Dalle
maglie deboli della rete sociale, spunta
lo sguardo disperato di un "POVERO VERO"
In una società in cui anche la povertà è omologata
e natellizzata, si trovano eccezioni sorprendenti che metterebbero in crisi
anche quelli che affermano che i poveri non esistono.
Lo stato sociale non è perfetto e a pagare sono i più deboli
Di Dante Balbo
Abbiamo
profuso numerosi sforzi, dalle pagine della nostra rivista, per dimostrare nelle
puntate di questa rubrica e in molte altre occasioni, che i poveri, quelli che
fanno piangere in TV o ancora prosperare le associazioni benefiche, in Svizzera
e in Ticino non esistono.
Parecchio abbiamo scritto sul fatto che oggi la povertà è una questione
di competenze, di strumenti e di capacità di adattamento ad un nuovo stile di
vita, più che di risorse materiali o di possibilità reali di intervento sulla
difficoltà.
Alla fine ci si sente quasi in colpa a parlare di povertà, in una società che
garantisce sostanzialmente il minimo vitale a tutti e che fornisce sostegno
anche a chi ha sbagliato.
Sembra di tradire il Vangelo che proclamiamo nel titolo: I poveri li avrete
sempre con voi.
Eppure ci sono dei poveri, rari, ma reali, che sfuggono al sistema, che scivolano
fra le maglie dello stato sociale e sono davvero difficili da aiutare, perché
non rientrano in nessuna delle categorie previste.
Non sono i poveri per scelta, quelli di una certa letteratura che ha romanticizzato
anche la povertà, o i missionari folli che hanno deciso di condividere la povertà
degli ultimi, come madre Teresa, ma persone, che della loro situazione farebbero
volentieri a meno, ma non riescono a trovare vie d’uscita ragionevoli.
Con questo tipo di persone tutta la nostra fantasia è messa alla prova, la nostra
inventiva è assorbita e spesso ci si trova a scontrarsi con leggi che si escludono
a vicenda, lasciando la persona, come si diceva un tempo, in "brache di
tela".
Vorrei portarvi solo due esempi, opportunamente modificati per salvaguardare
il segreto professionale,
ma che descrivono abbastanza bene quello che vado dicendo.
Questi casi sono importanti, non perché distruggono un sistema di analisi, che
resta valido, ma perché segnalano che la nostra attenzione deve essere data
alla persona, non alla teoria.
In entrambi i casi, tra l’altro, se volessimo essere pignoli, quello che difetta
non sono le leggi nazionali, ma il diritto internazionale, che non prevede situazioni
del genere.
Straniera per sempre
La prima è una donna, ormai da molti anni in Ticino, che qui
lavora e ha una famiglia.
Per una serie di lungaggini incredibili è rimasta con statuto di rifugiata e
il suo permesso di soggiorno non è stato convertito neppure in permesso B, di
dimora.
Lavora sì, ma il suo salario non è sufficiente per mantenere la sua famiglia
numerosa, per cui si trova in difficoltà.
Con i sussidi integrativi al salario, in quanto rifugiata, non riesce a vivere,
perché apparentemente guadagna abbastanza da non averne diritto.
Con i parametri previsti dalla legge sugli assegni integrativi per i figli,
avrebbe diritto ad un sussidio, ma non lo può ottenere, perché non è domiciliata
nel cantone da almeno tre anni.
Non ha diritto all’assistenza, per le cui regole vivrebbe sotto il minimo vitale,
perché è rifugiata e quindi sottostà alla legge per i rifugiati.
Straniero di fatto
Un cittadino svizzero vive all’estero, ma lavora in territorio
elvetico.
Ha dei figli in un altro paese.
Incappa nella "crisi".
Non ha diritto alle indennità di disoccupazione all’estero perché lavorava da
noi.
Non ha diritto alle indennità da noi, perché vive all’estero.
Decide di tornare in Svizzera, ma non può ragionevolmente troncare tutti i suoi
rapporti con l’estero se non ha ancora un lavoro e una sicurezza qui da noi.
Allora ha sì diritto alle indennità di disoccupazione, le quali, però, non coprono
il suo fabbisogno vitale reale.
Non ha diritto all’assistenza, perché per ora vive solo e le spese che ha all’estero,
per la sua famiglia, non sono conteggiate nei calcoli assistenziali.
Si ritrova con un’economia famigliare doppia, ma metà di essa non viene riconosciuta.
Di assegni integrativi per i figli, neanche a parlarne, visto che è appena tornato
in Ticino.
L’arte di arrampicarsi sugli specchi
Davanti a situazioni come queste tutta la consapevolezza della
nostra impotenza si fa sentire. Soprattutto ci rendiamo conto che poco importa
la nostra sconfitta di operatori sociali, mentre rimane aperta, come una domanda
bruciante, la disperazione delle persone cui dovremmo dire che non c’è niente
da fare.
Intervenire economicamente anche per Caritas Ticino, infatti, è difficile, visto
che occorrerebbero soldi per un tempo lungo e insostenibile per una struttura
come la nostra.
Ma è proprio la tensione estrema, la domanda senza apparente soluzione che ci
mette realmente in gioco; il resto è routine, consulenza spicciola, sistematico
accostarsi ad esempi di un copione già letto molte volte.
Questi sono i casi in cui la specificità di Caritas Ticino, o di una struttura
analoga, mostra tutto il suo valore.
Ci aiutano la speranza oltre ogni evidenza che proviene dalla nostra radice
di fede, l’abitudine a concepire progetti che altrove sarebbero considerati
follia, la confidenza con l’immaginazione come criterio creativo.
E’ strano a dirsi e forse, azzardato scriverlo, ma è stata la constatazione
che nonostante i nostri mezzi siamo riusciti a produrre per oltre cinque anni
un’ora di televisione a settimana, a farci decidere di accettare di occuparci
di quello "straniero di fatto", che bussava alla porta del nostro
servizio sociale.
Queste due persone e le loro famiglie non sono "casi archiviati",
per loro stiamo ancora lavorando, ma non sono sole e per loro stiamo mettendo
in gioco tutta la nostra creatività.
Sintesi pratica
Questa volta non daremo regole per districarsi nella rete dei
servizi o dei sussidi, ma richiameremo una regola d’oro che la cultura cristiana
continua a proclamare nonostante la globalizzazione e la massificazione di idee,
persone e cose che oggi ha valenza planetaria: ogni persona è unica e, per incontrarla,
possiamo solo appellarci a tutta la nostra unicità.
Nota per gli irriducibili amanti del lieto fine
Non vorremmo lasciare il dubbio, a fronte di situazioni così
apparentemente irrisolvibili, che ci siamo limitati a considerare la valenza
formativa di questi incontri, lasciando poi le persone immerse nei guai fino
ai capelli.
Come dicevamo, ci stiamo lavorando. Per la prima signora abbiamo consigliato
l’assunzione di una curatela amministrativa, in seguito attivata.
Questo strumento, cioè l’affidamento della propria amministrazione ad una persona
che la gestisce e si fa intermediaria fra chi si trova in difficoltà e tutti
i servizi o i creditori, ha permesso alla signora di affrontare con più calma
i propri problemi, sapendo che c’è qualcuno che si occupa di lei. Il curatore
non si limita a controllare i creditori, ma segue le pratiche per il riconoscimento
del permesso di dimora, organizza un piano di finanziamento, ottiene dilazioni
di pagamento, riduzione di crediti, acquisizione di sussidi non appena possibile.
Inoltre aiuta la signora nella gestione ordinaria, consentendole di utilizzare
al meglio le risorse già disponibili.
Quest’intervento è stato possibile, da un lato grazie alla disponibilità di
un curatore volontario, dall’altro grazie alla presa di coscienza da parte della
nostra utente e della sua famiglia che affidare la propria gestione economica
per un periodo a qualcuno, non significa perdere la propria dignità, né rinunciare
alle responsabilità.
Per la seconda situazione, invece, stiamo ancora lavorando per ottenere il riconoscimento
dello statuto di cittadino che rimpatria. E’ infatti previsto un aiuto per un
cittadino svizzero che ritorna nella sua terra (la domanda di sostegno assistenziale,
la prima volta era stata formulata come se la persona semplicemente si fosse
trasferita nel Canton Ticino, senza problemi legati proprio al suo ritorno).
Inoltre, non appena le cose si saranno stabilizzate, senz’altro si ricorrerà
a strumenti di aiuto, come borse di studio per il figlio o i figli in formazione.
Come si può notare, per queste due persone in difficoltà, più che di lieto fine si dovrebbe parlare di confortante inizio, che, per questa volta, ci ha messo al riparo dalla tentazione di lasciarci cadere le braccia, ma che non può tacitare la coscienza che il prossimo "caso" che incontreremo, potrebbe essere più disperato ancora.