Santi
da scopertine/coprire a cura di Patrizia Solari
Massimiliano Kolbe
Il prossimo 14
agosto il calendario liturgico ci indica la festa di San Massimiliano Kolbe.
E' una figura molto conosciuta, a causa del suo gesto estremo: offrire la sua
vita al posto di un prigioniero di Auschwitz. E questo fatto sembrerebbe esaurire,
nella sua radicalità, qualsiasi "discorso" sulla sua persona.
Ma noi, con Antonio Sicari, "vogliamo piuttosto imparare a comprendere
quel suo gesto così decisivo sullo sfondo di tutta la sua esistenza:
la sua vocazione, gli ideali coltivati, l'infaticabile operosità, la
'ostinata' missionarietà, perfino ciò che a qualcuno potrebbe
sembrare 'eccessivamente integrista', e che invece esprime la integralità
della sua fede. Per non correre il rischio di staccare artificialmente la sua
morte dalla sua vita." 1)
Coglieremo in particolare alcuni aspetti che potremo paragonare alla nostra
esperienza presente, per trarne alcune umili analogie.
"P. Massimiliano Kolbe fu figlio del suo tempo e della sua terra: nacque
nel 1894 in un paesino polacco, da genitori che gestivano un piccolo laboratorio
di tessitura. Morì a 47 anni, nel 1941 ad Auschwitz. Entrò nel
seminario dei francescani conventuali nel 1907, a tredici anni; novizio a 16
(1910)." Dal 1912 al 1919 studia a Roma dove si laurea, nel 1915 in filosofia
e nel 1919 in teologia. "Si interessa di fisica e di matematica e giunge
fino a progettare nuovi tipi di aerei ed altre apparecchiature."
Il suo impegno travolgente nel mondo affonda le sue radici in una profonda devozione
alla Madonna. "Il giovane Massimiliano ha una concezione cavalleresca della
vita, al modo degli antichi cavalieri medievali: ma la sua dama è la
Madonna" per la quale ha una "devozione totale e gentile" e la
chiama "con i nomi più teneri e familiari, come solo i polacchi
sanno fare". Siccome è convinto che "è iniziata 'l'Era
dell'Immacolata', quella in cui Maria dovrà -come dice la Genesi- schiacciare
la testa al serpente" fonda un'associazione che chiamerà "Milizia
dell'Immacolata".
A proposito delle possibili accuse di integrismo cui si accennava più
sopra, scorrendo gli statuti autografi della "Milizia", ci si rende
conto di come non avesse affatto "un programma spiritualistico e non descrivesse
tanto un''opzione religiosa', ma una scelta globale."
Dopo aver descritto i luoghi dove era necessario che i Cavalieri dell'Immacolata
si impegnassero ("educazione della gioventù, direzione dell'opinione
delle masse, belle arti, scienze, industria, commercio, banche") il programma
conclude dicendo: "In una parola la Milizia impregni tutto e in uno spirito
sano guarisca, rafforzi e sviluppi ogni cosa alla maggior gloria di Dio, per
mezzo dell'Immacolata e per il bene della comunità."
Per realizzare questo progetto, nel 1927 Massimiliano Kolbe inizia la costruzione
di un'intera città a circa 40 km da Varsavia e la chiama "Niepokalanow":
città dell'Immacolata.
Ecco la descrizione della prima realizzazione: "Una vasta area libera per
la costruzione di una grande basilica dell'Immacolata... Un complesso-editoria:
la redazione, la biblioteca, la tipoteca, il laboratorio dei linotipisti, la
zincografia con i gabinetti fotografici, le tipografie..., ed ancora i vari
reparti di legatoria, dei depositi e delle spedizioni. L'ala sinistra comprendeva,
in fabbricati distinti, la cappella, l'abitazione dei religiosi, il postulandato,
il noviziato, la direzione generale, l'infermeria e, alquanto distanziata, la
grande centrale elettrica. E poi, sparsi un po' ovunque, le officine dei fabbri
e dei meccanici, i laboratori per i falegnami, per i calzolai, per i sarti,
nonché le grandi rimesse per i muratori e il corpo pompieri. (...) c'erano
il parco macchine, la piccola stazione ferroviaria (...); previsto anche l'aeroporto
con quattro velivoli e un progetto di stazione radio trasmittente." La
Provincia francescana, prima del ritorno di Massimiliano da Roma, contava poco
più di un centinaio di religiosi. "Dopo una decina di anni (...)
a Niepokalanow vivono 762 religiosi: 13 sacerdoti, 18 chierici, 527 religiosi
conversi, 122 giovani aspiranti sacerdoti, 82 giovani aspiranti religiosi conversi."
Questa era la capacità di Massimiliano Kolbe di trascinare gli altri
dietro il suo ideale.
"I religiosi di Niepokalanow devono essere poverissimi, ma avere a disposizione
quanto di meglio c'è sul mercato: dall'aereo alle rotative ultimo modello.
I frati di Massimiliano sono capaci di tutto: dall'organizzare il corpo pompieri
a prendere il brevetto di pilota, a studiare per diventare direttore d'orchestra
(...) a imparare i sistemi di regia cinematografica." E da parte sua Massimiliano
"se ne intendeva di tutto: di motori, di biciclette, di linotype, di radio;
conosceva quello che costava poco e quello che costava molto; sapeva dove, come
e quando era opportuno comperare... Non c'era sistema di comunicazione troppo
veloce per lui. Il veicolo del missionario, diceva spesso, dovrebbe essere l'aereo
ultimissimo modello."
Con un linguaggio che a noi può apparire estremo, ma che, letto e calibrato
nel contesto storico di allora, ci richiama la preoccupazione ultima e la passione
che dovremmo avere tutti, ecco come Massimiliano Kolbe descrive la vita della
sua comunità: "(...) ha un tono un pochino eroico, quale è
e deve essere Niepokalanow se veramente vuole conseguire lo scopertine/copo che si prefigge,
vale a dire non solo di difendere la fede, di contribuire alla salvezza delle
anime, ma con ardito attacco, non badando affatto a se stessi, conquistare all'Immacolata
un'anima dopo l'altra, un avamposto dopo l'altro, inalberare il suo vessillo
sulle case editoriali dei quotidiani, sulla stampa periodica e non periodica,
sulle agenzie di stampa, sulle antenne radiofoniche, sugli istituti artistici
e letterari, sui teatri, sulle sale cinematografiche, sui parlamenti, sui senati,
in una parola dappertutto sulla terra. (...) Allora cadrà ogni forma
di socialismo, di comunismo, di eresie, gli ateismi, la massoneria e tutte le
altre simili stupidaggini che provengono dal peccato... Così io mi immagino
Niepokalanow."
L'utilizzo della stampa ebbe per Kolbe un'importanza fondamentale. A Niepokalanow
si stampavano otto riviste per parecchie centinaia di migliaia di copertine/copie. Nella
nuova città fondata in Giappone, "Il giardino dell'Immacolata",
padre Massimiliano, senza sapere una parola di giapponese, intraprese l'edizione
della versione locale de 'Il Cavaliere dell'Immacolata', la rivista più
importante, che in patria era tirata in un milione di copertine/copie e per la quale erano
previste traduzioni in italiano, inglese, francese, spagnolo e latino.
Con queste ../../../../ descrive il suo ideale: "Bisogna inondare la terra
con un diluvio di stampa cristiana e mariana, in ogni lingua, in ogni luogo,
per affogare nei gorghi della verità ogni manifestazione di errore che
ha trovato nella stampa la più potente alleata; fasciare il mondo di
carta scritta con parole di vita per ridare al mondo la gioia di vivere."
Un suo biografo sintetizza così la teologia senza mezzi termini di padre
Kolbe: "Si ostinò a credere, a dire, a scrivere che la verità
è una sola: quindi un solo Dio, un solo Salvatore, una sola Chiesa; gli
uomini, tutti gli uomini, di conseguenza, sono chiamati ad aderire ad un solo
Dio, ad un solo Salvatore, ad una sola Chiesa. A quell'ideale consacrò
e immolò la sua vita di missionario della penna, come amava definirsi."
Un uomo così non poteva certo sfuggire alla furia nazista. "Fu arrestato
una prima volta assieme ad alcuni suoi frati. (...) In un primo tempo la Città
dell'Immacolata fu adibita a ospedale con un ufficio della Croce Rossa. Pian
piano si riempiva di rifugiati e di scampati, accolse 2000 espulsi dalla Posnania
e alcune centinaia di ebrei. I tedeschi cominciarono a considerarla come un
campo di concentramento. Liberato una prima volta, P. Kolbe riorganizzò
la città per la sopravvivenza di tutti i rifugiati organizzando infermeria,
farmacia, ospedale, cucine, panetteria, orto e altri laboratori. Il 17 febbraio
1941 viene arrestato per la seconda volta. Dice: "Vado a servire l'Immacolata
in un altro campo di lavoro'. Il nuovo campo di lavoro è quello di Auschwitz.
Tutta l'energia di questo uomo fisicamente fragilissimo (malato di tisi, con
un solo polmone) è ora messa a confronto con la sofferenza più
atroce. Una sofferenza che lo colpisce sistematicamente, come gli altri e più
degli altri, perché appartiene al gruppo dei preti, quello che per odio
e maltrattamenti è accomunato agli ebrei." Il resto è storia
nota.
"Padre Kolbe uscì dalla fila e si diresse diritto, 'a passo svelto'
verso il Lagerführer Fritsch, allibito che un prigioniero osasse tanto.
Per il Lagerführer Fritsch i prigionieri erano solo numeri. P. Kolbe lo
costrinse a ricordare che erano uomini, che avevano una identità. 'Che
cosa vuole questo sporco polacco?'. 'Sono un sacerdote cattolico. Sono anziano
(aveva 47 anni). Voglio prendere il suo posto perché lui ha moglie e
figli'. La cosa più incredibile -il primo miracolo di Kolbe e attraverso
Kolbe- fu il fatto che il sacrificio venne accettato. Lo scambio, con la sua
affermazione di scelta e di libertà e di solidarietà, era tutto
ciò contro cui il campo di concentramento era costruito. Il campo di
concentramento doveva essere la dimostrazione che 'l'etica della fratellanza
umana' era solo vigliaccheria. (...) Il principio umanitario secondo l'ideologia
nazista era una menzogna giudeo-cristiana. (...) Che Fritsch accogliesse il
sacrificio di Kolbe e soprattutto accogliesse lo scambio (avrebbe dovuto almeno
decidere la morte di ambedue) e quindi il valore e l'efficacia del dono, fu
qualcosa di incredibile. Era infatti un gesto che dava valore umano al morire,
che rendeva il morire non più soggezione alla forza, ma offerta volontaria.
(...) Da quel giorno, da quella accettazione, il campo possedette un luogo sacro."
Disse l'allora Card. Wojtyla: "Come sacerdote accompagnò il gruppo
dei nove candidati alla morte. Non gli importava unicamente di salvare il decimo:
si sentiva spinto ad accompagnare nel morire gli altri nove. Dall'istante in
cui si sprangò la porta della cella dei condannati, sentì la sua
responsabilità per tutti, non solo per i suoi compagni di sventura, ma
anche per tutti gli altri che, rinchiusi nel blocco della morte, morivano di
fame, lanciando alte grida che, chiunque passasse, poteva udire. Il fatto è
che dall'istante in cui padre Kolbe fu tra di loro, gli sventurati si sentirono
immediatamente protetti e non più abbandonati e senza aiuto, tanto che
le celle nelle quali attendevano quell'impietosa morte, cominciarono a risuonare
di preghiere e inni sacri." 2)
Due insegnamenti "ci restano contemplando il volto di P. Kolbe. (...) ha
dato la vita, accettando di morire, dopo che aveva spese tutte le sue energie
per la costruzione di un mondo diverso, di un mondo nuovo, di un centuplo quaggiù.
Il martirio non fu una fuga devota. Fu la pienezza della sua energia vitale.
Nel secondo insegnamento P. Kolbe ci dice che la stoffa di cui sono fatti i
martiri non è quella di chi nella vita si èdivertito col pluralismo
e con l'irenismo ad ogni costo, anche se li chiama 'dialogo' ed 'ecumenismo'.
Esiste certamente un modo giusto di considerare questi valori (che è
il modo della carità, non della perdita di identità), ma tante
volte essi sono soltanto usati per preservarsi, per non dovere 'dare la vita'.
P. Kolbe definiva la fede con una nettezza impressionante, e con altrettanta
decisione la propagandava e la voleva incarnare in tutti gli spazi della vita
culturale e sociale; e seppe avere tanta carità da essere il primo 'martire
della carità'. Proprio con questo titolo, mai utilizzato prima, è
stato canonizzato da Giovanni Paolo II".
1) Questa e tutte le altre citazioni sono tratte da A.Sicari, RITRATTI DI
SANTI, Jaca Book, 1988
2) F.X. Lesch, DER SELIGE MAXIMILIAN KOLBE, Parvis-Verlag, 1974 (nostra traduzione),
da cui sono tratte anche le foto qui riprodotte