Repetita iuvant
Di Roby Noris
Voler
fare informazione su temi sociali, quindi politici, avendo la preoccupazione
di proporre modelli e ipotesi attinte dalla dottrina sociale e da 100 anni di
pensiero sociale della Chiesa è un esercizio spesso ingrato perché si ha la
sensazione di lottare quasi sempre per cause perse. Evidentemente la verità
va sempre affermata e gridata anche se apparentemente ben pochi sono disposti
ad ascoltare, ma la certezza della verità non compensa comunque la sgradevole
sensazione di inutilità. Limbarazzo nasce ogni volta che, di fronte agli
stessi temi si ha la sensazione di non poter far altro che ripetere sempre le
stesse cose. Repetita iuvant (ripetere serve) almeno speriamo, anche se talvolta
è duro crederci. Ed ecco che trovandomi a Oslo a intervistare la vicepresidente
per le pari opportunità del governo Norvegese lunedì 14 dopo la tragica votazione
che aveva bocciato lassicurazione maternità attesa da mezzo secolo in
Svizzera, le chiesi se si poteva avere lasilo politico. Meno discussa
ma altrettanto importante
in quel fine settimana, cera anche laltra votazione federale allinsegna
della disfatta, ovviamente per noi, con laccettazione della distribuzione
delleroina. E mentre scrivo è autorizzata la vendita della RU486, la pillola
abortiva, un "medicamento" che provoca linterruzione di gravidanza
semplicemente togliendo il nutrimento a un essere umano di qualche centimetro
che così muore. Provate a lasciar morire di fame coscientemente affermando ai
quattro venti che avete deciso liberamente così perché non potevate tenerlo,
un cane, un gatto, un coniglio, o un criceto e persino il pesce rosso, e vedrete
pesare su di voi la disapprovazione, il giudizio morale e quantaltro ancora.
Ma già, voi non siete né medici né scienziati; e non mettere più nulla nella
ciotola è un metodo grossolano, volgare e crudele. Mentre la Mifegyne è un medicamento
e fa morire di fame senza guaiti o miagolii, e soprattutto lontano da occhi
indiscreti.
Il problema di vedere o di rappresentare è determinante in una società super
mediatizzata, per cui poco importa il giudizio sui fenomeni che ci circondano
e sulle loro cause ma ciò che conta e produce reazioni è ciò che si vede. La
fame nel mondo o lesodo dei profughi diventano un problema scottante solo
se si vedono in TV. E come racconta Paolo Cereda della Caritas italiana nelle
pagine seguenti, ci si preoccupa più di riempire le bocche che di ascoltare
cosa hanno da raccontare, rivelando implicazioni e responsabilità imbarazzanti
magari degli stessi Paesi che inviano gli aiuti umanitari. Insomma, si fa ben
poco per lanalisi delle cause e si investe piuttosto nella cosmesi degli
effetti collaterali, non solo nel Terzo Mondo ma anche quando ci si occupa di
fenomeni sociali delle nostre società avanzate: molti interventi statali o privati,
di piccole o grandi organizzazioni, servono più all'immagine di chi li fa e
alla spettacolarizzazione della solidarità, che non a risolvere durevolmente
qualcosa.
E la ciliegina su questa torta amara è la nuova campagna contro lAIDS
che come le precedenti brilla di luoghi comuni, di cattivo gusto e di mancanza
totale di prospettive etiche e sociali, insomma unaltra campagna senza
speranza per una società allo sbando. Come sempre il tutto spacciato per buon
senso e con la benedizione federale che si traduce in montagne di soldi (nostri
naturalmente). Di fronte a questo nuovo scempio, in redazione di Caritas Insieme
ci siamo chiesti cosa fare; non ce la siamo sentita di ripetere tutto quanto
già detto in merito sulla nostra rivista. Vi dedico però la vignetta che avevo
realizzato in una precedente tappa di questa serie di battaglie perse.
Uno sfogo pessimistico di cui scusarmi? No, semplicemente sano realismo in cui
è opportuno immergersi. E questo bagno di realtà non scalfisce la speranza profonda
che ci permette di continuare a fare Caritas. Una speranza che ha le sue radici
sul Golgota.