Dove sono finiti i disoccupati ?
Si riparte su nuovi modelli, ma con la testa ancora sbagliata

Di Giovanni Pellegri


Nello spazio di 24 mesi la disoccupazione è diminuita del 53% in Ticino. Dalle 7'678 persone disoccupate che si registravano due anni fa (giugno '98) si è scesi alle attuali 3'613 (giugno 2000). Sono dati positivi, che finalmente scacciano l’incubo di una crisi economica irrimediabile. "Le previsioni sono al bello", afferma Sergio Montorfani, Capoufficio cantonale del lavoro e anche per il 2001 assisteremo ad un ulteriore diminuzione del tasso di disoccupazione.

Di colpo ritorniamo agli inizi degli anni ’90, quando di crisi non si parlava e gli esclusi dal mondo del lavoro erano pochi. Ma è solo un’apparenza. Il quadro che emerge è in verità più complesso. Il lavoro c’è, ma le prospettive sono incerte.

Si riparte, ma il lavoro è cambiato e la ristrutturazione non è finita: il posto sicuro non c’è più, per le professioni a bassa qualifica si è assistito ad un livellamento verso il basso dei salari e soprattutto tutto gira più velocemente. Il lavoro sta cambiando ma ha bisogno di nuove persone, di nuove mentalità, e forse questo è il paradosso più evidente: l’attuale ripresa economica, avendo bisogno di nuova manodopera, ha dovuto riassorbire le stesse persone che precedentemente aveva escluso perché ritenute inadeguate. Insomma il lavoro sta cambiando ma le persone sono le stesse, potrà reggere a lungo termine un tale sistema?

Molti economisti negli ultimi anni si sono espressi sulla natura della crisi che ha investito il nostro Paese, mettendo l’accento sul tipo di disoccupazione che, contrariamente a quanto osservato in passato, era di tipo strutturale, cioè dovuta ad una riorganizzazione profonda del mercato del lavoro, e non congiunturale, cioè da attribuire ad un momento passeggero di crisi economica. Questo significava che proprio il concetto stesso di lavoro stava cambiando e chi non possedeva gli strumenti adeguati o la testa giusta veniva semplicemente messo da parte. Dal nostro osservatorio (oltre 2000 persone disoccupate accolte nelle nostre strutture) non potevamo che confermare questa lettura. Ora la disoccupazione è improvvisamente diminuita, smentendo in parte quelle analisi. La ripresa ha riassorbito in 24 mesi quattromila lavoratori disoccupati e la richiesta di manodopera non è ancora finita. "In Ticino le imprese industriali manifestano sempre più difficoltà nel reperire la manodopera con i profili professionali necessari" afferma Sandro Lombardi dell’AITI tanto che attualmente vi sono un migliaio di posti vacanti.

Perché l’economia ticinese ha rallentato il suo andamento per alcuni anni per poi ripartire riassorbendo le stesse persone che ha lasciato a casa precedentemente? Non erano queste inadeguate di fronte ai cambiamenti in corso? Sono veramente le stesse persone che hanno trovato lavoro o le statistiche stanno tuttora occultando migliaia di persone?

In questo contesto Caritas Ticino sta cercando di avere un quadro più chiaro della situazione, sfatando innanzitutto alcuni luoghi comuni che spesso vengono citati per cercare di spiegare un fenomeno che non è di facile lettura.


L’economia è in ripresa?

Un’obiezione spesso invocata per criticare l’attuale ripresa economica è il fatto che la disoccupazione scende ma l’occupazione non sale. Oggi abbiamo però a disposizione alcuni indicatori che mostrano una ripresa anche dell’occupazione. Il primo è l’indice di impiego globale del Ticino che paragonato al 1985 è del 87,5%, mentre se paragonato al 1995 è del 92,9%. Rispetto a 5 e 15 anni fa la situazione occupazionale in Ticino è quindi peggiorata, ma a partire dal quarto trimestre del ’99 e durante tutto il 2000 la tendenza si invertita. La variazione percentuale dell’indice di impiego rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è oggi infatti positiva. Daniela Baroni, dell’Ufficio di statistica cantonale, scriveva su "Informazioni statistiche" del mese di giugno che "l’ottimismo non è peraltro limitato alla cerchia degli addetti ai lavori; infatti, l’indice del clima di consumo, calcolato dal Segretariato di Stato dell’economia (...) passa dal 1998 al 2000 da valori negativi (inverno 1997/1998) a valori neutri attorno allo zero (fino all’estate del 1999) per poi progredire in particolare nei primi due trimestri di quest’anno fino a livelli mai raggiunti negli ultimi dieci anni." Inoltre a livello cantonale secondo il BAK di Basilea, il prodotto interno lordo ha conosciuto un’importante accelerazione e dovrebbe crescere nel 2000 del 2,8%.

Se guardiamo ai posti di lavoro in Ticino l’impiego è globalmente diminuito fino al 1998: nel 1991 infatti vi erano 170’376 posti di lavoro, nel 1995 160’141 e nel 1998, ultimo dato a disposizione, erano 150’170. Non conosciamo però i valori inerenti al periodo caratterizzato dalla ripresa e dalla netta diminuzione della disoccupazione (biennio 1998-2000).


La disoccupazione è scesa, non ci sono dubbi

L’improvvisa discesa della disoccupazione non è un fenomeno dovuto a giochi statistici che occultano migliaia di persone escluse dal mondo del lavoro. Sappiamo che il tasso di disoccupazione non dà una buona rappresentazione della situazione occupazionale del Cantone in quanto non considera le persone disoccupate in assistenza o le persone senza lavoro inserite in corsi o programmi occupazionali. Abbiamo sempre affermato che per avere una rappresentazione più corretta del fenomeno disoccupazione occorre guardare al numero di cercatori di impiego. Se guardiamo a questa cifra, ci accorgiamo che la diminuzione dei cercatori di impiego è identica in percentuale a quella dei disoccupati. Il fenomeno disoccupazione è quindi veramente in discesa.


E i frontalieri?

Migliaia di posti di lavoro occupati dai frontalieri sono stati soppressi negli ultimi anni. Ma attenzione il fenomeno è avvenuto tra gli anni 1990 (40’252 frontalieri in Ticino) e il 1998 (28’348 frontalieri). La ripresa degli ultimi due anni ha di fatto arrestato l’emorragia tanto che negli ultimi mesi il numero di frontalieri è tornato a crescere (1999: 27’966, 2000 primo trimestre: 28’430).

La diminuzione della disoccupazione non può quindi essere spiegata con uno spostamento della manodopera residente verso i posti lasciati liberi da quella confinante. Di fatto quello che si osserva è che se l’occupazione sale per i residenti, anche le opportunità per i frontalieri aumentano.


L’ingegnere informatico come l’operaio generico?

Si potrebbe obiettare che le professioni medie basse o le persone senza qualifica siano colpite maggiormente dalla disoccupazione e che la ripresa sta avvenendo solo per le professioni che richiedono manodopera con alte qualifiche. Le statistiche smentiscono queste ipotesi: la percentuale di persone disoccupate senza formazione o con formazione media/bassa è invariata negli ultimi due anni. Quindi sebbene queste formazioni siano le più rappresentate nel mondo della disoccupazione, non abbiamo assistito ad una discriminazione di alcune classi di disoccupati rispetto ad altre. Un dato: i disoccupati generici senza una formazione sono rimasti in percentuale invariati negli ultimi 12 mesi così come il gruppo professionale del commercio e dell’ufficio.


La disoccupazione scende ma gli esclusi aumentano?

L’attuale legge di disoccupazione, dopo le modifiche avvenute gli scorsi anni, impedisce di utilizzare la disoccupazione come "stile di vita". Il fatto che per riaprire un nuove periodo quadro bisogna lavorare, durante i due anni di disoccupazione, almeno per un anno, ha indubbiamente fatto aumentare il numero delle persone che dalla disoccupazione passano all’assistenza. Non possediamo dati recenti dell’ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento ma risulta evidente che solo una piccola frazione delle persone che finiscono le indennità di disoccupazione senza aver trovato lavoro, fanno ricorso alle prestazioni assistenziali. Probabilmente alcuni hanno mezzi propri, altri, finite le indennità, si arrangiano (cercavano realmente un lavoro?), altri ancora campano lavorando in nero.

Lo sviluppo di programmi occupazionali ha sicuramente reso la disoccupazione meno attrattiva (quante persone abbiamo visto uscire improvvisamente dalla disoccupazione quando il collocatore proponeva il nostro programma occupazionale...) giocando quindi un ruolo deterrente per gli eventuali abusi. Delle riflessioni più approfondite andranno fatte su quella fascia di persone che non potranno più rientrare nel mercato del lavoro. Anche con una congiuntura positiva avremo sempre alcune migliaia di persone disoccupate o in assistenza. Prima di smantellare tutte le iniziative svillupatesi a favore delle persone escluse dal mondo del lavoro, occorrerà effettuare una scelta per mantenere in Ticino quelle iniziative che potranno in ogni momento svolgere un servizio utile, convertendo i programmi occupazionali in strutture più stabili dove chi sarà escluso definitivamente dal mercato del lavoro possa avere un luogo dove essere valorizzato dando un contributo alla nostra società.


Il futuro: affaire à suivre

I dati positivi celano un mondo del lavoro in pieno fermento soggetto a cambiamenti e ristrutturazioni tuttora in atto. Tutto riparte, ma tutto è cambiato e gli attuali 150’000 posti di lavoro esistenti in Ticino non sono assolutamente paragonabili a quelli del 1985. Se negli anni ’80 l’ambizione massima di un ticinese (posto di lavoro vicino a casa, ben pagato e per sempre) trovava una risposta, oggi non è più così. Eppure, e questo è il dato che ci sorprende più di tutti, molte persone inadeguate rispetto ai parametri richiesti oggi dal mercato del lavoro riescono a ricollocarsi. Probabilmente la ripresa in corso è obbligata ad accettare "quel che passa il convento" ma l’inadeguatezza al mercato del lavoro da parte di una fascia di persone, creerà una maggior precarietà. Si prospetta quindi un periodo di transizione, durante il quale l’occupazione sarà buona ma molte persone saranno costrette a cambiare spesso il loro posto di lavoro, con passaggi regolari dalla disoccupazione, e a fianco a questo mondo di lavoratori avremo un costante numero di persone non più ricollocabili, che avranno bisogno di proposte lavorative alternative. È evidentemente una lettura che dovrà essere verificata nel tempo e da più osservatori. Ed è quello che faremo sul prossimo numero di questa rivista.