Un lavoro per appartenere alla società


Di Giovanni Pellegri

 

 

La disoccupazione più che caratterizzarsi come forma di povertà materiale, si manifesta innanzitutto come esclusione sociale. Chi per motivi di salute, inefficienza lavorativa, età o altro non riesce più a proporsi sul mercato del lavoro, si trova protagonista di un viaggio nel territorio di transizione dal mondo del lavoro a quello degli “inutili”. Il passaggio è graduale, costellato da situazione di lavoro precario e temporaneo per giungere ad un finto e soffocante Eldorado: l’inoperosità pagata.

Caritas Ticino è oggi confrontata con queste nuove povertà, non fatte di mancanza di abiti, casa, o cibo ma definite dalla solitudine e dall’esclusione sociale. Uomini e donne inutili, ai quali è negata l’appartenenza ad una società, hanno un indirizzo, del cibo e un passaporto ma in verità sono senza diritto di cittadinanza.

Aiutare chi chiede un pezzo di pane è sicuramente più facile che tentare di fornire degli strumenti a chi è stato risucchiato dal vortice dell’esclusione. Gli aiuti finanziari dello Stato, preziosissimi conquiste sociali del nostro Paese, diventano una scialuppa di salvataggio per persone alla deriva. Non si va a fondo ma si prosegue soli e senza una meta. L’unica strada è cercare di ricostruire dei luoghi all’interno della nostra società che sappiano offrire il diritto di cittadinanza agli esclusi, un diritto basato sulla partecipazione al lavoro retribuito e all’appartenenza alla nostra società, anche se le capacità lavorative sono a volte molto ridotte.

Non servono abiti e pasti caldi, urgenze ancora primarie per esempio per Caritas Ambrosiana nella ricca Milano, ma bisogna poter ricostruire delle situazioni di lavoro normale, produttive, valorizzanti, che sappiano offrire degli spazi a chi è ritenuto “infruttuoso” dal normale mercato del lavoro. Questi spazi esistono a Caritas Ticino, si chiamano PIP, sono i Programmi di Inserimento Professionale per persone in assistenza, creati in collaborazione con l’Ufficio del Sostegno Sociale e dell’Inserimento (USSI) del DOS. Si tratta di aziende produttive che offrono lavoro e accompagnamento alle persone in assistenza, allo scopo di far rientrare nei circuiti lavorativi tradizionali le persone che oggi si trovano in situazioni di svantaggio e che non possiedono i requisiti necessari per un inserimento produttivo nel normale mercato del lavoro.

La durata massima dell’inserimento lavorativo è normalmente di un anno per motivi di riconoscimento salariale da parte dell’USSI, ma per le fasce più deboli del mercato del lavoro è necessario iniziare delle riflessioni sulla creazione di posti più stabili adeguatamente remunerati. Il lavoro all’interno dei PIP è infatti prezioso, le persone hanno finalmente trovato un luogo dove esprimersi ed essere valorizzate, un’alternativa alla solitudine o all’osteria. Il percorso all’interno del PIP permette a queste persone di riavvicinarsi al mercato del lavoro, partendo da un rapporto di scambio equo tra prestazioni e relativa remunerazione, le persone valorizzate con un lavoro utile hanno un luogo dove riacquistare un’identità personale e sociale, la fiducia in sé stessi e nei rapporti tra le istituzioni. Con un’esperienza positiva alle spalle è più facile pensarsi lavoratori e non più assistiti, dopo un anno, in mancanza di altre opportunità, le persone hanno ancora la possibilità di riaprire un termine quadro in disoccupazione. Alcuni riescono a ritrovare un lavoro stabile fuori dal PIP.

In altri casi (e sono purtroppo ancora tanti) la fine dell’anno di lavoro coincide con il ritorno verso l’esclusione: molte persone, soprattutto le più svantaggiate per problemi di dipendenze, malattie, o semplicemente perché troppo anziane, si ritrovano in quella fascia di popolazione dalla quale erano venute. Stabilmente e strutturalmente escluse dalla possibilità di accedere a un lavoro, non capiscono perché non possono restare a lavorare a Caritas. Solo la possibilità di disporre di strumenti meno rigidi, come il prolungamento del PIP, permetterebbero di offrire un sostegno maggiore a chi non ha una reale possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro e di evitare così una ricaduta nella marginalizzazione sociale.