Volontariato: un patrimonio per tutti
Come annunciato nella rivista precedente, il 7 aprile ha avuto inizio il corso di volontariato promosso da Caritas Ticino con un doppio binario: l’approfondimento delle ragioni profonde per cui il volontariato non è una scelta ma un modo di essere e l’analisi socioculturale che descrive il contesto concreto in cui il volontariato si è sviluppato e continua a cambiare in relazione alle trasformazioni sociali.
Su questa doppia linea, in realtà convergente nell’attenzione globale alla persona, si sono mosse le prime due relazioni, il secondo incontro infatti si è svolto sempre presso la sede centrale di Caritas Ticino il 5 maggio scorso. A don Giuseppe Bentivoglio, presidente di Caritas ticino, è stata affidata la dimensione antropologica e teologica, mentre è stato Dante Balbo a fornire un quadro della situazione sociale in cui è nato e si esprime il movimento composito del volontariato.
I partecipanti hanno mostrato di gradire il contenuto esposto dai relatori, almeno a giudicare dal dibattito che ogni volta ha coronato gli incontri. Anche per questo ci è sembrato opportuno allargare la cerchia dei fruitori di questo patrimonio culturale offrendo sulle pagine della nostra rivista uno spazio alle relazioni del corso, anche se ovviamente in forma sintetica.
Qui di seguito trovate quindi sia la relazione di don Giuseppe Bentivoglio, a cui sono state tolte molte ampie citazioni bibliche, lasciando i riferimenti, sia quella di Dante Balbo, da cui è stata omessa una parte storica relativa allo sviluppo della solidarietà nell’ambito della cristianità nascente e alla relazione con la nascita della società moderna, con riferimento alla modificazione del concetto di lavoro.
Il prossimo appuntamento con il corso sarà il 9 giugno 2001, dal titolo “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 15,12) e sarà ancora don Giuseppe Bentivoglio a condurlo. Anche se non avete partecipato ai primi due, siete ancora in tempo a vivere in diretta quello che ora potete gustare solo in parte dalle pagine che seguono.
Di don Giuseppe Bentivoglio
Nella lettera agli Efesini Paolo dice che esiste “un solo Dio” e che questo Dio è il “Padre di tutti” (4,6). E nella prima lettera ai Corinti aggiunge che dal Padre “tutto proviene” e che “noi siamo per lui” (8,6). Questa consapevolezza, che Dio è nostro padre viene da lontano. Nell’ AT già troviamo l’affermazione della paternità di Dio: (Ger 31,9). Si tratta di una concezione radicalmente diversa da quella di ogni altra religione, dove la divinità appare dispotica, è un padrone alla cui mercé gli uomini sono. Gli dei agiscono arbitrariamente e sono mossi da sentimenti e passioni che rendono difficile la vita degli uomini. Non conoscono alcuna compassione, sono capricciosi e agiscono in modo irrazionale. Questa irrazionalità li rende pericolosi. Per la Bibbia, invece, l’agire di Dio è quello di un padre che ha cura dei suoi figli, li guida e li consola. Se è necessario, li castiga affinché capiscano e si ravvedano. Egli non conosce riposo, ma vigila incessantemente su coloro che gli appartengono (Ps 121,18).
Con la venuta di Cristo questa paternità appare evidente: Gesù conferma la tradizione precedente e con assoluta chiarezza dice che la paternità appartiene alla natura di Dio, per cui tutto quello che egli fa manifesta la sua paternità. Adesso vediamo in che modo questa paternità di Dio è stata rivelata, in che modo cioè Dio ha voluto dire agli uomini di essere padre. In altre parole: come Dio ha manifestato la sua paternità? Lo ha fatto per tappe successive. Vediamo quelle fondamentali. Esse sono due: la Creazione e la Redenzione.
La Creazione
Dice il libro della sapienza: Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio.
e dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l’artefice, pur considerandone le opere.(...) Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore. (...) (Sap 13,19). E nella lettera ai Romani (1,1823), S.Paolo considera la creazione una manifestazione di Dio. Di essa Egli si compiace (Gen 1,10.12.18.21.25.31). Adesso ci chiediamo: perché Dio ha creato l’universo? Perché lo ha voluto? La Tradizione risponde in questo modo: Dio ha creato ogni cosa per amore. Si tratta, infatti, di una comunicazione. Dio comunica qualcosa. Che cosa? Egli comunica l’essere. Dio solo possiede l’essere (solo Dio è), per cui egli comunica qualcosa di sé, per cui le cose incominciano ad esistere: “Dio (...) chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono” (Ebr 4,17)
Comunicare l’essere significa amare. Quindi l’amore caratterizza la paternità di Dio e dal quel momento in poi caratterizza ogni paternità. Il padre, infatti, è colui che genera. Circa la creazione dell’uomo osserviamo, poi, che il racconto colloca l’uomo stesso in un rapporto del tutto particolare con Dio (Gen 1, 2627 2, 7). Si tratta di un rapporto nel quale Dio comunica non solo l’essere, ma in qualche modo comunica il suo stesso Spirito. Essendo questo Spirito uno spirito d’amore, possiamo concludere che l’amore ci costituisce. Unendo ogni uomo a sé, Dio ci struttura in modo tale da essere manifestazione di Dio e del suo amore. Essere fatti a sua immagine significa che il modello è Dio.
Più precisamente significa che il modello è il Figlio, come dice il vangelo di Giovanni (Gv 1, 13). Se un rapporto ci costituisce, allora la natura umana (il “chi siamo”) trova in questo rapporto con Dio mediante il Figlio la sua consistenza e la sua identità. Per questo ma lo vedremo meglio nei prossimi incontri la nostra moralità dipende dell’amore. Se l’amore ci fa, se dall’amore siamo fatti, allora per essere noi stessi e realizzare la nostra umanità dobbiamo amare.
La Redenzione
La paternità di Dio appare pienamente nel fatto che Dio non abbandona gli uomini, ma dopo il peccato li salva. Dio rivela compiutamente la sua paternità mediante il perdono. L’amore di Dio trova nella misericordia il suo compimento. Dio stesso dice di essere misericordioso, di essere la stessa misericordia. “Il nostro Dio è misericordioso”, dice il salmo 116, mentre altre testimonianze della misericordia di Dio si trovano ad esempio nel sal 145 89 sal 103, 34 Dt 4,31.
Questa misericordia è già evidente nella promessa che egli fa agli uomini dopo il peccato di Adamo Gen 3,5. Nell’apparizione a Mosè lo stesso Dio dice di essere misericordioso Es 34,6.
Ancora nel salmo 103, (8-13) o in Isaia (49,15), la misericordia di Dio è tracciata con espressioni particolarmente commoventi.
Di questa misericordia e tenerezza di Dio, di questa sua compassione e affettuosa attenzione, gli uomini si rendono conto osservando il suo agire nella storia. Infatti, la misericordia di Dio ci raggiunge mediante una storia, un susseguirsi cioè di avvenimenti e persone che permettono all’uomo di fare esperienza di essa. D’altra parte come vedremo l’affermazione, che troviamo nella Bibbia, soprattutto nel NT, che Dio è amore (v. 1 Gv 4,7), è la conseguenza di un fatto accaduto, nel quale l’uomo si imbatte e del quale fa esperienza. Non si tratta, quindi, di una affermazione ideologica ma della constatazione personale di un fatto, nel quale Dio si rivela come amore (1 Gv 4,16).
Israele
Tutta la storia del popolo di Israele è un’incessante documentazione dell’amore di Dio, della sua volontà di perdono.
Questa coscienza è stata educata da Dio stesso in molte occasioni, soprattutto quando il popolo viene liberato dalla schiavitù in Egitto e condotto nella terra promessa. L’Esodo rappresenta il momento che permette alle persone di capire la paternità di Dio (vedi gli episodi della manna, delle quaglie, dell’acqua che scaturisce dalla roccia,....).
Ma perché Dio agisce così? La risposta è una sola: perché il suo cuore è quello di un padre. Il Deuteronomio (4,37) spiega il comportamento di Dio in questo modo: “Perché ha amato i tuoi padri” V. anche Dt 7,78. Nella storia Dio è un padre che educa i suoi figli, dà a questi figli una forma, cioè una identità (Is 49,16). Questa educazione spesso assume l’aspetto di una correzione (Pr 3,1112), (Os 11, 34), (Sir 18,12b13) (Dt 8,5) (Gb 5,17)
L’amore di Dio non viene meno quando i suoi figli lo dimenticano: egli continuamente denuncia le nostre infedeltà e ci punisce quando ci allontaniamo dalla sua Alleanza (Os 2,67.1315). Ma il suo amore è più grande di ogni peccato (Os 11, 89) (Os 2,1323).
E’ interessante notare che l’attenzione, la quotidiana premura e l’amore che Dio ha per il suo popolo appaiano evidente non solo nelle vicende che accadono, ma nelle persone che egli sceglie e manda: sono i profeti. Per mezzo di costoro Dio parla al popolo e lo educa, ricordando la fedeltà all’Alleanza e, quando tutto sembra perduto, promette il Messia.
Cristo
Dio ha fatto vedere il suo volto attraverso una storia; ma la vera rivelazione di sé all’uomo l’ha fatta diventando a sua volta uomo, entrando cioè come persona nel mondo. Questa persona è Gesù Cristo. Cristo è la manifestazione del Padre. E lo è in quanto Figlio. Questa somiglianza consente a Gesù di dire: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9). Tutto ciò che Cristo fa viene dal Padre che agisce nel Figlio e mediante il Figlio: “Io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare” (Gv 12,49).
Egli svela compiutamente il volto di Dio, cioè il suo amore: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo” (1 Gv 4,9). Cristo stesso dice: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14,9). V, Gv 12,45: “Chi vede me, vede colui che mi ha mandato”. Nella persona di Gesù appare chiaramente la misericordia del Padre. Ma di questo parleremo la prossima volta.
2° Incontro: Tra beneficenza e impegno civile
Di Dante Balbo
"Volontariato" è un termine abbastanza recente nella storia dell’impegno sociale dei cittadini e della loro capacità di aggregarsi in organizzazioni che di questo modo di accostarsi al prossimo hanno fatto il loro scopo di vita.
Per far riferimento all’Italia, culturalmente a noi vicina, dobbiamo risalire solo fino al 1975, anno in cui la Caritas Italiana ha indetto il primo convegno sul volontariato.
Questo non significa che prima non ci fossero i volontari o che non esistessero organizzazioni di aiuto al prossimo, ma con quel primo convegno si sancì un cambiamento di coscienza nelle agenzie di volontariato.
Lo Stato sociale e le povertà
Il secolo scorso è stato caratterizzato dalla nascita, sviluppo e crisi del cosiddetto welfare state, lo stato sociale, che si è trovato confrontato con l’emergere di una nuova povertà.
Attorno alle industrie e alle città, infatti, fasce sempre più ampie della popolazione non erano in grado di rispondere ai loro bisogni e lo Stato si è assunto di occuparsene.
Sono nati i servizi sociali, l’assistenza sanitaria, le strutture di protezione dell’infanzia, la scolarizzazione obbligatoria.
Ma ben presto ci si è accorti che le risorse a disposizione dello Stato non erano sufficienti a coprire i bisogni reali e che la stratificazione sociale era molto più complessa di quanto si pensasse.
Inoltre la risposta dello stato sociale non consentiva l’effettivo coinvolgimento delle persone, dei soggetti di assistenza nel loro autodeterminarsi.
L’assistenzialismo pubblico non permetteva agli assistiti di attingere realmente alle loro risorse, mentre la sua assenza lasciava gruppi interi di popolazione fuori dall’accesso ai diritti più elementari di sopravvivenza e di sviluppo.
La discussione sullo stato sociale è ancora aperta e trovare un equilibrio fra garanzia di un minimo vitale per i soggetti svantaggiati e possibilità di mobilitare le risorse interne a loro stessi è difficile da trovare.
E il volontariato ?
E’ in questo contesto di trasformazioni radicali dello Stato e del Mercato che si introduce il cosiddetto “terzo settore”, che non pretende di sostituirsi allo stato, cerca di funzionare come un’impresa, ma senza scopo di lucro.
Si chiama infatti terzo settore, quell’insieme di organizzazioni o iniziative che non dipendono esclusivamente dallo Stato, utilizzano i modi di funzionamento dell’impresa, con scopi sociali, senza pretendere di guadagnare denaro dal loro lavoro, reinvestendo gli utili eventuali per i loro obiettivi.
Le organizzazioni di volontari o che al loro interno, come Caritas Ticino, comprendono l’attività di volontari, fanno parte di quest’area, anche se non la definiscono totalmente.
Del terzo settore, infatti, fanno parte anche altre imprese, di professionisti, che offrono dei servizi, oppure lavoro, come ad esempio le cooperative sociali.
Il terzo settore non è una nicchia marginale del mercato, né una minoranza che toglie allo Stato delle competenze e prerogative specifiche, ma un ampio movimento che sempre di più si sviluppa e che coinvolge risorse umane e finanziarie sempre più rilevanti.
La differenza fondamentale con il mercato è che il terzo settore non funziona con la logica esclusiva del profitto, o meglio, considera profitto quello che il mercato definisce non profitto: si parla perciò di terzo settore o “non profit”.
L’ambito della protezione dell’ambiente o dell’assistenza a persone con bisogni specifici, il volontariato nei settori più diversi, l’associazionismo nel campo socio-psichiatrico, la lotta alla prostituzione, la tossicodipendenza, sono alcuni dei settori in cui si dispiega il variegato mondo del terzo settore.
Spesso i confini fra volontariato e professionismo sono labili, attraversano una medesima organizzazione, intrecciandosi variamente e rendendo difficile la classificazione delle differenti organizzazioni.
Dalla beneficenza all’impegno civile, dalla filantropia al sogno di una società solidale
La nascita del terzo settore è indice di un impegno diverso e di una presa di coscienza sempre maggiore da parte dei cittadini della necessità di impegnarsi in prima persona per contribuire alla costruzione della società civile. Sempre meno ci si può permettere di delegare allo Stato il futuro e il benessere sociale.
La sfiducia nelle istituzioni politiche e nei partiti come capaci di raccogliere la sfida della postmodernità ha messo in movimento le aggregazioni sociali spontanee, i movimenti trasversali, sempre meno legati ad una ideologia precisa o ad una appartenenza religiosa.
In tutto questo ribollire di fermenti sociali e ideali si inserisce l’evoluzione del volontariato, che come si è già scritto, è un modo relativamente giovane di chiamare la disponibilità delle persone al servizio gratuito del prossimo.
Le azioni benevole, sia in occasione di eventi straordinari, si pensi al terremoto di Messina del 1908, o per rispondere ad esigenze durature nel tempo, l’assistenza ai senza tetto nelle grandi città, fin dal 1800, hanno accompagnato la storia dell’era cristiana e si sono sviluppate in relazione alla grandezza dei bisogni, sempre crescente.
La differenza sostanziale con il volontariato contemporaneo è che a volte, senza intenzione, la risposta benefica era coincidente con un gesto filantropico, generalmente delle persone abbienti, che in tal modo tentavano di sanare il disagio sociale, senza denunciarne le cause, o peggio, sostituendosi alla mano pubblica in settori ove era carente o assente, favorendo di fatto la sua latitanza.
Progressivamente la riflessione all’interno delle organizzazioni di volontariato ha permesso di comprendere la differenza fra buona azione e promozione della dignità della persona.
La prima, appagante per chi la compie, non risolve il problema, né favorisce la possibilità che l’assistito si prenda carico di sé.
E’ l’equivalente dell’intervento assistenziale dello Stato, con meno mezzi, meno professionalità, maggiore approssimazione e, a lungo termine, sicuramente inefficace.
La promozione della dignità della persona coincide con l’impegno civile, con l’analisi dell’intervento per verificarne l’efficacia, con la coscienza che migliorare la condizione di chi assistiamo equivale a cambiare in meglio la società intera.
Sempre di più il volontariato diventa un modo di essere, un atteggiamento solidale indipendente dalle ore o dal denaro messo a disposizione di questa o quella organizzazione.
Sempre di più le organizzazioni di volontariato si fanno portavoce di coloro ai quali si dedicano, denunciando le assenze degli stati.
Un esempio per tutti sia l’impegno di denuncia delle organizzazioni che hanno lavorato nei Balcani, contro l’inerzia complice della comunità internazionale.
Questo passaggio dalla beneficenza borghese all’impegno consapevole per la maturazione di una società civile solidale, in cui alla fine il volontariato dovrebbe in qualche modo scomparire per lasciare il posto alla coscienza diffusa dell’appartenenza reciproca gli uni agli altri, naturalmente, è solo intravisto.
Tutti i media cercano di convincerci che sia sufficiente un buonismo rarefatto, una solidarietà a colpi di teleton o di commozione, e per molti l’appartenere ad un’organizzazione di volontari non è molto diverso dalla beneficenza che facevano le pie dame della Carità per Natale.
La fotografia del volontariato che abbiamo qui scattato è in realtà la descrizione di un movimento, di un processo, ancora lontano dall’essersi compiuto.
Certamente chi vuole impegnarsi o già è attivo come volontario sempre meno può isolare la propria attività dalla maturazione della coscienza politica e umana.