Famiglie
mute: il mito della COMUNICAZIONE
di copertine/copPIA
Nella
società della comunicazione, le famiglie fanno sempre più fatica a parlarsi:
un viaggio nel silenzio fra le mura domestiche
Di Dante Balbo
I giochi perversi
Tutti sono preoccupati, per lo stato di salute della famiglia in crisi,
che non comunica più, che si separa, che si frantuma.
Gli uni gridano allo scandalo della perdita dei valori, dellegoismo imperante,
prospettando la necessità di ritrovare la stabilità delle istituzioni e di quella
famigliare in particolare, pena lapocalittico sfasciarsi dellintero
assetto sociale.
Gli altri, apparentemente più realisti, dicono che la famiglia è cambiata, che
oggi vi sono semplicemente più modelli famigliari di fatto, che bisogna imparare
a convivere con una società in mutamento, in cui le "nozze doro"
saranno un evento sempre più raro.
In mezzo a questo scontro, che sembra insanabile, ci sono loro, le persone,
le famiglie, che effettivamente non stanno troppo bene, ma non sanno come fare
a rimediare.
Certo ci sarebbero i valori da recuperare, ma prima di tutto uno non crede di
aver perso proprio niente, e, anche quando si rende conto di aver puntato sulle
mete sbagliate, non è dicendosi adesso cambio, che potrà voltare pagina.
Potremmo allora risolvere la questione dicendo che la famiglia cambia e bisogna
adattarsi, ma i disagi di fronte ad una separazione o a un divorzio ci dicono
che non è così semplice.
Sono addirittura nate scuole di pensiero, corsi di mediazione famigliare per
aiutare la copertine/coppia a fare una "buona separazione", ma non bastano a
colmare il senso di vuoto che coglie soprattutto la generazione di mezzo.
Perché il business delle psicologie, e le risposte magiche, dei corsi per imparare
a comunicare ha così buon gioco se tutto va bene?
Perché questi valori in cui tutti dicono di credere, sono gli stessi di cui
tutti denunciano la scomparsa?
Cè qualcosa di perverso in tutti questi tentativi di insegnarci come comunicare,
senza che nessuno si preoccupi di sapere che cosa abbiamo da dirci.
Eppure è proprio in questa complessità, abbracciata e non negata, smascherata
nelle sue fragilità, ma non condannata, che dobbiamo muoverci per parlare di
famiglia e comunicazione.
Tentiamo allora di uscire
dalla logica del tutto va bene o del tutto va male, per avvicinarci alla famiglia
come luogo di scambio, spazio di formazione della persona, centro in cui, bene
o male, ognuno di noi, coniuge o figlio, si mette in gioco.
Comunicare, ma chi lha detto?
Alice si sentiva un po irritata dalle brusche osservazioni del Bruco
e se ne stette sulle sue, dicendo con gravità: - Perché non cominci tu a dirmi
chi sei?
- Perché? - disse il Bruco.
Ecco una domanda imbarazzante, interessante, ma che riporta la questione del
comunicare in generale, non solo nella famiglia, alle sue radici.
Negli anni 70 e fino ad oggi sono sorte mille scuole che tentano di insegnarci
come comunicare, con il corpo, con le parole, con le tecniche di osservazione,
con il sesso, con la persuasione occulta più o meno, ecc.
I giornali di costume, si chiamano così quelle pubblicazioni che tutti disprezzano,
ma fanno scuola per lorganizzazione anche dei telegiornali, non mancano
regolarmente di fornirci utili consigli su come vendere meglio la nostra immagine,
curare i rapporti interpersonali, dentro e fuori dalla copertine/coppia.
Vi sono enciclopedie a fascicoli sul rapporto fra i partners, sul rapporto con
i figli, sulla gestione della "crisi".
E la letteratura è solo un aspetto, perché bisogna tenere conto anche di tutti
i corsi di formazione, i fine settimana di ricerca personale e di gruppo.
Nessuno, almeno che io sappia, si pone tuttavia una questione di base: perché
devo comunicare, perché devo farlo come se ad ogni istante dovessi vendere qualcosa?
Perché devo sentirmi Ok, perché il nostro rapporto deve funzionare?
In questo credo stia uno dei più grossi equivoci della nostra cultura dellimmagine
e del marketing. Il principio che viene tradotto anche nellambito della
comunicazione è: bisogna vendere, vendere meglio che si può, non importa cosa,
purché appaia un prodotto appetibile.
Gran parte quindi del nostro
disagio sta nella necessità di adeguarci a questo criterio: la comunicazione
è obbligatoria.
Se non comunico, soprattutto, se non lo faccio bene, sono tagliato fuori, escluso
dal mondo e incapace di manifestare la mia personalità.
Comunicare, ma cosa?
Seguendo la logica della cultura contemporanea, ci troviamo davanti ad un
problema. Se è vero che il prodotto poco conta nella vendita, è anche vero che
quando si parla di comunicazione fra le persone non si può completamente astrarre
dai comunicatori.
Per unorganizzazione sociale basata sulla vendita, tuttavia, una falla
nel sistema comprometterebbe lintera struttura.
Se le persone cominciassero a scegliersi per i contenuti, a comunicare selezionando
ciò che realmente interessa, eserciterebbero un reale giudizio selettivo, che
potrebbero estendere anche al resto del mondo acquistabile, mandando in crisi
il sistema delle vendite come organizzato attualmente.
Si può però risolvere questo problema fornendo alla comunicazione interpersonale
e a quella intima un contenuto, tanto illusorio, quanto coinvolgente, tanto
fluido, quanto impregnante: il "sentimento".
Il nuovo Spirito Santo della modernità è il sentire, il feeling, lintesa.
Purtroppo per i cattolici, questo concetto è così simile allo Spirito come lo
conoscono loro, che molti pensano che in fondo sia la stessa cosa.
Pensiamo un istante alle caratteristiche dello Spirito e proviamo a sostituire
questo termine con sentire o sentimento.
Il sentimento non si sa da dove viene e non si sa dove va, come il vento ti
investe e ti porta, ma non puoi governarlo.
Il sentimento è acqua viva che fa palpitare ogni istante della tua quotidiana
monotonia di vita nuova.
Il sentimento è fuoco che brucia e cerca disperatamente uno sfogo, un luogo
dove risplendere.
Il sentimento non è controllabile, ti coinvolge ora, ma domani può passare o
cambiare.
Il secondo grande disagio, quindi, è la impossibilità di applicare alle relazioni
di lunga durata l"effetto sentimento" che, per sua natura, è
mobile e transitorio.
Comunicare è scegliersi
Escluse queste cause di disagio che sono artificialmente indotte dalla nostra
cultura, rimane tuttavia la sensazione che qualche cosa non va nelle nostre
relazioni di copertine/coppia o tra genitori e figli.
In questa direzione ci viene in aiuto proprio lanalogia appena abbozzata
fra il sentimento e lo Spirito Santo.
Dello Spirito Creatore, infatti, la modernità trascura un aspetto importante,
ricco di significato proprio per la vita di relazione.
Lo Spirito è alleanza, fedeltà, ricreatore costante della storia e della relazione.
Il primo passo allora per recuperare una relazione in crisi è riaffermarne la
stabilità.
Essere copertine/coppia, cioè, significa anzitutto ricordare che ci siamo scelti, abbiamo
scommesso un giorno sulla possibilità di restare insieme al di là della nostra
fragilità.
Noi siamo fatti davvero per comunicare, per essere in relazione, non possiamo
stare soli.
Non è vero che le famiglie non comunicano più, che non sanno comunicare. Semmai
è invece un dato drammatico che spesso le persone si comunicano la sfiducia
reciproca, la convinzione profonda che tanto ormai non cè più niente di
nuovo da dirsi.
Quando si parla di Spirito Creatore, si intende che la relazione non può essere
ripensata come una restaurazione di quanto esisteva allinizio, perché
sarebbe unoperazione fallimentare.
Ripensare alla propria alleanza, significa anzitutto riconsiderare la possibilità
che laltro sia dono per me adesso, non come era prima, ma come è ora,
con le sue ferite, ma anche con le sue risorse, con le sue debolezze, ma anche
con le sue ricchezze.
Quando una relazione è in crisi, significa che accanto alla percezione della
sconfitta resta il desiderio di ricostruire, la speranza di ricominciare.
Si potrebbe dire che stiamo facendo dello spiritualismo, che stiamo immaginando
nella copertine/coppia una specie di misteriosa risorsa, una forza senza volto che rianima
dallinterno la relazione. Si dimentica che la legge fondamentale della
cristianità è lincarnazione, cioè limmettersi concreto e storico
del divino nel quotidiano dellumana vicenda.
Riscegliersi, non significa quindi solo fare unopzione intellettuale,
ma tradurre questa scommessa in gesti concretissimi. Non si può ad esempio pensare
di piacere allaltro in playback, confidando sulla scelta antica, trascurandosi,
non prendendosi cura di noi e del coniuge, oppure aspettando a braccia conserte
che laltro capisca la nostra novità di vita, muta e chiusa nella nostra
testa.
Purtroppo, invece, nella maggior parte dei casi, questo desiderio di rinascita
fugge dal presente: o è una idealizzazione del passato tanto bello quanto irreale
e irripetibile, o è il sogno che magicamente tutto si ricomponga senza tener
conto delle ferite e delle barriere che nel frattempo si sono disegnate nella
relazione.
Sotto la superficie, la vita scorre
Superare la logica del sentimento, senza abolirlo ma accogliendone tutta
la densità, anche di sentimento negativo, ci conduce necessariamente a riprendere
pensieri come scelta, alleanza, riscopertine/coperta della novità creatrice che opera
in ciascuno di noi.
Ma per fare concretamente questo passo, bisogna anche scavalcare laltra
dimensione denunciata allinizio di questo articolo, la superficialità
dellimmagine, la falsità della vendita ad ogni costo, l'inconsistente
leggerezza dellapparenza.
Se io sono ferito, deluso, arrabbiato e stanco, posso immaginare che anche tu
lo sia, che anche tu vorresti essere ascoltata, che anche tu ti senti sola e
abbandonata.
Sotto la superficie dellindifferenza, palpita una vita altrettanto intensa,
altrettanto desiderosa di essere accolta e ascoltata.
A volte questa vita straripa, trabocca come da una diga, ma porta con sé detriti
e acqua torbida, di rabbia e delusione.
Il primo passo perciò per costruire una relazione è accogliere questa piena,
accettare di farsi male ancora una volta, pur di intravvedere lacqua limpida
della sorgente.
Il resto è storia con qualcuno
Parlare dello sviluppo di un cammino di dialogo nella copertine/coppia è più difficile,
perché paradossalmente, per comunicare bene, bisogna imparare a non comunicare
solo tra di noi.
Per due ragioni perciò è importante rompere lo schema dellautosufficienza
che ci viene propinato dalla cultura dominante, per recuperare la dimensione
della comunità.
La prima è che questa diga straripante coi suoi detriti e i suoi torbidi gorghi
non è una caratteristica delle copertine/coppie in crisi ma di tutti coloro che vogliano
mettere seriamente mano alla loro relazione. Qualsiasi persona di buon senso
non si caccia in un fiume in piena da solo, né pretende che laltro lo
faccia con lui.
La seconda ragione è che una volta lasciato emergere il fango è necessario un
cammino lento e progressivo per ripulirsi e scopertine/coprire la bellezza di un rapporto
rinnovato nellascolto reciproco. Anche per questa fase la solitudine non
giova, anzi il rischio è che ancora una volta ci si faccia male a vicenda senza
poter trovare una via duscita e maledicendo i consigli come quelli appena
letti qui.
La risposta tuttavia non è né una tecnica, né uno specialista, ma una comunità,
una compagnia, una fraternità, insomma un luogo in cui crescere, misurarsi con
altri che desiderano la stessa felicità, in cui sostenersi reciprocamente, in
cui ritrovare le ragioni per continuare a guardare il proprio rapporto di copertine/coppia
come unalleanza piena di sorgenti fruttuose di rinnovamento.
I cosiddetti valori trovano in esperienze come queste uno spazio di testimonianza,
cioè qualcuno che li vive e li rende ancora credibili, perciò abbracciabili.
Insieme ad altre famiglie, ad altre persone che credono che lo Spirito non sia
solo vento, ma acqua feconda, fuoco che brucia e rifonde la nostra storia, possiamo
progressivamente rimparare la lingua della comunicazione autentica, le parole
per dirsi interamente, i gesti per fare della nostra storia, una storia veramente
infinita.
Postilla, per evitare gli equivoci
Vi sono parole nella nostra cultura che si sono bruciate, vuoi per luso,
vuoi per le deformazioni cui sono andate incontro.
Una di queste è "Comunità". Quando parliamo della necessità di un
cammino con qualcuno, non intendiamo né che bisogna entrare in una cosiddetta
Comunità di Vita, cioè in un luogo dove si è scelto di vivere insieme, né che
si possa considerare come comunità linsieme delle amicizie del quartiere
o del paese, che incontriamo spesso e con cui i dialoghi non vanno oltre lo
scambio metereologico o i bollettini degli acciacchi medici.
La comunità che intendiamo è quel luogo in cui altri come noi hanno scelto di
interrogarsi sul senso delle loro relazioni, di condividere le loro scelte di
vita, di camminare con nel cuore il sogno di essere segno di un cambiamento
di mentalità e di stile di vita.
La comunità è quello spazio di appartenenza reciproca, in cui magari incontro
persone con le quali non andrei in vacanza, ma delle quali mi fido perché intravvedo
in loro il medesimo desiderio di andare in fondo alla propria storia, personale
e di famiglia.