3. La famiglia
3.1 L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia
3.2 Il difficile mestiere di genitore
3.3 Educare a 360 gradi
3.4 Nessun uomo è un’isola
3.5 Il noi nel percorso educativo
3.6 Educazione alla sessualità
3.7 Famiglia e trasmissione della fede
3.8 Insegnamo a pregare
La
famiglia L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia
Quanto la famiglia
oggi sia in crisi ed in difficoltà è sotto gli occhi di tutti. I matrimoni
diminuiscono mentre aumentano le convivenze, scelte che talvolta sono compiute
nel segno della provvisorietà e della sperimentazione. Altra causa della diminuzione
dei matrimoni sono senz’altro le precarie condizioni economiche dei giovani
in quanto privi di certezze sul proprio futuro, e per gli adulti a causa del
peso opprimente delle contribuzioni sociali che costringono a diminuire il
numero dei figli o al lavoro di entrambi i genitori con seri problemi per
la soliditàdella famiglia. Non solo la precarietà economica, ma anche le riforme
legislative con la facilitazione al divorzio e le parificazione delle coppie
di fatto, fino all’irrisione della famiglia naturale con l’introduzione del
riconoscimento delle coppie omosessuali, sono tutti elementi di disgregazione
del nucleo familiare e segno di una cultura individualista, egoistica e consumistica
che non conosce l’impegno della parola data, la coerenza della fedeltà, la
fatica del sacrificio.
Anche le previdenze sociali faticano ad offrire alla famiglia quei sostegni
che ne potrebbero favorire la crescita e la solidità, per non parlare del
clima culturale diffuso dai mezzi di comunicazione di una banalità e di un
effimero che non può non sgretolare i legami e i modelli di serietà, di solidarietà,
di impegno sui quali si basa la famiglia.
Da sempre la famiglia ha un posto privilegiato nell’attenzione e nelle premure
della Chiesa, tanto che Giovanni Paolo II poteva affermare che: “l’avvenire
dell’umanità passa attraverso la famiglia”.
Anche quella che viene chiamata ‘emergenza educativa’ è un appello a riscoprire
la centralità della famiglia.
Istituzione dinamica
La
famiglia ha conosciuto profonde mutazioni nei suoi modelli strutturali:
si pensi ad esempio al modello preindustriale, agricolo di “famiglia patriarcale”,
o all’attuale modello “nucleare” di famiglia, cellula anonima e non solo
nelle periferie delle grandi città.
Oggi dovrebbe affermarsi un modello nuovo di famiglia che chiamerei “personale”,
dove a contare non sono i valori esterni al nucleo familiare, ma
le persone che compongono la famiglia.
Una famiglia basata sulla consapevolezza delle persone che la formano, le
quali si rendono conto del loro passato, cioè della loro storia
e quindi della relazione ineliminabile con la famiglia d’origine; del loro
presente, quindi dei compiti e responsabilità nuovi che nascono da
una relazione di coppia; del loro futuro: devono cioè essere persone
aperte alle novità di un futuro che cambia col cambiare del numero, dell’età,
dei bisogni dei componenti della famiglia. Oggi occorre educare a riscoprire
il senso dinamico della famiglia per preparare a viverla non in un modello
chiuso, ma aperto alle novità e alla crescita.
Non è possibile riproporre il modello della famiglia patriarcale nei suoi
aspetti negativi: il padre-padrone, la donna sottomessa ed emarginata, i
figli braccia da lavoro e per questo numerosi. Ma nella famiglia patriarcale
vi erano valori positivi di solidarietà, di scambi intergenerazionali, di
integrazione dei diversi momenti della vita, di unità e di trasmissione di
valori che devono venire riscoperti.
Della famiglia nucleare dobbiamo mantenere l’attenzione alle esigenze delle
singole persone, la gelosa preoccupazione per la libertà individuale e per
l’autonomia da integrare con un vissuto che ritrovi rapporti sociali non
anonimi, ma significativi e gratificanti, dove a contare tornino ad essere
le persone nella completezza delle loro esigenze e valori.
Per questo dobbiamo puntare sulle persone, sulla loro educazione, sulle persone
che crescono e mutano e devono essere preparate ad affrontare il dinamismo
della vita e della storia.
Puntare sulle persone vuol dire anche il riconoscimento della libertà e della
fragilità.
Istituzione primaria
La famiglia precede lo Stato, la Chiesa e ogni altra aggregazione che la
società può conoscere. Questo primato nativo, originario della famiglia deve
essere riscoperto e riconosciuto anche sul piano legislativo superando le
tentazioni stataliste.
Un esempio nel campo scolastico-educativo.
Mentre le carte internazionali e lo stesso parlamento europeo riconoscono
il diritto primario dei genitori di scegliere, decidendo dell’educazione
e del tipo d’istruzione da dare ai figli minori, sappiamo che di fatto la
famiglia non è messa in condizione di scegliere.
La famiglia non può scegliere la scuola che vuole; non può scegliere, se
non con pesanti aggravi finanziari, una scuola diversa da quella che lo Stato
offre.
Questo diritto di scelta dei genitori in pratica è misconosciuto da un regime
statalistico e monopolistico.
L’articolo della Costituzione sulla libertà d’insegnamento è una pura declamazione
formale e di principio, che non conosce effettiva praticabilità, perché quella
libertà di scelta costa decine di migliaia di franchi l’anno per figlio.
Ma così il ruolo primario della famiglia viene negato.
Un altro esempio: la politica sociale, soprattutto di appoggio agli anziani.
Invece di favorire il mantenimento dell’anziano presso il proprio domicilio
e la costituzione di una rete di aiuti domiciliari sovvenzionati ed anche
volontari, si persegue la centralizzazione in grandi ricoveri e case per
anziani che, facendo prevalere ragioni terapeutiche, compromettono i legami
familiari decisivi per la qualità della vita dell’anziano.
Istituzione parziale
La
famiglia è una cellula, è un microcosmo, non autosufficiente. Se non è inserita
in un tessuto di relazioni più ampie non cresce, si isterilisce, decade e
muore.
Consapevoli dei limiti dell’istituto familiare i suoi membri devono essere
allenati a un’apertura con il mondo circostante, devono apprendere un esercizio
di costruzione di un tessuto di relazioni più ampie, che inserisca la famiglia
in una rete omogenea, che non provochi crisi di rigetto.
La famiglia non può pretendere di essere autarchica, di bastare a se stessa,
deve riconoscere la necessità di stabilire una trama di rapporti e di relazioni
più ampie, tanto per la sopravvivenza economica-finanziaria, quanto per la
crescita culturale e sociale, come per i bisogni della salute e della sicurezza
della famiglia stessa.
La difficoltà sta nel contemperare le esigenze diverse, plurime, che possono
esistere oggi in una società complessa tra le diverse famiglie che la formano
ed equilibrare le esigenze del contesto sociale con quelle primarie e originali
della famiglia stessa. Come fare perché la famiglia non venga soffocata e
sopraffatta, ma anche non muoia per chiusura e autoripiegamento su sé stessa,
soprattutto in questo caso non faccia morire i suoi membri, estraniandoli
dal più ampio contesto sociale nel quale vengono a trovarsi inseriti?
Famiglia,
istituto da valorizzare, da far crescere
Se siamo convinti di dover
valorizzare la famiglia occorre difenderne l’ identità, l’ unità, la crescita.
a) L’identità della
famiglia risulta dall’essere un istituto formato da un uomo e da una donna
in vista del loro mutuo completamento e dei figli. Per ragioni di vedovanza
o per difficoltà di percorso spesso oggi la famiglia si riduce ad essere
“monoparentale”. Quasi il cinquanta per cento delle nostre famiglie conosce
il dramma del divorzio e crescono sempre più le famiglie con un solo genitore.
Occorre rendersene conto e stabilire una legislazione di sostegno e di
aiuto per questi casi.
Non si difende l’identità naturale della famiglia col riconoscimento e la
concessione di uguali diritti a coppie omosessuali, maschili o femminili.
Riteniamo che, al di là del rispetto che si deve alle persone, sia un grave
danno all’istituto familiare assimilare alla famiglia quelle unioni che non
possono essere luoghi di trasmissione della vita.
Avere chiara l’identità dell’istituto familiare e difenderla e sostenerla
nella legislazione è il primo punto da realizzare.
b) Occorre varare dei
provvedimenti che favoriscano l’unità della famiglia.
Per i ritmi e la complessità della vita moderna i genitori sono oggi spesso
costretti entrambi al lavoro. La loro assenza da casa priva i figli e quindi
la famiglia di una presenza importante e anzi indispensabile, soprattutto
nell’infanzia.
Occorre favorire provvedimenti che con congedi di maternità, con assegni
per i figli, con la possibilità di lavoro a metà tempo, siano volti a tutelare
l’unità dell’istituto familiare.
Anche un servizio di consulenza psicologica e giuridica per superare le tensioni
e gli attriti che possono sorgere dentro la famiglia è un elemento importante,
insieme ai corsi di preparazione al matrimonio, alla dovuta informazione
e preparazione psicologica e umana: sono tutti elementi che contribuiscono
a favorire l’unità dell’istituto familiare. I figli soffrono moltissimo per
la disunione dei genitori, e il fallimento dei genitori si ripercuote soprattutto
su di loro e sul loro processo educativo.
c) La crescita dell’istituto
familiare richiede tempo, applicazione, pazienza, capacità di superare i
momenti difficili, di vincere le resistenze esterne, di trovare un rapporto
armonico e dialogico all’interno come all’esterno del nucleo familiare. Per
questo bisogna saper prendere tempo per la famiglia: evitando che la televisione
prenda il posto della conversazione a casa, scegliendo di vivere insieme
almeno una parte del tempo libero, rendendosi disponibili all’ascolto e alla
complicità con i figli. Riempire la vita dei figli con tutti i più sofisticati
strumenti che la tecnologia quotidianamente ci offre vuol dire impedire il
consolidarsi di un rapporto unitario e di crescita dentro la famiglia.
Se vogliamo che l’umanità abbia un avvenire, occorre comprendere il valore
e l’importanza della famiglia, preparare i giovani a realizzarla e difenderla
nei suoi valori.
Il
difficile mestiere di genitore
I genitori oggi avvertono con sempre maggior sofferenza la loro insufficienza
nell’educazione dei figli, perché si ritrovano sempre più soli nell’affrontare
un compito che una volta conosceva un maggior coinvolgimento del gruppo familiare
e della stessa società.
Oggi con i modelli di famiglie mononucleari e spesso monoparentali, i genitori
avvertono come superiore alle loro capacità, disponibilità di tempo, preparazione,
il compito educativo, che si presenta come un impegno a più livelli, perché
riguarda in partenza tutta la persona umana (io) nella sua dimensione globale;
conosce una dimensione dinamica di crescita, di progressiva maturazione e
di rapporto con l’altro (tu), perché assieme si costruisca una dimensione
sociale (noi); e non sarà completa se non affronta anche la dimensione ultima,
del senso finale e pieno della nostra esistenza (Dio).
Io - tu - noi - Dio: ecco gli aspetti da tenere presenti per un’azione educativa
che voglia far crescere la persona umana in tutte le sue potenzialità.
Voglio avere un pensiero particolare per le famiglie con figli altrimenti
abili perché non abbiano a sentirsi sole o dimenticate.
Dobbiamo rinnovare loro il nostro riconoscimento, considerazione, rispetto,
fiducia e speranza. Dobbiamo saper offrire un rapporto caldo, sensibile e
partecipe, che conceda a questi genitori anche aiuti concreti ed interessamento
vivo.
Compito di tutti noi e delle Istituzioni è quello di non lasciarle sole: una
presenza vicina, che condivide e alleggerisce fatiche che la famiglia da sola
non è in grado di reggere, offre solidarietà trasparente e sincera. La dignità
e la grandezza di un Paese si misurano dall’attenzione prestata a chi è maggiormente
nel bisogno.
Educare
a 360 gradi
La prima consapevolezza che i genitori devono acquisire è la complessità della
persona umana che nasce e cresce su una base fisica, ma si sviluppa in direzione
affettiva, volitiva, creativa. Prestare attenzione ad uno solo di questi aspetti
è contrario allo sviluppo integrale e armonico della persona.
L’io umano non è solo corpo, ma pure mente, cuore, fantasia; non è una realtà
a una sola dimensione, ma complessa, che abbisogna di molteplici attenzioni,
offerte di esperienze diverse, equilibrio tra tutte le sue diverse componenti.
Preoccuparsi soltanto della salute fisica, dello sviluppo armonico del corpo,
dell’interesse per lo sport, dell’apparire, curando l’avere, quindi le cose,
dimenticandosi dell’essere, quindi dei valori e delle virtù, non aiuta ad
una crescita completa, armonica ed equilibrata.
Abbandonare i figli per ore e ore davanti al televisore non favorisce certo
lo sviluppo dell’intelligenza e della volontà, abitua piuttosto ad una ricettività
passiva. Occorre invece organizzare la giornata e le attività perché tutte
le componenti della persona umana ricevano stimoli e conoscano sviluppi armoniosi
evitando la parzialità. Nel Vangelo non abbiamo indicazioni sulla fanciullezza
e la giovinezza di Gesù, ma in Luca leggiamo che: “Il bambino cresceva e si
fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui” (Luca
2,40). E ancora: “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio
e agli uomini”. Una crescita non limitata ad una dimensione ma che riguarda
l’insieme della sua persona.
Nessun
uomo è un’isola
La dimensione dinamica dell’educazione: il tu. Nessun uomo è un’isola. Non
si può essere pienamente persone se non si mette il proprio io in relazione
col tu di chi ci sta di fronte, accanto, e al tempo stesso è altro da noi,
col quale inevitabilmente si è confrontati. Il rapporto con il tu dell’altro
è necessario per essere, per crescere, per amare e realizzarsi in pienezza.
Già il nostro stesso esistere è grazie a un rapporto di relazione, ma questo
rapporto diventa sempre più determinante nel nostro crescere, che è un dinamismo
di evoluzione personale condizionato dal movimento di apertura o chiusura,
dalla capacità di interazione con il tu di chi ci sta attorno. Non si deve
perdere di vista questo aspetto dinamico ed evolutivo, relazionale, dell’educazione
che comprende un cammino di chiarificazione del rapporto con l’altro. L’itinerario
dovrebbe condurre dalla dipendenza o addirittura dallo sfruttamento dell’altro
a una progressiva maggiore libertà, congiunta a una più grande capacità di
comunicare e di darsi. I genitori devono essere consapevoli dell’importanza
di aiutare i figli ad un corretto rapporto con il tu degli altri e non si
meraviglino se in questo cammino si cade in errori, in esitazioni, in brusche
fermate. Loro impegno è di elevare, risvegliare la speranza, indicare i traguardi
senza impazienza e senza rinunce. Il rapporto con l’altro deve costruirsi
sull’amore, che è rapporto di generosità, di perdono, di gioia, di fecondità,
ma richiede anche sacrificio; non consiste solo nel dare, bensì anche nell’accogliere.
Un aspetto importante della dimensione dinamica delle persone è l’educazione
della sessualità, che vedremo più avanti.
Il
noi nel percorso educativo
La dimensione sociale: il noi della proposta educativa. La consapevolezza
dell’io e l’incontro col tu nella loro concreta realizzazione sono strettamente
legati al contesto sociale e culturale di un’epoca. L’aria che si respira
nel nostro mondo occidentale non può non influire sul processo educativo,
sul modo di concepire la persona e l’esistenza e quindi i comportamenti che
ne derivano.
Mi paiono essere tre le impostazioni educative dominanti nella cultura contemporanea:
quella permissiva-edonistica; quella riduttiva-naturalistica e quella personalistica,
purtroppo minoritaria.
La visione permissiva-edonistica considera la persona un bene di consumo soggetto
agli interessi commerciali che finiscono per invadere tutti gli spazi quotidiani,
per cui si è di più quanto più si ha. E’ una visione che concede tutto, che
non abitua a una verifica critica, che non ha il coraggio di insegnare a dire
di no, mettendo sulla strada di una deludente emancipazione che neanche nasconde
la dipendenza dalle cose e dalle mode. Ne conseguono debolezze, insicurezze
e squilibri che si ripercuotono nel comportamento sociale.
Ritengo insufficiente anche l’impostazione naturalistica, perché ambigua,
perché rischia di appiattire su un livello inferiore le grandi potenzialità
dello spirito umano, che non risponde solo a una natura biologica, ma è capace
di aperture superiori, ideali, etiche e trascendenti le visioni storiche del
momento.
L’educazione nelle nostre famiglie è sempre più insufficiente, perché manca
di questa apertura verso il trascendente, verso ciò che sta al di là, prima
e dopo il mio essere, la mia natura. Manca l’attenzione alla dimensione religiosa
che lega l’uomo alla sua vera immagine: “Dio creò l’uomo a sua immagine” (Genesi
1,27).
La grande lacuna dell’educazione familiare oggi è la mancanza di un fondamento
solido e stabile che permette di costruire la propria vita sulla roccia dell’essere
e non sulla sabbia delle emozioni o delle convenienze.
E’ quanto mai attuale la parola di Gesù nel Vangelo:
“Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile
a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia,
strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa,
ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un
uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono
i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde,
e la sua rovina fu grande” (Matteo 7, 24-27).
Educazione
alla sessualità
Sono persuaso e dell’importanza di questo aspetto del lavoro educativo e della
peculiare responsabilità della famiglia. La scuola potrà utilmente contribuire
a tale educazione ma questo è un ambito nel quale certamente non basta disporre
di ‘istruzioni per l’uso’, come avviene per qualsiasi elettrodomestico. Ricordo
una frase ascoltata un mattino alla radio, senza ritenerne l’autore. Diceva:
“Gli ideali sono come le stelle, non li raggiungeremo mai, ma come naviganti
in mare ci servono per stabilire la rotta”.
Non posso dimenticare, iniziando tale discorso, che alla Chiesa si rimprovera
spesso di proporre traguardi irraggiungibili, di non essere concreta, di non
tenere conto delle diverse situazioni storiche, di fare un discorso astratto
e irrealizzabile.
E’ un rimprovero vecchio. Come se la morale non fosse la scienza del dover
essere, del fine da raggiungere, dell’ideale appunto da perseguire.
La morale non è quello che fanno tutti o la situazione statisticamente maggioritaria.
Non confondiamo la morale con la sociologia o con la psicologia o con il costume
corrente.
La morale è la tensione che permette all’uomo di trovare la strada che conduce
ad una realizzazione piena del suo essere: è il desiderio del bene da compiere
per essere pienamente uomo.
Mi è capitato tra le mani un formulario che proponeva corsi di aggiornamento
su sessualità e adolescenti, contraccezione e adolescenti, AIDS, con l’invito
a sottolineare se interessava l’aspetto medico, psicologico o sociale.
Della morale nessun accenno, come se la morale non avesse niente da dire su
questi problemi.
I nostri ragazzi dispongono di qualche informazione, non sempre corretta,sul
piano medico, certamente sono assai carenti circa gli aspetti psicologici,
ma la dimensione morale è largamente assente.
Se non ci chiediamo che cosa è giusto, qual è il comportamento buono e retto,
se non abbiamo il coraggio di proporre il discorso degli ideali, alti come
le stelle, lasceremo mancare ai giovani le coordinate più sicure per determinare
la rotta che conduce al porto e li abbandoneremo in balia delle tempeste,
facendo girare la barca della vita a vuoto su se stessa e perdendola in fondo
alle onde. Affrontare i problemi della sessualità solo con quelle che ho chiamato
‘Istruzioni per l’uso’, magari corredate da pillole e preservativi, significa
considerare il corpo umano solo come un complesso meccanismo da conoscere
e maneggiare: il corpo in realtà decide della persona. E’ questo un ambito
nel quale l’istruzione davvero non basta : è necessaria una educazione che
dischiuda non solo la meccanica, ma anche e soprattutto il senso della propria
condizione sessuale, facendo crescere il senso della responsabilità.
Occorrono proposte che aiutino la persona a pervenire progressivamente alla
consapevolezza della propria vita sessuale.
Rinunciare in partenza a traguardi alti, di superamento dell’egoismo, della
banalità, del disimpegno è rinunciare a realizzare una vera dimensione umana
della sessualità.
Escludere per pregiudizio discorsi sulla castità quasi fossero frustranti,
limitativi, inibitori, e non avvedersi che il sacrificio e la rinuncia,
ma io preferisco parlare di disciplina del desiderio, sono indispensabile
esercizio per un autentico modo umano e responsabile di vita, vuol dire restare
nel buio, senza stelle per determinare la rotta della vita.
Coabitazione giovanile, rapporti prematrimoniali, ma anche masturbazione,
pornografia, morbosità richiedono conoscenze mediche, sociologiche, psicologiche,
ma anche attenzione e tensione morale perché siano affrontati e risolti nella
pienezza umana che dà loro autentico valore.
I nostri ragazzi non mancano di occasioni, di esperienze, di mezzi, di possibilità,
di soldi, ma in troppi casi hanno il cielo vuoto di stelle.
E ci meravigliamo se nella loro navigazione si smarriscono e affondano.
Mancano di ideali, mancano di stelle.
Nessuno dice loro che il desiderio non è solo una pulsione che nasce nel profondo
del loro corpo, quanto una nostalgia delle stelle, del cielo dal quale veniamo
e al quale dobbiamo ritornare.
Più che del mito di Ulisse che gira e rigira per ritornare al punto di partenza,
ad Itaca, abbiamo bisogno di lasciarci affascinare dall’avventura di Abramo,
che lascia la sua terra per la conquista di una terra nuova e di una discendenza
infinita.La Commissione catechistica della Conferenza dei Vescovi svizzeri
in una sua lettera dell’11 novembre 1988 proponeva alcune riflessioni sul
modo cristiano di considerare l’educazione alla sessualità.
Ne riprendo i punti principali, che qualificano una visione cristiana della
sessualità.
E’ una visione globale
La
sessualità – il fatto di essere uomo o donna – concerne e determina tutta
la persona: la sua vita fisica, affettiva, intellettuale e spirituale.
Ridurre la sessualità ad una sola di queste dimensioni è contrario allo sviluppo
integrale della persona.
La sessualità d’altronde deve essere considerata nella prospettiva della
vocazione fondamentale di ogni essere umano: siamo chiamati ad aprirci all’amore
e al servizio generoso della vita.
La sessualità perde del suo senso, se non è orientata verso questo doppio
obiettivo: l’apertura agli altri e il servizio alla vita e per la vita.
E’
una visione dinamica
La sessualità non deve essere intesa in maniera statica, ma in rapporto con
il movimento profondo di un’esistenza che può modificarsi, intensificarsi,
purificarsi e approfondirsi giorno dopo giorno.
Nulla di più nefasto che perdere di vista questo aspetto dinamico ed evolutivo.
L’itinerario di un’esistenza conduce progressivamente dalla dipendenza o
dallo sfruttamento dell’altro a una maggiore libertà congiunta a una più
grande capacità di comunicare e di darsi. Non dobbiamo meravigliarci se su
questo cammino si cade in errori, in esitazioni, in brusche fermate.
Questo non deve scoraggiare nessuno, soprattutto non l’educatore. Per definizione
egli è colui che si sforza di elevare, di risvegliare la speranza, di indicare
i traguardi senza impazienza e senza rinunce.
E’ una visione realista
In
generale possiamo dire che nella nostra società la soddisfazione sessuale
tende a essere considerata un bene di consumo.
Spesso è manipolata dagli interessi commerciali. Questi si organizzano non
solo nel “commercio del sesso”, ma investono gli spazi quotidiani, per esempio
nella pubblicità, che non manca di sollecitare l’istinto sessuale.
Nonostante questo, il realismo cristiano riconoscerà sempre che la sessualità,
persino nelle sue espressioni incomplete o errate, è uno slancio possibile
verso la felicità d’amare e di dare la vita. Di recente poi tra i giovani
si notano atteggiamenti nuovi che vanno estendendosi. Essi sono forse una
reazione alla deludente “emancipazione” sessuale: i giovani scoprono o riscoprono
i valori della castità, della fedeltà e della responsabilità nella vita affettiva
e sessuale.
E’ una visione evangelica
Noi
siamo creati a immagine di Dio e il Figlio di Dio in Cristo si è fatto
uomo.
Tutta la nostra umanità, inclusa quindi la componente sessuale, riveste un
senso e una dignità infiniti.
Soprattutto Cristo ci introduce e ci coinvolge nel dinamismo della salvezza.
Non siamo prigionieri dei nostri istinti, ostaggi delle nostre tendenze egoiste.
Nell’intimo di ogni uomo lo Spirito di Dio agisce per ispirare, rinvigorire,
orientare, purificare l’amore. Coscienti di questo fatto per quanto riguarda
la sessualità il cristiano non deve rinchiudersi in un atteggiamento di paura,
di intolleranza, di falso pudore o di malanimo.
Con coraggio e fiducia, nella certezza che gli viene dalla fede, il cristiano
si sforzerà di testimoniare l’amore salvatore di Cristo, non solamente a
parole, ma con le opere nella vita.
Per l’educatore cristiano questo si tradurrà in una pedagogia che stimola
e interpella senza impazienza, che illumina senza condannare, che non opera
sulla paura bensì sulla fiducia e sull’amore.
Mi pare importante ricordare anche le direttive concrete della Commissione
catechetica svizzera che possono essere tenute presenti per questo insegnamento.
In questo come in tutti
gli altri campi non basta che le direttive etiche siano giuste. Occorre che
siano espresse in maniera da essere recepite dai destinatari, siano comprese
e vissute da essi.
Famiglia e trasmissione della fede
Prima di chiudere il capitolo delle responsabilità educative della famiglia
voglio soffermarmi sulla trasmissione della fede nel contesto familiare. Il
luogo in cui mi trovo a scrivere suscita in me gratitudine perché la mia educazione
alla fede ha trovato anzitutto nella mia famiglia il suo primo terreno, per
un tempo relativamente breve eppure decisivo per la mia formazione. Davvero
quello che sono lo devo a quei mediatori umani dei doni di Dio che sono stati
i miei genitori e con loro i miei educatori.
Mi è cara quella espressione che ricorre nelle Sacre Scritture: Dio dei nostri
Padri, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Prima d'essere il mio Dio,
Dio è Dio di altri, Dio dei nostri Padri e io l'ho potuto conoscere solo grazie
a questi mediatori umani della sua parola.
Per questa ragione vorrei che sulla via della formazione alla fede noi non
sottovalutassimo, mai, il ruolo della famiglia.
Alla ricerca di una figura simbolica che susciti la riflessione penso all'albero:
non ci sono grandi rami senza radici profonde, senza memoria non c'è futuro,
senza trasmissione educativa non c'è crescita.
Ma il compito educativo conosce oggi non poche difficoltà: il moltiplicarsi
delle cosiddette agenzie educative che intervengono a plasmare la coscienza
del ragazzo genera nella famiglia un confuso senso di debolezza, l’esser come
soverchiata da voci numerose e pervasive. Tra queste voci quelle della comunicazione
di massa e dei suoi vecchi e nuovi media. La sensazione di accelerazione del
tempo e delle trasformazioni favorisce una distanza crescente tra le generazioni
e quindi l'indisponibilità di un linguaggio comune.
L'educazione, l’abbiamo già detto, non è solo comunicazione ad una persona
di informazioni, tecniche, abilità ma soprattutto di ragioni significative
per l'esistenza, quindi entro un rapporto comunicativo e non meramente informativo.
E' corretta quell'educazione che comunica così profondamente con il soggetto
da educare, da esser in grado di trasmettergli i valori propri del rapporto
educativo. Non si dice forse, con una certa forzatura, che per insegnare la
matematica a Pierino bisogna soprattutto conoscere Pierino? Il senso di questa
ovvia forzatura è appunto l'importanza di una relazione comunicativa, senza
la quale anche la trasmissione di dati e informazioni rischia di cadere nel
vuoto.
E la famiglia è ambito privilegiato per tale comunicazione proprio in forza
del tessuto di relazioni che la costituisce. Non è forse vero che certe parole,
anzi certi gesti, posture del corpo, atteggiamenti dei nostri genitori restano
impressi nella nostra memoria? Si tratta spesso di parole semplici, espressioni
ricorrenti, modi di dire, sguardi eppure sono indelebili nella nostra memoria.
E questo perché tale comunicazione è forte di una appartenenza quotidiana,
assidua, carica di coinvolgimento. Nessun altro messaggio gode di una tale
forza. Per questo la famiglia non deve rinunciare a trasmettere ciò in cui
crede.
Cosa può fare la famiglia in questo contesto?
Come trasmettere
la fede oggi?
Posso trasmettere qualcosa che è mio, ad esempio l’eredità, non qualcosa che
è di Dio.
La fede è dono di Dio, è il mistero del destino dell’uomo in rapporto al senso
globale della sua vita. Non è possibile trasmettere la fede in modo automatico,
senza coinvolgere la libera e personale risposta del credente.
Si potrà educare
alla fede ?
L’educazione alla fede può essere solo indiretta, nel senso di preparare il
terreno e porre le premesse perché il dono, che viene dall’alto, possa attecchire.
Si può educare l’uomo, perché educare è tirare fuori ciò che già c’è dentro
e può dipendere da me, mentre la fede dipende da Dio.
Per la fede allora è piuttosto importante avere dei riferimenti forti, convincenti,
perché il dono di Dio possa far maturare una risposta piuttosto che un’altra.
Gli esempi sono decisivi nell’educazione alla fede.
Si può insegnare
la fede?
Purché non lo si confonda con l’insegnamento ripetitivo e nozionistico di
troppe attività scolastiche tutte compiti, lezioni, esperimenti. La fede ha
bisogno che vengano mostrati i segni (in-segnare), i quali possono convincere.
Occorre mostrare i segni.
Fatte queste precisazioni ritorniamo alla domanda: cosa può fare la famiglia
oggi per la trasmissione della fede?
Innanzitutto deve possedere la dimensione di fede che vuole trasmettere. La
famiglia deve essere ciò che la fede opera in una famiglia, rendendola Chiesa
domestica.
Quante nostre famiglie sono Chiesa domestica?
Sentono di essere una convocazione in cui il Signore è presente con la parola,
con la partecipazione al culto, con la pratica della carità, con l’impegno
concreto di tutta la propria vita?
La famiglia deve
annunciare o fare in modo che sia annunciata la fede
La fede nasce dall’ascolto. Occorre che i genitori sappiano far percepire
ai loro figli il senso religioso della vita e sappiano farli passare da una
religiosità naturale ad una cristiana, in linea con il Vangelo.
Nel proporre l’annuncio è importante distinguere tra il nocciolo, il cuore
delle proposte di fede, che è l’incontro col Signore Gesù risorto, presente
nella Chiesa e le tante cose da fare.
La famiglia insegna ad accogliere la fede
Per l’accoglienza della fede si deve operare con amore e secondo disciplina.
Per educare occorre amore. E’ l’amore la sorgente di ogni paternità: un amore
che sappia dare fiducia, sappia capire e accogliere l’altro.
Ma occorre anche rivalorizzare la disciplina. Senza disciplina, che è l’atteggiamento
fondamentale di chi vuole essere discepolo, non c’è educazione alla fede.
La disciplina deve essere sostenuta dall’amore, deve essere ragionata e ragionevole,
deve tendere a produrre libertà, ma è mezzo irrinunciabile.
La famiglia deve
vivere la fede
La fede si basa sulla testimonianza e sulla identificazione profonda. Occorrono
i testimoni: coloro che, avendo visto e toccato con mano, dicono e si comportano
coerentemente, di conseguenza. Occorre una profonda identificazione col Signore
ed il suo Spirito per aiutare i ragazzi a superare l’identificazione con i
falsi modelli dei coetanei o delle star del momento. Sembrano compiti immani
per la famiglia. Essa però non è sola, è sostenuta dalla comunità cristiana.
L’autenticità della vita ecclesiale, la risonanza di certi gesti, parole ed
esempi della Chiesa sono fondamentali nel processo di educazione alla fede
delle nuove generazioni. In ogni caso non si privatizzi mai la fede ritenendola
possesso di qualcuno, né la si faccia mai dipendere solamente dalla fede dei
propri familiari.
La fede è dono di Dio e nessuno deve arrogarsi il diritto di condizionarla.
Insegnamo
a pregare
Almeno questo passo minimo, ma fondamentale verso i propri figli deve essere
fatto. Non lasciamo che si addormentino la sera e inizino la giornata senza
un pensiero di saluto al Signore.
Possiamo cominciare con le preghiere più semplici, con il segno della Croce
e poi distese nel tempo: l’Ave Maria, il Padre nostro, il Gloria al Padre,
l’Angelo di Dio. Quindi qualche altra preghiera, magari presa dai salmi, che
possiamo scrivere e far trovare sul comodino dei nostri ragazzi.
Insegnare a pregare è aprirli al mistero, predisporli all’interesse e alla
ricerca del trascendente, significa favorire l’apertura al senso pieno della
vita.
Con la preghiera troviamo il tempo per spiegare loro il significato delle
principali feste cristiane, leggere qualche pagina del Vangelo, soprattutto
delle parabole e, quando avranno l’età, iniziarli alla santificazione della
festa.
Piccoli gesti, ma indispensabili per la trasmissione della fede.
In ogni famiglia cristiana dovrebbe esserci una copia almeno dei Vangeli,
meglio ancora se dell’intera Bibbia.
In occasione della Prima Comunione, della Cresima, del Matrimonio medesimo,
questi libri possono venir regalati.
Ma utile per rispondere alle domande dei figli e anche per la propria personale
formazione sarebbe di possedere almeno il piccolo Compendio del Catechismo
della Chiesa Cattolica.
E’ una sorta di vademecum - dice papa Benedetto XVI nella presentazione -
che consente alle persone credenti o non di abbracciare in uno sguardo d’insieme
l’intero panorama della fede cattolica. Si tratta dunque di uno strumento
efficace, che riprende il modello della catechesi a domande e risposte. La
materia è esposta attraverso 598 domande e con risposte brevi e stringate,
che solo eccezionalmente superano le dieci righe.
Ci si potrebbe chiedere che senso abbia racchiudere in formule la ricchezza
eccedente della fede; se sia possibile accostare l’ineffabilità del mistero
attraverso domande e risposte, senza una indagine profonda ed articolata.
Basterebbe rispondere che il Catechismo è per chi si interroga seriamente
sulla propria fede e individua ragioni autentiche, capaci di fugare i conformismi
delle mode e la superficialità di metodi che spengono il senso critico e riducono
la forza interrogante dello spirito.
La storia della Chiesa, fin dalle origini, è ricca di pagine catechetiche,
che hanno spesso confutato ricorrenti obiezioni della cultura, per ricondurre
ai fondamenti della fede e rafforzare la solidità della vita cristiana.
Di fronte al mistero, la parola umana non può che essere sobria e spoglia,
come un balbettio, lasciandone tuttavia trasparire la grandezza e la luminosità.