La scienza ha paura delle donne?

A cura di Dani Noris



Nell'ambito del nostro progetto sulla parità abbiamo incontrato diverse persone impegnate a favore delle donne e delle famiglie e esperte sulla condizione femminile e sulle pari opportunità. Vi proponiamo le interviste realizzate per le nostre emissioni televisive, che sono state occasione di incontro con due donne che guardano e lavorano da angolazioni diverse: la matematica Sara Sesti e la storica Yvonne Pesenti.


Intervista a Sara Sesti

Lo scorso anno, navigando su Internet, alla ricerca di notizie interessanti per il nostro progetto Sigrid Undset, per una reale parità nella vita professionale, siamo capitati su un sito che presentava un lavoro interessante realizzato a Milano dal centro Eleusi. Si tratta di una ricerca e di una mostra chiamata “Scienziate d’occidente, due secoli di storia”. Abbiamo immediatamente contattato l’istituto e incontrato una delle realizzatrici della mostra, la professoressa Sara Sesti.

Sara Sesti:

Questa mostra è stato il primo momento di sintesi di uno studio che abbiamo fatto in Università Bocconi, sul rapporto delle donne con la scienza. La mostra si occupa prevalentemente delle scienziate italiane, senza però trascurare altre di grandi Paesi europei e si concentra sul periodo che va dal 1878  data della prima laurea  rilasciata da una facoltà scientifica a una donna in Italia, fino al 1969 quando in Italia c’è stato il libero accesso alle università. Dalla ricerca abbiamo escluso le cosiddette scienze umane, la psicologia, la sociologia ecc., non perché non ci sia nulla da dire, ma perché le persone che hanno fatto questa indagine erano tutte donne che si occupavano delle cosiddette scienze dure: la matematica, la fisica, l’astronomia, l’economia e la chimica.

Il primo obiettivo è stato quello di dare visibilità alle donne che nel passato si sono occupate di scienza, di farle vedere, siamo andate  a cercare le loro fotografie perché ci sembrava molto importante che venissero conosciute.

Un altro obiettivo è stato quello di capire attraverso la ricostruzione delle biografie, come mai il rapporto delle donne con la scienza è così difficile. Bastano due dati a sottolinearlo: primo il fatto che i premi Nobel assegnati a donne, dall’inizio del secolo ad adesso sono soltanto undici. Tutti sanno che Marie Curie ne ha presi due, uno per la chimica e uno per la fisica, per cui sono solo dieci le donne insignite di questo premio prestigioso. Il secondo fatto che mentre aumenta il numero delle studentesse nelle facoltà scientifiche, il numero delle donne che poi riescono a fare carriera, riescono ad entrare nelle grandi istituzioni scientifiche e nelle accademie, è ancora molto limitato.

La domanda di partenza della nostra ricerca è stata:  le donne non amano la scienza o è la scienza che non si adatta alle donne?

Ma abbiamo capito che questa domanda è sbagliata. In realtà bisogna chiederci: come mai la pratica scientifica e la conoscenza scientifica hanno, per così tanti secoli, escluso le donne?

Sono state soprattutto le vicende delle scienziate  vissute fino all’Ottocento quando alle donne era negata un’istruzione adeguata, quelle che ci hanno rivelato delle costanti rispetto al ruolo che la società ha avuto nei confronti delle donne. Abbiamo scoperto che le donne che ce l’hanno fatta, fino all’Ottocento, sono quelle che hanno avuto accanto la presenza di una figura maschile molto importante: un marito, un tutore, un padre, un fratello che si occupava di una fanciulla particolarmente dotata. Pensiamo alle coppie formate dalla matematica Ipazia nell’antichità col Padre Teone, dall’astronoma Caroline Herschel col fratello William, oppure i coniugi Lavoisier, i fondatori della chimica moderna.

Un’altra costante rilevata è stata l’attenzione molto viva per le donne particolarmente dotate, e poi quella altrettanto sollecita ad impedire che il fenomeno dilagasse, per esempio tenendo chiuse le scuole superiori e le università.

Un esempio è quello della matematica Maria Gaetana Agnesi, una bimba prodigio che veniva esibita dal padre nel suo salotto milanese nel Settecento, perché era in grado di parlare con gli intellettuali dell’epoca e con gli aristocratici, su degli argomenti scientifici molto complicati e di rispondere loro in cinque o sei lingue diverse. Una persona straordinaria. Queste bambine venivano esibite, però di fatto le Università per loro rimanevano fermamente chiuse. E’ stata la Svizzera il primo Paese europeo ad aprire le porte dell’università alle donne nel 1860. E’ stata l’università di Zurigo, però l’apertura dell’università alle donne, è avvenuta troppo tardi perché esse potessero intervenire veramente nei fondamenti delle discipline scientifiche.

Quando abbiamo incominciato la nostra ricerca, cercavamo se ci fossero delle costanti riguardo alle capacità personali o al modo di essere delle donne che ce l’hanno fatta. Non abbiamo trovato lo stereotipo di una scienziata, tanto meno quello tramandato dalla letteratura romantica, di una donna poco femminile, troppo di testa quindi poco di cuore, magari stravagante e un po’ ridicola. Le caratteristiche sono molto diverse, le donne, da sempre, si sono occupate di divulgazione e la loro vocazione si esprime affiancando all’attività di ricerca quella della didattica. Altre costanti sono state la pazienza e la tenacia nel condurre a termine delle ricerche che, soprattutto prima dell’invenzione dei calcolatori, richiedevano tempi lunghissimi in calcoli estenuanti. Un’altra costante è stata la sapienza nell’operatività pratica, che spesso si è tradotta nell’invenzione e costruzione di nuovi strumenti. Nella mostra, soprattutto nella sezione dedicata alle astronome, si vede questa capacità in momenti collettivi. Mi riferisco ai due più importanti cataloghi stellari dell’Ottocento, la “Carte du ciel” a cui hanno partecipato anche le suore della Specola Vaticana e quello fotometrico di Harvard che sono stati fatti da più scienziate insieme. Queste scienziate non hanno rappresentato un lavoro individuale, ma uno straordinario lavoro collettivo.

So che ho nominato delle caratteristiche: la pazienza, la tenacia, l’operatività pratica, che hanno una valenza ambigua, perché da sempre sono attribuite alle donne e fanno un po’ innervosire le più giovani. Non c’è niente di nuovo nel nominare queste qualità riferite alle donne. Però nella nostra mostra queste qualità hanno messo in rilievo, anche, per contrasto la genialità e il ruolo eminente che altre scienziate hanno ricoperto in vari settori. Voglio ricordare la grande matematica Emmy Noether che è stata la fondatrice dell’algebra moderna, Sonja Kovalevskaja, la prima donna docente in una Università, oppure Rosalind Franklin che ha trovato le prove sperimentali della struttura a doppia elica del DNA, oppure Lise Meitner, che per prima ha interpretato correttamente il fenomeno dell’affissione nucleare e da ultimo la Nobel, Barbara Mc Clintok, che con le sue ricerche ha rivoluzionato la genetica classica.

Abbiamo fatto anche un questionario per gli studenti dell’ultimo anno dei vari tipi di scuola e alle matricole di matematica della Bocconi, per capire quale sia l’immaginario che hanno gli studenti maschi e femmine sul rapporto con la scienza.

È un questionario che ha dato dei risultati curiosi, perché sembra che i maschi a scuola si sentano penalizzati rispetto alle compagne e questo apre altri interrogativi: il primo sulla scuola, dove bisognerebbe scoprire perché i maschi si sentono svantaggiati rispetto alle ragazze, il secondo sulla società, perché è innegabile che le ragazze perdono fuori dalla scuola il loro presunto vantaggio. Differente anche il comportamento di fronte alle novità teoriche e pratiche. I maschi reagiscono in modo più istintivo, imparano subito, “smanettano”, sono rapidissimi. Le ragazze sono più caute, sembrano più legate ai testi, ai manuali, ma sono anche più riflessive. Su questi temi dovremmo riflettere per capire di più le problematiche che riguardano il rapporto delle donne con la scienza.

In Svizzera, come in diversi Paesi d’Europa, il numero di ragazze iscritte nelle facoltà, anche in quelle scientifiche supera quello dei maschi. Poi però non si ritrovano nel mondo del lavoro.

D: Quali sono secondo te i fattori che determinano questa divergenza?
R: La prima considerazione che faccio è che è importantissimo il modello culturale sulla questione della presenza femminile che c’è in un determinato Paese. Ho letto i dati del rapporto mondiale sulla scienza, che sono stati forniti nel 1996 dall’UNESCO da cui emerge che tra i Paesi in cui le donne hanno un maggior accesso alle facoltà scientifiche ci sia l’Italia, mentre i fanalini di coda sembrano essere l’America e i Paesi Anglosassoni. In Italia c’è una buona tradizione di presenza delle donne nel mondo culturale. Nel ‘700 Maria Gaetana Agnesi o Laura Bassi potevano già entrare nell’università e ne sono diventate docenti, mi riferisco all’università di Bologna. Nei Paesi Anglosassoni la porta dell’università è stata chiusa alle donne per tantissimi anni. Nell’università di Princeton,, non c’è ancora una donna docente a tempo pieno e a Cambridge le porte dell’università sono state aperte dopo la seconda guerra mondiale.

Oltre a questo sono importanti i modelli famigliari, le aspettative che le famiglie hanno sulle ragazze e infine gioca un ruolo importantissimo la scuola.  La scuola è quasi tutta in mano a docenti donne, mi ci metto pure io che sono un’insegnante di matematica, ecco noi donne dovremmo dare alle ragazze un’immagine migliore delle discipline scientifiche. Dovremmo parlare delle connessioni artistiche, sociali, non dare soltanto una dimensione tecnica, dura. In generale nella scuola non viene data una buona immagine delle professioni scientifiche. Per esempio quando si parla della professione di ingegnere, bisognerebbe parlare anche delle soddisfazioni che questa professione dà, del tipo di relazione che mette in campo un lavoro come questo. Invece di solito viene data un’immagine arida. Tutto questo non favorisce che una ragazza si senta attratta verso discipline che richiedono sicuramente uno studio più rigoroso e più faticoso.

D: Come docente, hai l’impressione che ci sia stata un’evoluzione nella presa di coscienza delle ragazze del loro potenziale o del loro campo d’azione?

R: Le ragazze adesso sono molto più consapevoli e molto più sveglie. Rimane però un freno rispetto all’impegnarsi nelle professioni che vengono ritenute troppo separate dalla vita. In discipline come la medicina e la biologia, ormai la presenza delle donne supera quella degli uomini. C’è una feminilizzazione di queste professioni. Se si entra in un ospedale o in un laboratorio, la presenza delle donne è massiccia. Questo dipende dall’immagine che hanno queste discipline: La medicina e la biologia hanno un’immagine molto più vicina alla vita e quindi le ragazze si accostano con meno paura.

D: Come vedi il fatto di dover conciliare la carriera e l’impegno professionale con la maternità?
R: È la cosa più difficile a mio avviso. Quando si affrontano le carriere, i criteri di valutazione sono uguali per gli uomini e per le donne. A me sembra che questa cosa non sia corretta. Per le donne l’età dai 30 ai 40 anni è l’età in cui devono occuparsi dei figli, dovrebbero esserci per loro dei criteri diversi, e dovrebbero essere loro offerte delle opportunità anche dopo i 40 anni. Dovrebbero esserci delle modalità di corsi di aggiornamento e di tempi di lavoro molto più elastici, non è possibile pretendere che le donne continuino ad essere gli angeli del focolare e nel contempo fare anche carriera. Ci deve essere la possibilità di conciliare le due cose, che sono molto importanti: la vita sentimentale, affettiva, famigliare con quella della realizzazione nel lavoro. Ma se non cambia qualcosa, come è possibile che le ragazze da sole si facciano carico di una fatica così grossa?

D: Si tratta di scelte politiche importanti, però oggi, perlomeno in Svizzera è così, le donne presenti in  politica sono ancora pochissime.
R: Ho trovato molto interessanti delle proposte che sono uscite dalla Commissione Europea. Quando Edith Cresson era ancora commissaria europea per la ricerca, lo sviluppo e per l’istruzione, nei progetti per il futuro c’era quello di facilitare l’informazione e l’accesso delle donne ai progetti di ricerca. Proporre commissioni giudicatrici miste, di sviluppare network di osservazione sulla presenza delle donne, osservatori sulle donne e la scienza che sensibilizzassero tutta la comunità scientifica e i responsabili politici a mantenere l’impegno delle pari opportunità. Io non sono d’accordo che le donne vengano tutelate attraverso corsie preferenziali, devono e possono farcela grazie alle loro capacità, però è vero che se la società non cambia, ci vogliono delle attenzioni particolari perché abbiano le possibilità di emergere.