazioni sociali dipenda molto da
questo aspetto, questo approccio è riduttivo. Le politiche finanziarie
generano degli interventi a corto termine; le politiche sociali, e soprattutto
la sicurezza sociale, necessitano di strategie a medio ed a lungo termine.
La ricerca di una migliore qualità di vita e la difesa di determinati
valori e principi, non solo con il benessere materiale, assume sempre più
importanza nella nostra società. Penso che ciò costituirà
un importante elemento dell'evoluzione sociale. Questa è la grossa sfida,
il grande cambiamento epocale che ci aspetta e del quale si discute sempre più.
In questo senso le politiche economiche e finanziarie dovrebbero essere al servizio
delle politiche sociali (fra le quali annovero pure quelle ambientali).
Così facendo eviteremmo quell'eccessivo economicismo che oggi impera
e che dimentica o semplifica le attuali e future realtà sociali (difficili
da definire e quantificare).
Nessuno ha la soluzione magica, ma semplificare i problemi non è la scorciatoia
da prendere.
Durante la giornata di studio sul sistema dei tre pilastri svoltasi a Berna
lo scorso 14 maggio, ho perorato la necessità di lanciare in Svizzera
un dibattito sul futuro (quali visioni) della nostra sicurezza sociale. Purtroppo
ho constatato il timore che aleggia nel nostro paese nell'affrontare, in modo
innovativo e non reattivo, certi temi (v. AVS, AI, assicurazione disoccupazione
ed assicurazione malattia).
È più facile affrontare i vari argomenti in modo separato, ma
ciò non è più confacente per rispondere ai cambiamenti
in atto.
Un difetto del nostro paese è lavorare a compartimenti stagni, e mi limito
alla sicurezza sociale svizzera. Ciò discende dall'attuale impostazione
e concezione analitica della stessa (cfr. art. di D. Cattaneo, Caritas insieme,
n. 2/96). Infatti, purtroppo pochi se ne sono accorti.
Nella Svizzera interna si discute ancora, anche in ambito universitario, dell'approccio
causale e finale per definire la differenza fra assicurazioni sociali ed assistenza
sociale. Non è forse giunta l'ora di svegliarsi e parlare anche dell'approccio
analitico e funzionale della nostra sicurezza sociale? La conoscenza è
un presupposto per cambiare.
D: Ma allora stiamo andando verso una medicalizzazione del mercato e della
società?
R: Il ruolo fondamentale della sicurezza sociale è quello di contribuire
concretamente alla piena libertà personale di tutti, grazie alla pari
opportunità nella possibilità di accesso alla ricchezza e ad una
vita di soddisfazioni.
Essa ha contribuito molto ad attenuare la povertà, benché analiticamente
non annoveri questo rischio fra quelli tutelati. Inoltre, la sicurezza sociale
sta assorbendo ed attenuando moltissimo i problemi causati dall'apertura dei
mercati e dalle nuove tecnologie. Essa è la migliore politica di coesione
sociale, valore che sorregge il nostro benessere. Saremo in grado di gestire
e finanziare la transizione in questo importante periodo storico di cambiamenti?
D: In Ticino alcuni anni fa si è parlato molto di reddito minimo garantito.
Poi più nulla. Durante la presentazione del rapporto sui tre pilastri
lei ha di nuovo avanzato questa ipotesi che soprattutto in svizzera interna
non trova eco. Perché è convito che sia ancora una buona soluzione?
R: Dal punto di vista della sicurezza sociale, il dibattito sulla povertà
solleva il problema della garanzia del fabbisogno vitale con un reddito minimo
ed il diritto al benessere di base. Ma quale reddito sociale minimo?
Un reddito sociale sostitutivo che rimpiazzi la nostra sicurezza sociale oppure
un reddito sociale compensativo, che personalmente sostengo, che completerebbe
il nostro sistema di sicurezza sociale con la partecipazione alle spese, i mezzi
categoriali, i mezzi generali?
Non bisogna dimenticare un aspetto costituzionale: il federalismo. In effetti
la realizzazione di un reddito minimo in Svizzera deve considerare la nostra
struttura federalista.
Da un lato troviamo le prestazioni complementari all'AVS/AI che assicurano in
tutta la Confederazione il diritto ad un reddito minimo garantito, con delle
prestazioni pecuniarie, per le persone anziane, i superstiti e gli invalidi.
Dall'altro i cantoni non conoscono solamente l'assistenza sociale che interviene
in maniera generale per le altre categorie della popolazione. Esistono, a livello
cantonale, altre prestazioni in denaro per le famiglie, i disoccupati, gli studenti,
gli assicurati malattia e delle prestazioni in servizi quali la formazione,
la reintegrazione professionale e l'inserimento.
In Ticino si sta concretando l'integrazione dell'assistenza sociale nella sicurezza
sociale per le famiglie mono- e biparentali. Questo grazie alla nuova legge
sugli assegni familiari che aiuta i genitori che si occupano dei propri figli.
Un forte elemento di integrazione sociale è, contrariamente all'assistenza
sociale che esclude, la caratteristica di questa legge. Questo progetto porta
la politica familiare fuori dai limiti della politica assistenziale.
Il dibattito sull'avvenire della sicurezza sociale (tre pilastri, reddito minimo
d'inserimento per citare solo quelli che ci interessano) deve essere basato
sul fatto di sapere come potrebbero essere colmate le lacune attraverso delle
riforme interne al sistema, appoggiandosi sul sistema della sicurezza sociale.
Questo non significa concentrarsi solamente sui dettagli.
Se si può concepire l'utilizzo del modello delle prestazioni complementari
per rispondere alla domanda della garanzia di un reddito disponibile minimo,
la risposta all'inserimento cambia secondo la situazione personale nella quale
ci si trova (famiglia, disoccupato di lunga durata, studente, persona divorziata,
emarginato). In effetti, il diritto al minimo vitale ha come oggetto una relazione
sociale e non un assegno. Qui risiede la differenza fra la sicurezza sociale
che si appoggia su di un valore (la solidarietà) e l'assicurazione sociale
che è una tecnica. L'AVS, soprattutto con la decima revisione, ci mostra
bene la distinzione.
Dovremo rispondere alle lacune del sistema utilizzando le misure di accompagnamento
ed inserimento proprie alle differenti forme di azioni sanitarie, sociali, familiari,
professionali esistenti e gli istituti sociali.
L'armonizzazione delle diverse misure d'intervento sociale a carattere compensativo
ed attribuite ai cantoni, realizza, contenendo realmente i costi, l'esistenza
dei cittadini con la garanzia di un reddito minimo orientato all'inserimento.
In Ticino stiamo andando proprio in questa direzione.
D: I disoccupati usciranno dalla legge sulla disoccupazione; c'é chi
entrerà nell'AI chi nell'assistenza. Ci sono proposte alternative? Cosa
fare con questo esercito di nuovi poveri?
R: Lo Stato (pensiamo al Cantone), condizionato dalla diminuzione dei ricavi
(la spesa è sotto controllo) si trova in una situazione difficile, che
non gli permette di finanziare programmi statali importanti.
D'altra parte l'economia sta riducendo i posti di lavoro in paesi come il nostro,
trasferendoli nei paesi che non possiedono ancora strutture sociali costose.
La risposta alla disoccupazione è comunque la creazione di posti di lavoro.
Non possiamo limitarci a finanziare la disoccupazione, correndo il rischio di
suddividere la società fra lavoratori e disoccupati. La domanda è:
come? Usufruendo in parte dei fondi dell'assicurazione contro la disoccupazione
per finanziare l'occupazione.
È importante che pure l'assicurazione invalidità contribuisca
a rompere questo ciclo vizioso, intervenendo in funzione preventiva per evitare
l'invalidità come conseguenza della disoccupazione. Spero che l'AI colga
l'occasione della prossima 4a revisione della legge per rispondere a questa
necessità.
D: L'ultimo rapporto uscito dal Dipartimento degli interni illustra l'insieme
delle assicurazioni sociali e il deficit che esse avranno entro l'anno 2010?
La sua reazione? ci sono proposte per contenere il deficit?
R: Facciamo attenzione ad applicare con cognizione di causa e con buona
conoscenza della nostra realtà i concetti pseudo-economici, come li definisce
Dahrendorf, ai servizi forniti dallo stato. Diversamente il rischio di ridurre
e strumentalizzare il dibattito al solo aspetto economico è serio e lo
si percepisce adesso, dopo le polemiche scaturite con la pubblicazione del rapporto
interdipartimentale sulle prospettive di finanziamento delle assicurazioni sociali
federali.
Ci sono due modi di analizzare criticamente e sul piano logico le nostre teorie:
uno scorretto e l'altro corretto. Il modo scorretto e dogmatico cerca di dimostrare
e giustificare la nostra tesi.
Quello corretto cerca di procedere ad una discussione critica e cerca di evidenziare
le conseguenze delle nostre teorie e se queste sono accettabili o meno. A noi
necessita questo secondo approccio e non il primo, che fu definito da Karl Popper
nel suo ultimo libro "il mito della cornice".
Il lavoro cambia e tutti ne parlano. Il finanziamento delle assicurazioni sociali
è ancora legato a vecchi modelli. È quindi necessario modificare
il tradizionale connubio tra reddito e lavoro. Ciò non significa comunque
stravolgere tutto, bensì ricercare il giusto equilibrio fra finanziamento
contributivo e non contributivo.
*Carlo Marazza è nato nel 1956. Giurista ed avvocato alle dipendenze
dello Stato dal 1987, dal 1990 è direttore dell'Istituto delle assicurazioni
sociali.È attivo in diverse commissioni e gruppi federali sulle assicurazioni
sociali e vice-presidente della Conferenza svizzera delle casse cantonali di
compensazione AVS.