9. Non perdiamoci d’animo
9.1 Educare: difficile,
ma bello
9.2 Qualche semplice suggerimento
9.1 Educare: difficile ma bello
L’aver solo accennato a qualche aspetto della grande emergenza educativa del
nostro tempo rischia di gettare in una crisi di sfiducia per la complessità
e la delicatezza dei temi sollevati e farci sentire tutta la nostra disperante
impotenza.
In realtà educare, anche se difficile, rimane compito bello ed affascinante,
perché il successo della nostra vita è strettamente legato alla riuscita
della vita delle giovani generazioni. Per questo sull’educazione dei figli
sono stati scritti migliaia di libri, si è sviluppata una vera e propria
“scienza dell’educazione”. Purtroppo, però, tante belle considerazioni rimangono
spesso rinchiuse nelle aule universitarie e nelle biblioteche. Ben vengano
dunque le iniziative volte a coinvolgere i genitori, come la “scuola dei
genitori” organizzata a Chiasso per iniziativa del Vicariato del Mendrisiotto,
oppure le offerte di Comunità familiare e tutte le altre proposte per aiutare
a svolgere il mestiere di genitori. Sono attività preziose e da moltiplicare.
E’ lecito chiedersi: perché oggi si dovrebbero seguire dei corsi quando in
passato non se ne sentiva il bisogno? Per l’evoluzione intervenuta nella
nostra società, per le grandi risorse che ci offre e insieme per le impegnative
sfide che siamo chiamati ad affrontare.
Nella società contadina erano almeno tre le generazioni che vivevano assieme,
in modo tale che, quando nasceva un bambino, era la nonna ad insegnare alla
nuova mamma. Inoltre la figlia maggiore, che si sposava, nelle famiglie numerose
di un tempo, aveva già accudito i fratelli minori e quindi aveva già fatto
un’esperienza diretta.
9.2 Qualche semplice suggerimento
Non dobbiamo comunque scoraggiarci, per questo può essere utile qualche
semplice suggerimento:
- Per educare infatti occorre certo competenza congiunta a buon
senso e amore.
- La prima cosa di cui un figlio ha bisogno è che i genitori si
amino e siano uniti pur nella diversità della sensibilità e dei caratteri.
Richiamare questo in un contesto di matrimoni falliti al 50% sembra una
presa in giro, vuole invece essere un appello al senso di responsabilità
e a una condizione irrinunciabile per un’educazione positiva.
- Il ruolo del padre nell’educazione. L’assenza della figura paterna
è una delle mancanze più gravi nella crescita equilibrata dei figli e nello
sviluppo armonico della loro personalità.
- Il migliore educatore è l’esempio, che ha un
insostituibile valore pedagogico di conferma e di incoraggiamento. Non
c’è miglior modo di insegnare a un bambino a tuffarsi nell’acqua che farlo
con lui, anzi prima di lui. Le parole volano, l’esempio trascina.
- Non viziare il bambino, quindi saper dire di no al momento giusto
con fermezza e con motivazione. Si vizia un bambino con lodi eccessive,
con l’accondiscendenza a tutti i suoi capricci, circondandolo di troppa
attenzione. Di fronte ai capricci dei bambini non bisogna cedere, ma mantenere
un atteggiamento sereno, senza nervosismi, ma al tempo stesso fermo.
- Incoraggiare e ricompensare. Il bambino è molto
ricettivo, stabilire con lui un rapporto attivo di incoraggiamento e di
ricompensa fa crescere la sua fiducia e diviene un incentivo. Non bisogna
invece ricompensare un bambino che ha compiuto il suo dovere prendendo
un voto buono: questo infatti è già un premio per lui.
- Educare alla positività. I figli devono respirare in famiglia
un senso di fiducia nella vita e di positività verso il mondo. Pur insegnando
un giusto spirito critico, si sviluppi la sensibilità verso il buono e
il bello, l’apertura verso gli altri e la solidarietà verso i più bisognosi
con uno stile comunicativo umano e sereno.
- Formare la coscienza. Quando i miei studenti mi dicevano: “Io seguo
la mia coscienza”, il mio commento era: “E’ come se mi dicessi, io vedo
con i miei occhi, perché, scusa, vuoi vedere con piedi?”. E’ normale che
ognuno debba seguire la sua coscienza, come è normale che uno per vedere
debba usare i suoi occhi. Il problema è chiedersi: “Ma i miei occhi sono
normali, sono corretti, sono sani, sono giusti, vedono bene? Oppure sono
miopi, presbiti, astigmatici, daltonici, addirittura i miei occhi sono
ciechi?”. Questo è il problema vero e serio. Tutti dovrebbero agire seguendo
la propria coscienza, non può essere diversamente. Importante è formare
la coscienza, darle principi e criteri di giudizio validi, buoni, giusti.
- Educare alla libertà facendo capire che la libertà non è capriccio,
non è licenza. La libertà è conoscere la verità delle cose e aderirvi perché
lo si è capito e lo si vuole. La libertà non è mai spontaneismo, ma adesione
intelligente, non imposta, bensì voluta, scelta, condivisa, perché capita.
Solo la verità vi farà liberi, dice Gesù nel Vangelo.
- Educare all’amore, che non è solo sentimento, affettività, ma
volere il bene proprio e degli altri, non un bene generico, ma preciso,
concreto, proprio di una determinata situazione e persona. Volere il bene
e fare il bene, coltivando l’amicizia, insegnando con la propria vita e
dando valore al sacrificio.
- Educare alla fede, vuol dire ancorare la propria vita sulla
roccia e non sulle sabbie mobili che ne sono la rovina. Per educare alla
fede occorre innanzitutto apprezzarla, viverla, dimostrarla, alimentare
stupore di fronte alla bontà di un Dio che si rivela, si fa conoscere,
ci narra la sua storia. Dallo stupore passare alla contemplazione delle
grandi cose che il Signore ha compiuto per noi. La fede va raccontata,
narrata, per essere conosciuta e vissuta. Se non saranno i genitori naturali
a farlo, dovrà essere la Chiesa madre e maestra che se ne fa carico. Solo
dalla narrazione della fede può nascere la preghiera e il desiderio di
celebrare nel culto la lode ed il ringraziamento al Signore.
- Un ultimo impegno è richiesto a chi vuole educare: ricordarsi
che o si educa alla virtù o ci si abbandona al vizio. Nessuno parla più
di educazione alla virtù, cioè alla ripetizione di atti buoni, positivi.
La virtù è l’abitudine che si acquisisce, ripetendo atti buoni, dimostrando
fedeltà ad azioni positive che possono essere:
- rispettare gli altri e non fare mai agli altri quello che non vogliamo
venga fatto a noi;
- affermare valori, cioè criteri positivi di giudizio che ci aiutano
nelle scelte, nella valutazione e nel discernimento;
- imparare a perdonare. Non è automatico, né spontaneo; è un gesto serio
ed impegnativo che lascia aperto il futuro per sé e per gli altri;
- aiutare tutti a dare il meglio di sé, promuovendo il desiderio di conoscere
le proprie capacità e continuare a svilupparle;
- educare a camminare assieme, dimostrando comprensione, che non vuol
dire cedimento, ma simpatia ed empatia, cioè sinergia.
- Avere pazienza. Voglio terminare con questa indicazione quanto
mai necessaria nell’epoca dell’informatica e delle comunicazioni alla velocità
della luce. La crescita di una persona segue dei ritmi che appartengono
ad un’altra saggezza. Gli antichi affermavano che “natura non facit
saltus”, la gradualità è una delle regole fondamentali della crescita.
Saper avere pazienza è un tratto importante dell’educatore, è un modo
di amare irreversibile, ma nel rispetto della lentezza dell’evoluzione e
anche dei limiti della persona amata. Avere pazienza significa investire
coraggio e determinazione, quindi coltivare speranza e diffondere amore.
Spinto da queste convinzioni ho scelto come mio motto episcopale: “Patiens
in adversis”, paziente nelle avversità. Paziente come l’autore della Lettera
di Giacomo ci consiglia di essere.
“Fratelli, siate pazienti fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore:
egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia
ricevuto le piogge d’autunno e le piogge di primavera.
Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del
Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli
altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte.
Prendete, o fratelli, a modello di sopportazione e di pazienza
i profeti che parlano nel nome del Signore” (Gc 5,7-10).
L’Azione Cattolica, d’intesa con l’Ufficio di Pastorale giovanile,
ha messo a punto un programma-calendario di proposte molte concrete
ed articolate, che si ripromette di presentare ai consigli diocesani, nei
vicariati e alle diverse associazioni e movimenti ecclesiali per
realizzare l’impegno di una pastorale dicomunione, corresponsabilità,
collaborazione e soprattutto di continuità.
Ha chiesto di poter iniziare la sperimentazione nel vicariato del Bellinzonese
con le sue due zone pastorali, mentre possono continuare le altre esperienze
già in atto in altri vicariati.
Chiedo a tutti gli operatori pastorali, a cominciare dai presbiteri, di rendersi
disponibili per la concretizzazione di questi impegni.