Innamorati di Dio
Di Cristina Vonzun
A Loreto, sulla collina che sovrasta la grande radura di Montorso, in cui Giovanni Paolo II, nel 1995 incontrò i giovani d‘Europa, sorge, per desiderio del Papa, il Centro di pastorale giovanile Giovanni Paolo II, Eurhope. Qui si sono dati convegno per la prima volta i nuovi responsabili di pastorale giovanile (PG) delle diverse diocesi italiane, in attesa che la struttura recentemente inaugurata, possa ospitare incontri anche a livello europeo. Il centro comunque avrà come primi utenti i giovani stessi. In esso infatti opera un gruppo permanente di accoglienza che propone un programma spirituale.
Noi della PG di Lugano, siamo andati a Montorso per parlare di giovani e GMG, anzi di post-GMG con gli amici delle diocesi italiane. In un clima fraterno abbiamo letto, aiutati da Mons. Domenico Sigalini, direttore del servizio di PG della Cei, le coordinate uscite da Tor Vergata.
Anzitutto questa cifra oceanica di giovani. Un dato che ha visto molti degli oltre due milioni, quasi i tre quarti, quali aggregati nelle ultime settimane. Un fenomeno estremamente rilevante, che testimonia se non altro, il grande impatto di coinvolgimento che l’evento ha avuto: da giovane a giovane, da italiano a straniero. Ma chi erano questi “saccopelisti” dell’ultima ora, arrivati in centinaia di migliaia a Roma? Erano prima e soprattutto degli innamorati di Dio.
Dimentichiamoci Woodstock
Quelli non erano lì per spinellarsi, ma erano lì per Cristo, anche se un Cristo dell’ultima ora, quello insomma per il quale hanno preso l’ultimo posto sul treno, si sono iscritti in ritardo o non si sono iscritti per niente… Il Circo Massimo, nelle tre giornate in cui centinaia di migliaia di questi “profughi dell’ultimo momento” si sono confessati, è stato il testimone silenzioso di chi fossero. Li abbiamo passati al setaccio, questi giovani: sono risultati i possessori di una prevalente assoluta normalità, di una crescente allegria, di molta musica e di seria preghiera senza per questo voler apparire diversi dagli altri (cioè da quelli che secondo certi parametri sarebbero i cosiddetti lontani). Certo, abbiamo individuato in loro poca memoria storica, poca teologia, molta voglia di sentirsi insieme, molta serenità. Il loro impegno politico è tutto basato sul volontariato e sono totalmente lontani da un certo modo che abbiamo noi adulti di concepire l’impegno politico come partitico.
Questi giovani perché erano a Tor Vergata? Perché, prima di tutto, si sentono attirati da Dio, sono una sorta di mistici, che vivono insieme dimensione di ricerca spirituale e domanda di felicità. Sono giovani tendenzialmente lontani dai vecchi schemi dell’associazionismo cattolico, di cui avvertono la pesantezza nell’eccessiva ricerca di equilibri intraecclesiali, di autoreferenzialità, di linguaggio incomprensibile.
Sono molto più attratti da altre forme aggregative e comunicative, più adeguate al loro modo di vivere il quotidiano. Cercano modelli ed in questo senso sono l’opposto della generazione che li ha preceduti, per la quale il modello, il punto di riferimento era solo un ostacolo da abbattere. Ecco che si delinea allora la figura di Giovanni Paolo II: li guida a Cristo, ma lo fa con la sua personale testimonianza. Quando l’anno scorso, in San Pietro, durante il concerto di Baglioni il Papa si è affacciato alla finestra, per i 100’000 ragazzi romani Baglioni non esisteva più. Questi giovani sanno verso chi levare lo sguardo, il problema non sono loro, ma la Chiesa semmai, che deve dare loro luoghi aggregativi adeguati ai tempi. Partendo da Tor Vergata, risuonava l’eco di quel “non disperdetevi!” detto dal Papa. Per molti giovani, soprattutto i coinvolti dell’ultima ora, c’è stata questa fatica: ad oggi non sanno assolutamente dove continuare il cammino iniziato, perché spesso, all’oratorio o in parrocchia, ci sono luoghi non conformi alle loro esigenze, al loro stile. Uno dei due obiettivi che Giovanni Paolo II si è sempre posto riguardo alle GMG, è quello di “mettere al centro di tutta la Chiesa e della società, il mondo giovanile come vero futuro di ambedue e ad esso orientare l’attenzione di tutte le forze disponibili”.
Guardando il futuro
Quali linee allora divengono oggetto di studio per la Pastorale giovanile dopo Tor Vergata? Mons. Domenico Sigalini, responsabile dell’Ufficio Cei per la PG, le ha così espresse:
Fiducia e grande stima nei giovani, come indica lo sguardo positivo del Papa su di loro. Per una comunità cristiana questo si traduce nello sbilanciarsi dalla parte dei giovani, nell’investire un massimo di energie per il futuro. Non per niente la Cei si sta impegnando per sostenere l’apertura di centri per la pastorale giovanile in tutte le diocesi italiane.
Un altro aspetto è quello di una fede che sappia rispondere alle questioni fondamentali della vita. Quando Giovanni Paolo II è tornato dalle vacanze in Valle d’Aosta, ha portato ai suoi collaboratori un brano evangelico diverso rispetto a quello previsto per la S. Messa di Tor Vergata. Il brano scelto dal Papa è stato quello dell’incalzante dialogo tra Gesù, la gente, i discepoli, che culmina con la domanda rivolta a questi ultimi “Volete andarvene anche voi?”.
Una fede seria
Qui si gioca la proposta della fede come un avvenimento serio. I martiri richiamati alla Veglia di Tor Vergata sono un ulteriore esempio di questa linea educativa: quella della determinazione, del coraggio e della radicalità. La GMG è stato un laboratorio della fede, un luogo in cui si è preso in serio esame la fede. L’indicazione si traduce per ogni comunità, gruppo, luogo aggregativo: la fede è il caso serio di questi giovani, per cui occorre creare ovunque spazi di incontro tra Dio e l’uomo, luoghi in cui queste domande trovino risposte.
Rileggere la vita, le sue domande, i suoi problemi come un dialogo con Gesù oggi; l’Incarnazione è lo stile dell’evangelizzazione. Questi giovani hanno dato l’immagine di cosa è l’Incarnazione. Vestiti come tutti, con tatuaggi e piercing, in ginocchio davanti al confessore e appoggiati l’un l’altro sul prato, in contemplazione davanti alla croce e inarrestabili nella danza… in essi non vi è contraddizione tra la notte vissuta nella ricerca di amicizia e libertà e il giorno nel duro confronto con l’impegno e con i riferimenti adulti. Si tratta da parte nostra di aiutarli a formarsi in questa spiritualità laicale, dove il giovane deciso per il Vangelo, si decide ad abitare i luoghi della vita quotidiana e si misura con le sfide dei coetanei e del proprio tempo. I giovani vivono una spiritualità laicale se sanno essere attivi e responsabili nel costruire luoghi umani: nel mondo delle relazioni, nei tessuti di convivenza. Questo non scatta automaticamente se gli insegnamo a dire le lodi e i vespri mattino e sera, se gira in parrocchia, se mette in ordine i tempi forti. La preghiera deve essere accompagnata da un tirocinio severo di vita cristiana nelle piazze, nelle strade, nei luoghi di lavoro e studio, di svago e divertimento. Gli esiti di una vita credente non possono essere affidati a nessun automatismo.
La missione, il muretto
I Vescovi italiani a Collevalenza hanno scritto “i giovani chiedono di superare i confini abituali dell’azione pastorale, per esplorare i luoghi, anche i più impensati, dove i giovani vivono, si ritrovano, danno espressione alla propria originalità, dicono le loro attese e formulano i loro sogni”. Si tratta allora di rendere meno sporadiche le nostre uscite, ma più organiche e preparate.
La vocazione
In quelle parole di Cristo “volete andarvene anche voi?”, sta la richiesta alle chiese locali di sostenere i giovani perché sappiano fare delle scelte. La PG deve essere più vocazionale per evitare il dilazionamento della decisione vocazionale, problema a cui si assiste nelle nostre società occidentali. Inoltre si tratta di educarli ed incoraggiarli ad assumere responsabilità personali e collettive.
I nuovi linguaggi della formazione e della missione
La pastorale giovanile non può ignorare il mondo dei mass media e stare solo sulla difesa o attesa di grandi eventi per comunicare la sua vita e i suoi progetti. E’ questo un tempo in cui essere più attivi, quindi preparati e coraggiosi sia nella carta stampata, nella radio, in internet e altrove. E questo vale per un altro linguaggio fortissimo: quello della musica.