Chiuderà probabilmente l'azienda orticola hors-sol Isola Verde di Caritas Ticino a Cadenazzo, un PO che dal 1994 dà lavoro a disoccupati generici
La TÈRA l'è BASSA
Ad alcuni collocatori i PO in orticoltura non piacciono perché "non si può mica costringere un disoccupato a fare lavori di quel genere!"

Di Roby Noris



Non è un titolo nello stile di Caritas Insieme ma è l’unico appropriato per una vicenda veramente deplorevole che si sta consumando in silenzio, visto che a poco servirebbe far rullare i tamburi.
Caritas Ticino sta chiudendo la sua azienda orticola Isola Verde di Cadenazzo acquistata per creare posti di lavoro per disoccupati senza formazione professionale. I giochi non sono ancora definitivi ma solo un miracolo potrebbe cambiare il destino segnato di questa esperienza validissima di lotta alla disoccupazione.
Come leggete nell’articolo precedente sui programmi occupazionali "Quale futuro per i senza lavoro in Ticino?", i PO saranno ridotti drasticamente, non servono più, si dice, perché la disoccupazione è diminuita. Evidentemente non condividiamo questa posizione perché migliaia di disoccupati ci sono ancora e soprattutto quelli senza formazione rischiano semplicemente di passare all’assistenza; se i disoccupati cambiano cassa la questione è solo spostata ma non è finita. Vi rimando all’articolo sopracitato per continuare la riflessione più in generale, mentre qui vorrei farvi partecipi della vicenda orticola.
Dovendo ridurre le attività del nostro programma occupazionale perché chiudere proprio l’Isola Verde? Certamente perché quest’attività ha dei costi particolarmente alti, ma c’è dell’altro. L’orticoltura non piace ad alcuni collocatori e funzionari del cantone. Questa è la vera ragione.
Non bisogna generalizzare e sarà bene far notare subito che ad esempio a Pollegio, dove abbiamo l’altra azienda orticola, con i collocatori della zona c’è sempre stata un’ottima collaborazione.
Facciamo un passo indietro. Quando abbiamo fatto i primi esperimenti inserendo dei disoccupati generici - senza formazione - in orticoltura volevamo effettuare alcune verifiche. Per prima cosa la possibilità di accedere ad un settore dove si sarebbe potuto evitare di entrare in concorrenza col mercato locale pianificando la produzione secondo i bisogni del Ticino non copertine/coperti dagli orticoltori locali; secondo, se dei disoccupati senza esperienza orticola potevano produrre le stesse quantità di pomodori degli esperti portoghesi, semplicemente essendo più numerosi, e infine volevamo verificare se un’attività come questa aumentava le possibilità di reinserimento del disoccupato, non in orticoltura naturalmente ma nei diversi settori dove può lavorare chi non ha formazione.
La verifica è stata positiva e siamo arrivati alla conclusione che valeva la pena acquistare l’azienda - affittarla era stato possibile solo per un anno di prova -. Abbiamo corso qualche rischio, non potendo avere nessuna garanzia particolare dall’Ufficio cantonale del Lavoro e tantomeno dall’UFIAML (attuale SECO) di Berna che "paga" ma demanda ai cantoni pareri e decisioni. Avevamo però avuto un giudizio positivo dall’Ufficio Cantonale del Lavoro che caldeggiava la nostra iniziativa condividendo l’impostazione delle attività del nostro PO di tipo imprenditoriale che favoriva l’inserimento del disoccupato in situazioni di produzione, con ritmi e modalità di lavoro simili a quelle del mercato dove si vorrebbe reinserirlo.
Il fatto che già allora non tutti i collocatori fossero entusiasti di proporre ai loro disoccupati attività dure dove si lavora sul serio, era irrilevante. Oggi le cose sono cambiate e ci siamo sentiti ormai più volte ripetere che "questa attività ad alcuni collocatori non piace" e se non piace non mandano i disoccupati. Quest’anno abbiamo dovuto ridurre alcune produzioni perché non c’era mano d’opera. Regolarmente però abbiamo verificato che a molti disoccupati la proposta di un lavoro nel nostro PO orticolo non veniva neppure accennata. Ufficialmente poi i collocatori che la pensano così esprimono, se messi alle strette, il loro rammarico perché proprio non ci sono disoccupati nella loro lista, o che il turismo estivo li ha assorbiti tutti, o finalmente a denti stretti che "non si può mica costringere un disoccupato a fare lavori di quel genere". Questo è il punto nodale. Quale concetto di disoccupazione e di possibilità di reinserimento lavorativo abbiamo? Di quanto assistenzialismo è intriso il nostro metodo di lavoro? Quanto crediamo che sia possibile il reinserimento dei disoccupati generici attraverso le misure di lotta alla disoccupazione come i PO?
Ora sempre più ci siamo sentiti dire che questo programma o questa attività piace o non piace ai collocatori, e siamo sempre più convinti che questi ormai sono i criteri per valutare la validità di un PO e non le prospettive che apre a quella ben determinata fascia di disoccupati.

Ai disoccupati generici bisognerebbe offrire situazioni di lavoro simili a quelle che potrebbero trovare nel mercato, se vi si reinserissero, e non corsi per ipotetiche formazioni finalizzate a posti che non esistono, o che non saranno mai disponibili per loro.

Un’azienda orticola come l’Isola Verde non è importante perché forma in un settore dove non ci sono comunque posti ma perché aiuta le persone che vi lavorano a rimanere in pista, in competizione. E quando un imprenditore deve assumere un operaio generico non chiede quali corsi abbia fatto il candidato bensì cosa stia facendo, cosa sa fare e soprattutto quanto sia affidabile e flessibile. Allora l’Isola Verde andava benissimo come credenziale. Ma non piace ad alcuni collocatori.
Che dire poi del fatto che se l’azienda non sarà acquistata da orticoltori ticinesi ma d’oltre Gottardo, il Ticino subirà una bella diminuzione di fatturato, non avrà più un’azienda che apre il mercato dei pomodori e altri vantaggi simili. Ma questo non interessa l’Ufficio del Lavoro che si occupa di disoccupazione e non di problemi orticoli che sono problemi di tipo economico. Ma l’Ufficio del Lavoro non fa parte del dipartimento economia? Forse c’è qualche relazione col proverbio "al contadino non far sapere...".

Un’azienda orticola come l’Isola Verde non è importante perché forma in un settore dove non ci sono comunque posti, ma perché aiuta le persone che vi lavorano a rimanere in pista, in competizione