2. Lasciamoci
guidare dal Vangelo (Luca 2,41-52)
2.1 Una pagina significativa
2.2 Angosce, interrogativi, risposte
2.3 Aiutare a entrare nella vita
2.4 Educare è compito meraviglioso
2.5 Elogio delle nostre famiglie
2.6 Istruire e\o educare?
Lasciamoci
guidare dal Vangelo Luca, 2, 41-52
I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa
di Pasqua.
Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma
trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il
fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.
Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero
a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in
cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre
li ascoltava e li interrogava.
E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza
e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: “Figlio,
perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo”.
Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi
delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero le sue parole.
Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso.
Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.
E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
E’ significativo questo
episodio della vita di Gesù, perché è l’unico, ricordato nei Vangeli canonici,
del tempo che separa l’infanzia e la vita familiare di Gesù dalla sua vita
pubblica. Questo episodio che a prima vista rischia d’esser letto come un
simpatico bozzetto di vita familiare, quasi una scappatella del dodicenne
Gesù, è in realtà carico di valore simbolico. Racchiude infatti l’unica parola
che Gesù pronuncia nei lunghi anni della cosiddetta ‘vita nascosta’, una parola
che esprime la missione di questo ragazzo. La cornice entro la quale questa
parola viene pronunciata è quella, solenne, del Tempio di Gerusalemme meta
non solo del pellegrinaggio del pio israelita ma soprattutto dell’intera esistenza
del Figlio di Dio. L’episodio che esaminiamo è, non a caso, riferito solo
da Luca, l’evangelista che ha conferito al suo Evangelo la struttura insieme
narrativa e teologica di un grande itinerario verso Gerusalemme. Il Gesù di
Luca è in cammino verso Gerusalemme, proteso verso la città santa, luogo dell’offerta
e del compimento. E proprio Luca mette sulle labbra del ragazzo Gesù, in Gerusalemme,
la ferma determinazione di essere interamente nelle cose del Padre.
Secondo la legge mosaica (Esodo 23,14-17; 34, 23 ss; Deuteronomio
16,16 ss) tutti gli israeliti maschi, eccetto i minorenni, gli anziani, i
malati e gli schiavi avevano l’obbligo di recarsi al tempio tre volte l’anno:
per Pasqua, la festa delle settimane (Pentecoste) e quella delle Capanne,
per prendere parte alla solennità.
Non a tutti era possibile ottemperare a questo impegno, soprattutto se si
abitava lontano o in diaspora, ma almeno una volta all’anno gli ebrei osservanti
si facevano l’obbligo di partecipare.
Era il caso di Maria e Giuseppe che, come scrive Luca: “ogni anno si recavano
a Gerusalemme per la festa di Pasqua”.
Il Vangelo non dice se Gesù fosse sempre con loro, parrebbe non escluderlo;
dice che compiuti i dodici anni, si fermò nel tempio, in una delle sale del
cortile esterno del tempio, dove i rabbini tenevano le loro lezioni, forse
nella sinagoga stessa annessa al tempio.
La tradizione ebraica prevede che a 12-13 anni un ragazzo divenga religiosamente
adulto, quindi sia abilitato a leggere e spiegare la Scrittura nella riunione
del sabato alla sinagoga. La cerimonia che abilita a questa funzione è detta
del bar Mizwa.
Durante i pellegrinaggi a Gerusalemme abbiamo anche noi assistito più volte
a questa cerimonia, che oggi si svolge davanti al Muro del Pianto.
Gesù, sapendosi ormai abilitato a questo compito, lo esercita, prendendo parte
viva alle disquisizioni dei rabbini.
Mentre la comitiva dei Nazaretani era ripartita per rientrare in Galilea,
lui si ferma a discutere con i maestri della legge, suscitando con le sue
domande e le sue risposte l’ammirazione e lo stupore dei maestri e degli altri
uditori.
Quando Maria e Giuseppe, la sera del primo giorno del viaggio di ritorno,
si rendono conto che Gesù non era nella carovana, rientrano trafelati, col
cuore in gola, a Gerusalemme, per rintracciare quel figlio che ritenevano
smarrito.
Lo ritrovano nel Tempio in mezzo ai dottori, probabilmente seduto per terra
come avveniva per i discepoli dei rabbi, ma tutto intento a discutere, ad
ascoltare, a porre domande ed interloquire con loro.
Lo stupore dei genitori al suo ritrovamento è certamente espressione della
loro gioia e dice l’apprensione di Maria e Giuseppe per questo gesto inatteso
da parte di Gesù. Le parole della madre non possono essere intese in altro
modo, con altro senso che come un rimprovero, come l’espressione spontanea
del dolore che il figlio ha loro procurato con la sua scomparsa.
E’ in questo significato che io le riprendo per dare voce ed espressione al
dolore, allo smarrimento, alla sofferenza di tanti genitori di fronte ai comportamenti
dei propri figli, alle loro scelte, ai loro abbandoni.
E se nel caso di Gesù la scelta diversa ed inattesa era per compiere la volontà
del Padre dei cieli, lo stesso, purtroppo, non si può dire per molti dei nostri
ragazzi.
E’ significativo che la prima parola di Gesù riferita dai Vangeli sia questa
dichiarazione di dover attendere alle cose che riguardano il Padre suo. In
questa parola c’è chiara coscienza del suo singolare rapporto con il Padre.
Dichiara di essere unito a Dio da un legame tale da poter superare il quarto
comandamento che impone obbedienza ai genitori.
Angosce, interrogativi, risposte
Nel nostro contesto il lamento talvolta angoscioso che tante volte e sempre
più spesso mi è dato di cogliere sulla bocca di tanti genitori è della stessa
natura di quello di Maria, ma riceve spiegazioni ben diverse.
Nel caso nostro siamo di fronte alla disperazione di un gesto ultimo, di fronte
alla strada che ha condotto nel tunnel senza uscita della droga, dinnanzi
alla esperienza di una relazione impraticabile, davanti alla schiavitù dell’alcool,
del sesso, del gioco, a comportamenti violenti, alla banalizzazione dell’esistenza,
alla dispersione dei talenti ricevuti, a tante situazioni di indifferenza,
di disinteresse, di abbandono della fede e delle tradizioni dei padri. Sono
molteplici gli atteggiamenti dei figli e le delusioni raccolte dai genitori
oggi, che li inducono a formulare la medesima domanda di Maria: “Figlio, perché
ci hai fatto questo?”. Nasce da questa constatazione l’argomento di questa
lettera, consapevole che un tema così esteso, come quello dell’educazione,
non potrà che essere solo sfiorato dalle mie considerazioni. Sono comunque
desideroso di offrire un contributo, seppure minimo, all’immenso campo dell’educazione
delle nuove generazioni per condividere almeno le preoccupazioni di tanti
genitori che si interrogano se mai potranno fare fronte al compito educativo
diventato così arduo in un contesto sociale tanto diverso da quello in cui
noi adulti siamo stati a nostra volta educati.
Un inciso, che accomuna i genitori di Gesù a molti genitori del nostro tempo,
mi sorprende là dove Luca scrive: “Il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme,
senza che i genitori se ne accorgessero”.
Gli esegeti spiegano come questo fosse possibile nel caso di Gesù perché le
comitive viaggiavano distinte: uomini e donne, i fanciulli potevano trovarsi
nell’uno o nell’altro gruppo. Ecco perché si deve attendere la sosta della
sera per accorgersi che Gesù non è in nessuno dei due gruppi.
Ma la sottolineatura di Luca mi pare di grande valore anche per il perdersi
di molti ragazzi oggi, senza che i genitori se ne accorgano. La prima consapevolezza
che i genitori devono acquisire è proprio questa: non accorgersi dell’allontanarsi,
fino a perdersi, dei loro figli.
Non si accorgono che non rendono più nello studio, che perdono colpi nella
salute, si sottraggono al dialogo e diventano sfuggenti. Forse frequentano
ambienti o compagni poco raccomandabili, abbandonando i comportamenti e gli
stili propri della famiglia. Talvolta igenitori non si accorgono che i figli
prendono altre strade o se ne accorgono quando ormai è troppo tardi.
Aiutare
a entrare nella vita
Vorrei soffermarmi un istante ancora su questa pagina evangelica che descrive
i rapporti tra Gesù e i suoi genitori. Innanzitutto per ricordare che è fisiologico
che ci siano difficoltà nella vita familiare; non dobbiamo sorprenderci, purché
non manchi mai la volontà di superare le incomprensioni, di affrontare con
serenità e sapienza i problemi che nascono, le tensioni inevitabili per il
crescere dei figli e l’usura del rapporto. Anche Maria e Giuseppe sul momento
non compresero. Questa incapacità da parte di Maria e Giuseppe di capire la
parole del figlio si presta ad una duplice lettura. Anzitutto è attestazione
del mistero di quel Figlio il cui destino è alluso nella sua risposta ai genitori
angosciati, ma è anche attestazione della singolarità e novità di ogni esistenza.
Proprio perché ogni figlio è portatore di una sua inedita singolarità, non
è semplicemente copia dei suoi genitori, c’è in lui un futuro che i genitori
sono chiamati a discernere e rispettare. Quando un figlio cresce sono molti
gli interrogativi che nascono nel cuore dei genitori. Che sarà di lui? Come
potremo accompagnarlo, proteggerlo, aiutarlo? Come aiutarlo a discernere la
sua vocazione? Come affronterà il mondo e le sue sfide? Possano i genitori,
anche se non capiscono e non condividono tutto, aiutare i loro figli ad entrare
nella vita, a non avere paura del futuro, a non sbagliare nella scelta delle
strade da percorrere.
Educare
è compito meraviglioso
Nonostante che Maria e Giuseppe non avessero compreso: "Egli scese
con loro e venne a Nazaret". Quei genitori non capiscono
ma, per tutta risposta, Gesù scende con loro. Riflettiamo: vivere in famiglia
non è semplice, anche se ci si vuole bene e forse proprio perché ci si vuole
molto bene. Ci sono degli inquietanti 'perché?’, che emergono di
tanto in tanto e restano senza risposta o con risposte incomprensibili, come
nel Vangelo di Luca.
Quando i figli crescono, crescono i motivi di conflitto e di incomprensione,
ma Gesù ci dà l'esempio di non rompere. Scende con la sua incarnazione e prende
dimora in questa storia contrassegnata dai nostri limiti. Tocca con mano anche
i limiti dei suoi genitori, ma non per questo fugge via. Accetta di fare i
conti con questa quotidianità che è segnata dal limite, il limite dei genitori
ma anche il limite dei figli.
"Non compresero, ma Gesù scese con loro”. E' un messaggio importante
proprio oggi. Perché oggi più di ieri, davanti alla debolezza nostra e degli
altri, davanti al limite nostro e degli altri, siamo tentati di scappare via.
Gesù scende con Maria e Giuseppe a Nazaret e dice a noi: misurati con
la vita, così com'è; non fuggire anche quando ti pare di non capire.
Lo dico soprattutto ai ragazzi; non abbiate fretta, date ascolto anzitutto
all’esperienza dei vostri genitori. Confrontatevi con loro, esponete i vostri
dubbi, i vostri interrogativi. Nessuno più di loro è interessato ad aiutarvi
a trovare la strada, a condividere le vostre preoccupazioni, a trovare insieme
le risposte.
Numerosi genitori sanno educare con molta competenza e amore, altri fanno
più fatica e ne soffrono. Ci sono molti genitori che investono tante energie
per l’educazione dei figli, ma può succedere che non vengano raggiunti i risultati
sperati. Allora si prova l’amarezza della delusione e si viene colti da un
forte senso di inadeguatezza e di fallimento. Non scoraggiatevi.
Scrive il card. Tettamanzi: “Educare è un compito meraviglioso e difficile
e, soprattutto oggi, necessita di molte risorse umane in persone, presenze,
progetti, istituzioni. Anche la comunità cristiana, che non si stanca mai
di compiere la sua originaria missione, domanda la collaborazione di tutti,
ma vuole rimanere fedele alla propria specificità. Questa specificità è un
diritto e un dovere, davanti a Dio e davanti al mondo e trova la sua radice
nel mistero stesso della Chiesa ‘madre e maestra’”.
Elogio
delle nostre famiglie
Un’ulteriore sottolineatura.
"Scese con loro e venne a Nazaret ed era loro sottomesso”.
Sottomesso a loro, sottomesso a delle persone, nonostante queste non capissero.
La sottomissione è cosa che è richiesta solo da Dio. Nessun uomo, nessuna
donna può sottomettere a sé, ai suoiprogetti, alle sue idee un altro, neanche
un figlio.
La sottomissione può essere solo a Dio. Ma allora vuol dire che quel Figlio,
Gesù, si sottometteva al mistero di Dio, che abitava in quei genitori che
per altro non capivano. Sottomettersi al mistero, al disegno di Dio, che sidipana
ed affiora anche attraverso la nostra fragilità di creature, anche attraverso
il nostro limite.
Gesù è cresciuto, in sapienza e grazia, anche attraverso genitori che non
capivano. Come a dire che si cresce anche in una casa, in una famiglia segnata
dalla debolezza e dal limite; si cresce anche in situazioni che non si capiscono
subito, purché non si scappi via, ma ci si confronti, ci si misuri.
Allora permettete che io tessa l’elogio delle nostre famiglie, che hanno i
loro limiti, le loro incomprensioni, ma dove per dono di Dio siamo nati, siamo
cresciuti, abbiamo imparato.
E preghiamo perché regni nelle nostre case lo spirito che regnava nella famiglia
di Nazaret ed impariamo anche noi a fare la volontà di Dio, cioè amare Dio
con tutta la mente, con tutta la volontà, con tutto il cuore ed il prossimo
come noi stessi.
Amare come Dio ci ha amati nella pienezza e completezza del nostro io, che
non è ad una sola dimensione, ma presenta una complessità che richiede risposte
ed attenzioni molteplici.Per aiutare ad acquisire questa fondamentale consapevolezza
penserei di organizzare le mie riflessioni, prestando attenzione ai diversi
ambiti coinvolti nell’educazione delle nuove generazioni: