L'informazione
allo
specchio
Continua
la riflessione a Caritas Insieme su Chiesa e mass media
A cura di Dante Balbo
Non si può più pensare di comunicare
il messaggio della Chiesa solo attraverso le trasmissioni settimanali che parlano
del Vangelo di domani
Nell’Anno Santo, il Giubileo è anche giubileo
mediatico e il dibattito sul rapporto fra Chiesa e mass media si fa stringente.
Anche a Caritas Insieme continua ad essere una questione di primo piano.
Lo scorso numero (3/2000) Caritas Insieme aveva dedicato sei pagine intere alla discussione sul rapporto fra Chiesa e mezzi di comunicazione, riportando fra l’altro alcuni stralci del documento della Conferenza Episcopale Svizzera, la presa di posizione di Caritas Ticino ufficialmente inviata ai nostri pastori sul medesimo documento e una intervista al nostro ordinario diocesano, Mons. Giuseppe Torti, in cui ribadiva la sua apertura all’uso di tutti i mezzi adatti alla diffusione del Vangelo, satellite compreso.
Da quest’intervista al nostro vescovo e dall’occasione della giornata dei mass media, celebrata il 4 giugno scorso, in concomitanza con il Giubileo dei giornalisti, è nata una conversazione televisiva condotta da Roby Noris e andata in onda a Caritas Insieme TV il 3 giugno su TeleTicino. Erano nostri ospiti in studio tre personaggi noti del panorama mediatico cantonale, Marco Bazzi, responsabile dell’informazione a TeleTicino, Claudio Mésoniat, giornalista della TSI che recentemente ha concluso una importante serie di trasmissioni a carattere religioso, Giubileo 2000. A loro si aggiunge un altro specialista della questione mediatica, Roberto Poretti, direttore di Cablecom che distribuisce, tra l’altro, TeleTicino.
Continuiamo dunque a parlare di Chiesa e mezzi di comunicazione riportando alcune delle riflessioni di Marco Bazzi e Claudio Mésoniat svolte a Caritas Insieme TV.
Tra pubblico e
privato: una sussidiarietà tutta da imparare
Bazzi:
Il Ticino è il Cantone svizzero che ha più mezzi di comunicazione in assoluto, se non una delle regioni del mondo a più alta densità mediatica. Questo credo che sia comunque importante. In Ticino c’era un’esperienza cantonale con il Giornale del popolo, e TeleTicino è nata, inizialmente, come tentativo di creare una sorta di multimedialità fra il Giornale del popolo e l’allora TeleCampione.
E’ anche a questo bagaglio di realizzazioni che, in senso lato, ha attinto l’esperienza di Caritas Ticino, con Caritas Insieme TV e rivista.
Il giudizio che si può dare su questa vivacità comunicativa è sicuramente positivo, rispetto invece ad un giudizio negativo su una Conferenza Episcopale che secondo me riflette una mentalità svizzera che è molto chiusa, non soltanto all’Europa, anche dopo gli accordi bilaterali, ma un po’ in genere verso lo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione soprattutto se privati. E’ molto chiusa nei confronti della comunicazione elettronica. Giornali liberi si, chiunque può fare un giornale in Svizzera, perfino gli scandinavi vengono a Zurigo a farlo, ma guai a mettere in piedi un’antenna senza il consenso della Confederazione.
Mésoniat:
Io penso che tutto quello che è utilizzabile va utilizzato, con un’avvertenza: un mezzo come la televisione è, lo sappiamo tutti, particolarmente macchinoso e costoso. Allora bisogna fare il passo secondo la gamba, è necessario avere i mezzi per poter costruire ed utilizzare adeguatamente la televisione, un mezzo molto più caro, molto più dispendioso di quanto non siano la radio e la stampa scritta. Di questo bisogna tener conto per raggiungere quel livello minimo di professionalità, richiesta per utilizzare la televisione con criteri televisivi e non trasferire la radio o i giornali sullo schermo. La messa in onda di un messaggio, di una comunicazione televisiva richiede un sacco di soldi. Detto questo penso che sia giusto servirsi di ogni mezzo possibile per comunicare.
Il comunicatore cristiano oppure il comunicatore che voglia occuparsi del fatto cristiano, ha in mano una ricchezza particolare, ha una carta, un hatù, una briscola eccezionale proprio per fare comunicazione.
Bazzi:
La televisione di stato, la televisione pubblica, ha il dovere di dare voce, di dare spazio a tutte le forme, manifestazioni di fede, di politica e di religione. E’ un dovere che la televisione di stato deve compiere nei confronti delle diverse componenti della società. Questa è una premessa importante. Ci si affida all’ente pubblico dicendo: noi abbiamo bisogno di questo spazio, lo vogliamo, lo chiediamo, datecelo. Le esperienze private nel campo delle televisioni cattoliche o delle radio cattoliche, radio Maria per esempio, criticabile fin che si vuole ma che ha ottenuto un grande successo, sono esempi di televisioni e di radio monotematiche, sono state create ad hoc. Non sono delle televisioni e delle radio private all’interno delle quali si sono creati degli spazi informativi di matrice cattolica. Penso che di questo bisogna tener conto.
Noi viviamo in Ticino un’esperienza a se stante, il fatto che Caritas Insieme vada in onda su TeleTicino è un evento singolare. Secondo me la collaborazione con i privati si può creare. E’ chiaro che le televisioni private sono anche televisioni commerciali e hanno bisogno di pubblicità per vivere. Forse il messaggio evangelico non rende tanto dal punto di vista della sponsoriz-zazione. Non basta comunicare, bisogna avere qualcosa da dire.
Mésoniat:
Io tendo a valutare esperienze diverse con l’occhio clinico del professionista di una TV di servizio pubblico che i mezzi li ha. Credo tuttavia che sia importante tentare esperienze diverse, perché c’è un gran bisogno di comunicazione vera, anche nel mezzo televisivo. Una comunicazione che sia autentica, deve comunque e sempre essere interpersonale, tra la persona che è il telespettatore e la persona che è il comunicatore, il quale si avvale di tutti i mezzi e di tutti gli espedienti possibili ed immaginabili, ma alla fine può comunicare solo se stesso.
Questo vuol dire che se non fa un’esperienza di rapporto con la realtà che gli dia qualcosa di nuovo, di fatto non comunicherà. Farà un bla bla, magari anche ricco e costoso, lussuoso, dotato di tutti i mezzi di questo mondo, ma non farà vera comunicazione. Di vera comunicazione, ripeto, ce n’è bisogno, e penso che doversi occupare del fatto cristiano vuol dire doversi occupare di quello che è l’avvenimento tra tutti gli avvenimenti.
Innanzitutto è l’avvenimento che sempre si rinnova ed è sempre sorpresa, è sempre imprevedibile nel modo più assoluto, e quindi chi impatta con l’ambiente Cristiano, si incontra con qualche cosa con cui, se la sua umanità entra in risonanza e gli fa fare un’esperienza di novità e di cambiamento, non può che trasformarlo in un comunicatore per eccellenza. Questo mi fa dire che val la pena tentare, a tutti i livelli, con tutti i mezzi, quando si è raggiunta quella soglia che consenta di far televisione e non della radio, con la camera fissa e basta, con un tavolino e uno che parla e parla oppure, peggio ancora, uno che legge dei testi scritti che sarebbe come fare della stampa scritta mascherata da televisione."
Per usare i media bisogna diventare mediatici, ma soprattutto rinnovare la cultura ecclesiastica. Quali sono le difficoltà che la Chiesa deve affrontare per adeguare la propria comunicazione ai media? E’ solo un problema di adeguamento professionale e di competenza tecnica?
Mésoniat:
Probabilmente c’è dietro anche un impianto mentale un po’ clericale in molta parte della Chiesa. Intendo, più ancora della gerarchia ecclesiastica, dell’establishement intellettuale-culturale della Chiesa nella Svizzera tedesca in particolare. E forse anche un po’ nella Svizzera romanda. Il fatto cristiano è ancora molto identificato riduttivamente, e questo è uno dei grandi drammi della Chiesa contemporanea, con una dottrina, con un’etica, con dei riti. Questa in realtà non è l’essenza dell’avvenimento cristiano.
Non è prima di tutto dottrina, i dieci comandamenti, la Santa Messa, è un fatto, proprio come il Papa ha ricordato in vista di questa giornata dei media. Questo fatto si chiama Gesù di Nazareth, cioè un uomo che ha preteso di essere Dio, che è morto e risorto e grazie al fatto che è risorto è continuamente presente negli uomini che ha chiamato e che ha messo insieme, cioè la Chiesa. Se la Chiesa comincia a essere ricompresa e vissuta cosi, probabilmente si scongela e si decongestiona anche un modo piuttosto rigido, gerarchicamente controllato, attento ai punti e alle virgole come se si trattasse fondamentalmente di trasmettere un messaggio astratto, intellettuale. Credo che dentro ad una concezione più ampia, reale, cattolica e libera del fatto Cristiano, ci si potrebbe muovere con meno rigidità, con meno prudenza o eccessiva prudenza che colgo anch’io in tanti colleghi che hanno posizioni di comando nell’establishment della Chiesa svizzera.
Bazzi:
Chiudersi
alla televisione è assolutamente negativo. Non si può più pensare di comunicare
il messaggio della Chiesa, che è anche il messaggio del Vangelo, solo attraverso
le trasmissioni settimanali che parlano del Vangelo di domani, per esempio.
Questa è una sintesi di quello che il Vangelo della domenica racconterà ai fedeli
che si riuniranno in Chiesa, ma non può essere questa l’informazione del mondo
cattolico di oggi se si vuole raggiungere una vasta fetta di pubblico.
Immersi nel mare delle comunicazioni, bisogna lottare
contro corrente
Mésoniat:
Che si sia nella civiltà, nell’epoca della comunicazione è di una evidenza travolgente per tutti. Questo non potrà non intaccare le cautele e le rigidezze di cui si parlava. Non dobbiamo però illuderci che questa società della comunicazione porti con se solo elementi positivi. Si tende a mettere tutti in rete, a irretirli, non per permettere loro di diventare protagonisti della loro vita in un rapporto vero con la realtà.
Si tende a sostituire il rapporto con la realtà, soprattutto con i nuovi media come internet. Con questa coscienza è una grande battaglia per la comunicazione vera, quella che si deve fare! Penso che sia un incontro-scontro inevitabile anche per gli uomini di Chiesa, che dovrebbero essere all’avanguardia in questo, proprio perché credo che siano i comunicatori privilegiati. La vita del cristiano, come dice il Papa in questo comunicato per la giornata dei media, è comunicazione.
Il cristiano
ha il compito di comunicare quello che ha incontrato e di trasmettere la buona
notizia, dice il Vangelo. Presto o tardi tutti lo dovranno capire perché si
troveranno immersi in un grande flusso comunicativo nel quale bisogna essere
capaci di nuotare controcorrente, capaci di ripristinare dappertutto, dove si
può e con piccoli sforzi, una comunicazione vera.
* trascrizione delle interviste non rivista dagli autori