Il primo
numero della nostra rivista di questanno vi aveva offerta una novella
di Dante Balbo, nostro collaboratore che spazia con disinvoltura dalle responsabilità
del servizio sociale alle esperienze televisive di Caritas Insieme dove punzecchia
lesegeta don Giorgio Paximadi nel Vangelo in casa, o fa il pianista al
Sigrid Undset Club con Marco Zappa. Di notte quando gli resta qualche ora, dà
forma a pensieri improvvisi o a idee lungamente elaborate trasformandole in
racconti; alla mattina gira in ufficio un dischetto con lultima novella
che gli amici si premurano di fare a pezzetti, al caffè lui ascolta tutti e
poi la notte successiva di nuovo allattacco a rifinire la produzione letteraria.
Sono contento di chiudere anche lultimo numero della nostra rivista di
questanno con un racconto di Dante, natalizio per loccasione, al
quale ho lonore di aver contribuito convincendo lautore a lasciar
perdere Gesù Bambino. Se il racconto sulle balene di inizio anno era in clima
fantascientifico qui siamo in atmosfera agreste e bucolica, cultura contadina
da albero degli zoccoli: forse latmosfera giusta per dire Buon Natale
sulle ultime pagine di Caritas Insieme del millennio. Roby Noris
La
CASSETTA
Una novella di Dante Balbo
La diceria si addentrò furtiva nel paese come un rigagnolo sottile fra le pietraie;
dapprima gorgogliando sommessa, poi gonfiandosi delle pietre erose, del terriccio
e delle piogge insistenti di voci che la alimentavano, man mano che passava
di bocca in bocca.
Tutto era cominciato qualche mese dopo che il vecchio si era isolato nella casa
al margine del paese. A dire il vero anche prima ci veniva poco in piazza, intento
comera a contemplare quella sua moglie scarna e minuta che si era portato
in casa molti anni prima e per la quale strappava alla terra avara, quel tanto
che bastava a mantenerli.
Lultima volta che lo si era visto era stata al funerale. Il suo sguardo
era bianco, immobile, fuso, incatenato al pallore della defunta, statuario.
Poi era scomparso, si era rintanato nella casa di pietra, lasciando che la sua
corteccia si inselvatichisse, come il podere attorno.
Era forse proprio la sua assenza, o laria di roveto abbandonato che aveva
assunto la sua casa, ad aver generato le prime voci. Qualcuno aveva cominciato
a sospettare che dietro quella facciata di trasandata selvatichezza si nascondessero
ostilità e rancore.
Il suo carattere schivo, divenne strano, la sua riservatezza, taccagneria, il
suo silenzio, biliosità malfidente, la sua solitudine, cattiveria bella e buona.
Persino i bambini cominciarono a fantasticare sulla casa dello strano Uomo-Albero,
un po mago, un po orco, anche perché qualche adulto, profittava
della situazione, minacciando di farli portar via dal vecchio Olmo.
Anche il suo nome sapeva di selvatico, non era neanche un nome da cristiani:
Olmo, il nome di una pianta.
Nessuno ricordava più che quel nome glie lo aveva dato suo padre, quando la
terra contava ancora, per augurargli di crescere forte come lalbero che
delimitava la loro piccola proprietà, un olmo, appunto, di cui ora restava solo
un ceppo schiantato dal fulmine.
Così come nessuno voleva ricordare che il vecchio Olmo era stato protagonista
di molte feste natalizie, preparando con la moglie, molti anni prima, il presepe
vivente, che coinvolgeva tutto il villaggio e che era stato abbandonato per
lastio di qualche beghina invidiosa.
Tutto questo era il passato, sommerso dalla diceria, che prese il vigore di
una cascata tumultuosa quando alle altre voci, si aggiunse quella riguardante
la cassetta.
Avaro comera, forse la moglie laveva fatta morire lui, di stenti,
pur di raccimolar quattrini, che adesso passava il tempo a contare, nascosto
dalle alte siepi e dalle erbe rampicanti che fasciavano la sua casa.
Qualche ragazzotto cominciò a dire che laveva vista la cassetta, che il
vecchio tirava fuori quatto quatto da un cantone, la sera alla luce di una candela.
Giovanni il falegname, una volta che aveva bevuto, aveva detto che la cassetta
gliela aveva costruita il giorno dopo il funerale, secondo istruzioni precise:
di legno, impeciata come una barca, foderata di raso, con le maniglie dargento
e la chiusura solida come una cassaforte.
I dettagli crescevano fitti fitti come pioggia di primavera ad ingrossare il
fiume, finché questo tracimò oltre il paese, si arrampicò fra i dirupi, rimbalzò
nelle grotte e raggiunse il Macchia.
Nessuno ricordava esattamente come si chiamasse, a meno che non si prendesse
la briga di consultare i registri dellalbo comunale dove per qualche anno
il suo nome aveva campeggiato su di un manifesto, in cui lo si dava per ricercato
dalle autorità per i suoi molti delitti e, soprattutto, perché disertore.
Le parole che avevano colpito erano, "si è dato alla macchia", e queste
erano restate ad indicarlo.
Anche di lui non si sapeva ormai più nulla da anni e quel manifesto era stato
sostituito da nuovi avvisi, così che nella memoria rimaneva quel suo soprannome
e poco altro.
Quando il tuono delle grandi acque lo raggiunse, il Macchia si destò come da
un torpore. Prudente come era di solito, questa volta non si preoccupò neppure
di verificare quella voce, era il sogno cui aggrapparsi, il colpo definitivo,
lultima grande impresa per levarsi una volta per tutte dai crepacci, dal
freddo e dalla fame.
Forse questa volta poteva davvero andare in America, cambiare vita, lasciarsi
la macchia alle spalle.
Si lasciò trascinare giù, fendendo laria con la barba ispida, il naso
ossuto a fiutare la preda, giù verso il paese, che non vedeva da anni, verso
la casa dellUomo-Albero.
Quello che lo ammaliava, era la cassetta.
Aveva spremuto più di un viandante per saperne di più su questa faccenda, dopo
che un suo compagno di ventura ne aveva accennato una sera, annebbiato dallalcol
e dalla legna verde che avevano affastellato per scaldarsi.
La sua ricerca era diventata frenetica, non appena aveva intuito che si trattava
di qualcosa di più di un vaneggiamento da ubriaco e, ora ne sapeva abbastanza.
La ferina attitudine ad evitare i luoghi abitati, frenò il suo slancio a poche
braccia dalle prime case del paese.
Il villaggio era animato, illuminato a giorno, brulicante di cappelli, di foulards,
di sciarpe e di cappotti che si muovevano verso il centro del paese.
Forse lodore dei camini, forse il ricordo venuto su da chissà quale infanzia,
dellagitato scalpiccio che seguiva linsolito scampanio notturno
e dei suoi occhi sgranati ad aspettar chissà quale miracolo, gli ricordarono
che era la notte Santa.
"Quale occasione migliore, con tutto il paese a sparger lacrime dincenso
e di buoni sentimenti, pronti ad accoltellarsi fuor di messa!" ruggì nel
suo intimo il pensiero doloroso di una speranza ferita.
Deciso, si diresse al podere di Olmo, girando per scorciatoie che zizzagavano
fuori dalla strada maestra.
Quando raggiunse la soglia, destreggiandosi fra lerba alta e i rami bassi
degli alberi attorno alla casa, vide che allinterno una luce era accesa.
Si avventò sulla porta, con lintenzione di sfondarla, ma questa cedette
e si spalancò con un fracasso che lo stordì per un attimo.
Olmo stava là, seduto al tavolo della cucina, con la testa fra le mani, che
stringevano un rosario.
"Teodoro!" lo interrogarono gli occhi del vecchio, stupiti più che
sgomenti, "Sei venuto a trovarmi per Natale, ti sei fatto grande, cosa
avrai, trentanni?".
La voce era cordiale, come di uno che aspetta un amico che non vede da tempo.
"Trentadue", rispose meccanicamente il giovane, stupito di sentire
qualcuno che ricordasse il suo vero nome. Poi la foga ebbe il sopravento.
"La cassetta". intimò perentorio.
"Cosa dici, è passato del tempo, ma ti ricordi, con Martine facevamo loratorio,
credevamo fossi morto quella volta che sei caduto dallalbero!"
Accennò il vecchio Olmo, quasi fra sé.
"Eri un bel discolo e anche adesso hai gli occhi furbi..."
"Piantala con queste balle infantili" urlò Teodoro, punto sul vivo
da una tale precisione di dettagli, che penetravano la sua scorza;
"Caccia fuori la cassetta.".
"Di cosa parli?" chiese il vecchio, che ora si era alzato e si era
parato davanti alla porta dellaltra stanza della casa, occupandola quasi
del tutto con la sua mole.
"Non fare il furbo con me, ne ho sgozzati per molto meno," esagerò
il giovane, assecondando la sua fama, come si era abituato a fare per sfuggire
la cruda realtà di piccoli furti e vita di stenti cui era costretto.
"Quella di legno impeciato..."
"Quella è mia e non si tocca.", lo interruppe brusco, Olmo, ansimando
di trepidazione.
Forse avrebbe voluto continuare, ma il fiume di tanti mesi di chiacchiere si
raccolse in Teodoro e si abbattè su di lui come un uragano. Nulla poteva contro
la violenza di un sogno voluto con tutte le forze, da un uomo braccato e deciso
a conquistare la sua America.
Cadde, rotolando tra larmadio e il letto, le mani sotto il capo a proteggersi
istintive, mentre quelle di Teodoro frugavano la stanza con feroce meticolosità.
La cassetta fu stanata, brillò compatta del suo nero lucido, per qualche istante,
poi gemette sotto i colpi del coltello, fino a schiudersi come unostrica
ostinata, svelando il suo tesoro.
"Perché?" ripeteva strozzato dal dolore Olmo, con lo stesso sguardo
bianco, immobile, fuso al pallore dei ricordi di Martine che scivolavano ai
piedi di Teodoro, attonito e sbalordito.
Un tintinnio leggero, poche gioie appartenute alla sposa che rotolavano sul
pavimento, accompagnò il silenzio che scese irreale.
Poche foto, qualche lettera, una statuina della Madonna, di poco prezzo, regalo
di compleanno della sua Martine, stavano lì a denudare il suo dolore, a violentare
il suo pudore, il suo affetto sparpagliato dallinsensatezza di un uomo,
troppo adulto per accettare il ricordo e troppo giovane per poterlo capire.
"Ci sei anche tu, qui," riuscì a bisbigliare Olmo, mentre i loro sguardi
si incrociavano su di una foto.
Dalla carta ingiallita ammiccava un ragazzetto dal naso ossuto, vestito da pastore,
in mezzo ad un presepe vivente, frutto delloratorio antico, con la stessa
inquietudine e un desiderio di America negli occhi furbi.
Guardava verso una capanna, in cui Olmo e Martine facevano da genitori ad un
Gesù bambino, troppo paffuto per essere unimmagine di povertà natalizia.
"Ti ricordi?"
Teodoro assentì, ma non osò profanare il silenzio.
Si ritrovarono in ginocchio, senza parlare, a raccogliere con cura il tesoro
di Olmo.