EDUCARE AD EDUCARSI
Un rapporto è UN RAPPORTO
Una lettere alla redazione: risponde Carlo Doveri



Sollecitati da un lettore iniziamo una rubrica che potrebbe diventare ricorrente - dipende da voi - sui temi del rapporto genitori e figli, passando per la scuola e per tutti quei momenti di vita che costituiscono e interrogano il quadro familiare. Niente ricette ma la voglia di approfondire impostando in modo corretto le domande vere per aprire le strade giuste dove camminare lavorando alla costruzione delle risposte. Scriveteci, telefonateci, faxateci, inviate mail o segnali di fumo, cercheremo, attraverso la penna di amici, genitori, educatori e specialisti, di offrire ai nostri lettori qualche spunto di riflessione.
Sono un lettore del vostro bimestrale, sposato con 5 figli dai 17 ai 2 anni, e come genitore mi trovo spesso in difficoltà nel scegliere la linea educativa più adatta alla circostanza, succede a volte, discutendo con altri genitori, che la linea scelta non è condivisa o solo in parte.
Vi chiedo se nell’ambito della vostra rivista, per esempio sotto la rubrica famiglia, possiate rispondere ad alcune situazioni di vissuto quotidiano, sia nelle vesti di genitori sia con l’ausilio di esperti.
In caso affermativo vi proporrei per il prossimo numero le seguenti situazioni:

Ilario 8 anni frequenta la 3a elem. - durante un compito in classe, probabilmente a causa di un calo di concentrazione, sbaglia a scrivere 8 parole la maestra, a tutti quelli che hanno sbagliato, impone il compito di scrivere 100 volte le parole sbagliate per il giorno successivo.

Nicola 5 anni frequenta il secondo anno di asilo - il papà gli vieta una determinata cosa - Nicola ha una reazione di stizza e capricci poi visto che non poteva ottenere quello che voleva si rifugia in camera, dove comincia a buttare tutto quello che gli è possibile dalla finestra.

Andrea 17 anni frequenta la 2a liceo - ha un comportamento strafottente, indisponente sia coi genitori, soprattutto con la mamma, che coi fratelli tutti minori di lui coi quali impera a più non posso.

Con gratitudine vi porgo i miei più cordiali saluti.

Lettera firmata


Caro lettore,


L a redazione della rivista ha incaricato me di rispondere alla sua lettera, considerando che io possa fungere da esperto, visto che, per professione, mi occupo di educazione.
Le rispondo non senza imbarazzo poiché ho sempre pensato che le rubriche di consigli, soprattutto in campo educativo, psicologico e affini siano problematiche sotto più punti di vista.
Infatti è molto difficile rispondere in modo pertinente a domande riguardanti queste questioni, in quanto ogni situazione ha un suo particolare contesto che non è possibile comprendere a partire dalle poche righe di una lettera. Ogni situazione ha caratteristiche sue proprie e non è facile individuarle senza conoscere le persone, le loro abitudini, le loro idee, i rapporti che tra loro intercorrono.
Sovente si corre il rischio di dare suggerimenti di ordine generale - supponendo l’esistenza di genitori e di bambini "tipo" - che per definizione non si attagliano a nessuno. Inoltre dare consigli non sempre è opportuno anche perché, di solito, noi tutti siamo pronti ad accogliere i consigli che, in qualche modo, già ci convengono. Un consiglio che si allontana in misura rilevante dal nostro modo di affrontare solitamente i problemi e che si scontra con le nostre abitudini di pensiero, necessita di un lavoro paziente di accompagnamento e di sostegno che una rubrica dei lettori difficilmente è in grado di svolgere.
Tenga quindi conto di queste mie reticenze e dei limiti di questo tipo di corrispondenza mentre leggerà le idee che la sua lettera mi sollecita.

Nella parte introduttiva del suo scritto lei esprime difficoltà riguardo alla "linea educativa più adatta alla circostanza" e di divergenze di opinioni con altri genitori riguardo alla stessa. Mi sembra che questa sia la questione più importante che viene sollevata ed è anche una questione che si può convenientemente affrontare senza troppo conoscere il contesto che l’ha generata. Le tre situazioni descritte alla fine, invece, richiedono maggiori informazioni e le risposte sottostanno ai rischi cui accennavo sopra.

Uno dei problemi maggiori nel rapporto con i figli, o con i bambini in genere, sta proprio qui, nel pensare che bisogna in qualche modo decidere una "linea educativa" e a questa attenersi. Penso, per analogia, alla linea del partito, al programma dell’ordinatore ecc. È normale che in quest’ottica più "linee educative" si confrontino e a volte si contrappongano, come lei dice nella sua lettera. Sappiamo tutti quanti conflitti, quanti attriti vengano ai genitori dai diversi modi di pensare la "linea educativa". Ovviamente ognuno ritiene la sua migliore delle altre, salvo verbali attestazioni di modestia del tipo: - ... probabilmente sbaglio, ma ...-
Educare un bambino non è una questione legata ad un sistema di comportamenti ma è una questione di rapporti con una persona. Di rapporti individuali, personali, anche quando si è in tanti.
Non si tratta quindi di adattare una linea generale, di volta in volta, a situazioni diverse e tendere ad un obiettivo prefissato del tipo: - mio figlio deve crescere così- oppure, - se con i bambini non si procede così ... allora -; ognuno potrà reperire analoghe espressioni nelle conversazioni quotidiane.
E’ facilmente osservabile il fallimento di tali programmi sui figli, in primo luogo su noi stessi.
Se escludiamo come negativo un programma a lungo termine, possiamo ritenere vantaggioso l’affrontare le situazioni come rapporti individuali che si danno ogni qualvolta due persone si incontrano e vivono un momento assieme.
In questo non c’è particolare differenza tra adulti e bambini, è sempre una cosa seria e per nulla infantile, anche quando l’altro è un bambino.

Un rapporto è un rapporto; il pensiero che con i bambini si debbano intrattenere
"rapporti educativi" mi pare distorca il rapporto stesso. Questo modo di concepire
i rapporti con i bambini sottende l’idea che i bambini abbiano desideri infantili

in qualche modo inadeguati, non maturi, non realistici; che i bambini abbiano pensieri infantili, immaturi, irrealistici; che i bambini abbiano bisogni infantili, ecc., e perciò debbano essere educati, indirizzati verso le cose serie, importanti, non infantili.
Se pensiamo fino in fondo la questione ci vediamo costretti a concludere che con i bambini, noi adulti, non possiamo avere rapporti veramente soddisfacenti, in quanto nessuna reale soddisfazione ci può venire dal rapporto con un essere così diverso da noi. Ci resta solo la fatica dell’educare in attesa del giorno in cui il bambino sarà veramente all’altezza di un rapporto maturo.

Faccio notare che l’infantilismo è un disturbo dell’adulto e non del bambino. I bambini, quando non sono già disturbati, hanno desideri, bisogni, pensieri, affetti serissimi

Badi che non sto sostenendo l’idea che il bambino cresca da solo, che gli adulti non servano e che i genitori siano solo degli impedimenti alla crescita.
Nemmeno sostengo l’idea che non esistano norme o che queste siano un ostacolo alla libertà.
Penso che le norme, le regole, siano dettate dal rapporto e non viceversa.
Un rapporto, sia esso con un adulto o con un bambino, è tale solo se tende alla reciproca soddisfazione (potremmo anche dire felicità, arricchimento, beneficio, ecc.). Il bambino in particolare non ha obiezioni di principio a questa situazione in quanto sa che la sua soddisfazione dipende da un altro e che la domanda di soddisfazione richiede un lavoro.
La norma è, allora, norma del rapporto e può essere riassunta nell’aforisma: Agisci in modo che la tua soddisfazione dipenda dal tuo lavoro per propiziarti il favore di un altro.
Non c’è nulla di predefinito in questo modo di impostare i rapporti, tutti i rapporti. La sanzione di questa norma, quando sarà punitiva, lo sarà in quanto capace di segnalare un’uscita dal rapporto e non la trasgressione di un’astratta norma fatta di imperativi irraggiungibili.
In questo senso non condivido l’impostazione di una linea educativa aprioristicamente data, che preveda, più o meno, le mosse giuste e quelle sbagliate.
La norma, anche quando prevede una sanzione, serve a sostenere il reciproco lavoro per la soddisfazione e quindi non può essere fissata in un quadro di regole astratte previste da un programma altrettanto astratto e rigido.

Un rapporto, sia esso con un adulto o con un bambino, è tale solo se tende alla reciproca soddisfazione. Il bambino in particolare non ha obiezioni di principio a questa situazione in quanto sa che la sua soddisfazione dipende da un altro e che la domanda di soddisfazione richiede un lavoro

Si possono affrontare le tre situazioni che lei descrive alla fine della lettera a partire da quest’idea di rapporto, ma ci manca il tempo. Tento quindi delle risposte in stile telegrafico. Segnalo che sono in parte costretto ad interpretare le situazioni perché mancano le domande.

Il piccolo Ilario vive una situazione che tutti gli allievi e tutti i docenti hanno vissuto e che non vorrebbero mai vivere. Mi pare si tratti, per la docente, dello stesso problema di Ilario: dando quel castigo dimostra di aver avuto anche lei un calo di concentrazione: capita a tutti, ma sarebbe meglio evitare.

Nicola è molto arrabbiato (essere arrabbiati e fare i capricci sono due cose profondamente diverse): è possibile che il papà lo abbia fatto arrabbiare così tanto da costringerlo a questa scena molto teatrale e per nulla infantile?
Perché pensare che un bambino non dovrebbe reagire con disappunto di fronte ad un rifiuto?
Se la reazione del bambino è occasionale nulla vieta di lasciare le cose come stanno; se la stizza ed i capricci sono regolarmente "sopra le righe" ci possiamo chiedere cosa succede quando i genitori e il bambino incontrano la parola "no!". Molto spesso il "no!" è un problema per chi lo pronuncia piuttosto che per chi lo riceve. Se il "no!" è pronunciato in nome di un’astratta "linea educativa" certamente la stizza è la reazione più naturale ad una situazione incomprensibile. La reazione violenta del bambino ci informa anche, se mai ce ne fosse bisogno, che i bambini non sono necessariamente angelici.

Per Andrea ci si può domandare dove sia andato a prenderla quella strafottenza nei confronti soprattutto della madre. Potremmo invocare i travagli dell’adolescenza, ma questi vengono da lontano e, come si dice, "questa è un’altra storia" ...