Per
la Siberia, girare l'angolo
Di Roby Noris
6 miliardi di umani sulla terra e c'è posto per tutti, ce ne sarà
anche fino alla punta massima della popolazione mondiale che poi fra un secolo
comincerà a diminuire. Evviva, evviva, non esploderà una bomba demografica
come per decenni ci era stato detto. La cosa comunque ci può anche lasciare
indifferenti, visto che questo grossolano errore di valutazione ha ben poco inciso
sul nostro modo di vivere. Quando sì è a crescita zero si ha semmai
il problema di scomparire un giorno per mancanza di abitanti autoctoni,ma ci sembra
così lontano.
Le conseguenze invece, pesantissime, le hanno avute i paesi del Terzo Mondo che
si sono visti paracadutare dall’alto campagne contraccettive, sterilizzazioni
di massa e ogni sorta di imposizione dai paesi cosiddetti sviluppati, affinché
non scopertine/coppiasse la bomba demografica. Come sempre giganteschi interessi politici,
ma soprattutto economici, stavano dietro a questo complotto mascherato di scientificità,
con la benedizione dell’ONU, del qualunquismo ideologico e del femminismo
mondiale, preoccupati del futuro delle foche che di quello di milioni di donne
e di uomini, e del rispetto della loro dignità.
Naturalmente anche se finalmente la verità è venuta allo scopertine/coperto,
ci sarà ancora per molto chi dirà e scriverà stupidaggini
sul pericolo demografico, trovando eco sui media. Il falso è duro a morire,
prova ne è che anche nelle pubblicazioni recenti più attendibili,
pur affermando finalmente che non c’è nessun pericolo di sovrapopolamento,
si rappresentano ancora i grafici con l’ipotesi “high” con la
crescita esponenziale – la linea che sale in verticale – che prevedeva
10 miliardi ora, 15 fra un secolo e così via fino alla catastrofe.
L’ipocrisia ideologica è sempre la stessa: quella che fa intervenire
le forze “di pace” dove c’è il petrolio e lascia trucidare
i cattolici a Timor Est, perché la Cina può mettere il veto alle
Nazioni Unite e nello stesso tempo calpestare tutti i diritti umani, assolutamente
indisturbata.
In agosto – a 36 gradi
– in Siberia per girare un documentario televisivo sulla presenza cattolica,
intervistavo una vecchietta deportatata da Stalin nel ’41 con altri due
milioni di tedeschi del Volga, che raccontava di aver baciato per giorni le
tracce sulla strada sterrata lasciate dal camion che un giorno aveva portato
via per sempre suo padre. Il Vescovo di Novosibirsk afferma che queste vecchiette,
le bábuske, per quarant’anni picchiate dalla polizia perché
si trovavano la domenica a pregare, sono la realtà su cui si fonda tutta
l’esperienza cattolica della Siberia; un’esperienza piccola, quasi
insignificante statisticamente,ma che testimonia il coraggio di un pugno di
uomini e donne che sa sperare contro ogni speranza, che è segno di verità
per tutti noi. Perché anche noi siamo in Siberia col nostro provincialismo
soffocante, o con la nostra apertura al mondo costituita essenzialmente da TG
serali e facili commozioni. Quaranta martiri di Caritas a Timor Est, o le bábuske
o i missionari italiani e polacchi di congregazioni e movimenti che scommettono
da nove anni sulla rinascita della Siberia, riscriveranno col sangue un pezzo
di storia vera dell’umanità. Forse anche la nostra.