Pellegrinaggio ad Einsiedeln


Di Tiziana Zurini-Foletta

 

"Ma chi ve lo fa fare?" Con queste parole don Claudio Mottini, a nome di Sua Eccellenza Monsignor Giuseppe Torti, ha iniziato la sua riflessione durante la Santa Messa che ha segnato l’inizio del pellegrinaggio pedestre «Madonna del Sasso-Einsiedeln» svoltosi dal 4 all’11 agosto scorso (cfr. Caritas Insieme n. 3 di maggio-giugno). Una domanda che molti dei partecipanti si saranno posti quel sabato mattina 4 agosto quando l’insistente scrosciare della pioggia la faceva da padrone. Risposte a questa domanda ognuno le ha poi trovate cammin facendo: risposte personali ma anche comunitarie, come quelle che spiccano dalla testimonianza che vi presentiamo di seguito. Alla luce poi dei tragici avvenimenti che hanno funestato anche il nostro Paese in queste ultime settimane colpisce comunque l’obiettivo prioritario per il quale si è voluto organizzare questo pellegrinaggio nazionale: ringraziare e intercedere per la Svizzera e il suo popolo.

 

Partecipare al pellegrinaggio verso Einsiedeln è stato cercare, e trovare, una separazione dalle proprie abitudini, dal mio torpido “io” quotidiano per, con un po’ di buona volontà,  approdare ad un “noi”, che mi lasciasse più forte e serena al momento di tornare.

La mia decisione di far parte del pellegrinaggio l’avevo presa in fondo già molto tempo fa. Era un’adesione di principio ad un “andare” che portasse le valenze precise del simbolo; il nostro andare su questa terra, nel tempo e nello spazio di una cosmologia concentrata secondo un sentire un po’ medievale (il mondo come libro…). Un andare che significasse le lotte, le sfide, l’erranza: quel tanto di epico che c’è nella vita quotidiana di ognuno di noi, e che anche il meno dotato di entusiasmo sente e proietta talvolta su altri scenari. Mi vedevo con zaino e sacco a pelo marciare verso Compostella, con qualche amica motivata. Molto romantico, ma data la mia totale inesperienza e la prudenza, o paura, che si accentua con gli anni, temo che da sola avrei concluso poco.

Il passaggio all’azione, per fortuna, si è avuto lo stesso, grazie agli organizzatori di questo pellegrinaggio, e ad un intervento del “caso”.

 

 

Preparata ma un po' diffidente

 

Il gruppo con il quale avrei dovuto compiere il mio piccolo trekking annuale in montagna era già al completo e sulla porta della chiesa mi era caduto l’occhio su questa diversa possibilità. Madonna pellegrina: Locarno-Einsielden a piedi. Un impegno spirituale, oltre che fisico. Ero preparata, ma moralmente un po’ diffidente, temevo di dover restare una settimana fra fanatici bigotti ritualisti e superstiziosi... La mia ignoranza mi rendeva prevenuta, lo ammetto. Già dai primi incontri alla Madonna del Sasso però, mi apparve evidente che avrei avuto accanto persone e non caricature. Persone non solo dal carattere molto diverso, come è normale in ogni gruppo, ma anche con una fede che si esprimeva con modi e maturità diverse: persone consacrate, famiglie, giovani, alcuni anziani e persino conoscenti. Come adattare il mio spirito un po’ ribelle e solitario ai parametri necessari per vivere profondamente la vicinanza preziosa di altre anime nella loro concreta complessità? Come restare in contatto “sulla strada” con e attraverso Dio con tutte quelle piccole incrinature interiori che mi vedevo apparire? Mi sentivo una brocca di coccio in mezzo a porcellane cinesi.

L’ esercizio non era solo muscolare e ho dovuto compiere subito qualche sforzo per liberare la mia piccola realtà spirituale da tutte le sue sovrastrutture fantastiche che mi facevano sentire un po’ sulle spine. Confesso di essere stata talvolta preda dei miei sentimentalismi da oratorio o da pregiudizi difensivi. Ma sarei soffocata prima di Biasca se continuavo a prestare importanza a confronti positivi o negativi che fossero!

Per fortuna dopo un po’ si è rivelato l’aspetto umano di ciascuno, che ha relativizzato ogni cosa. Constatato che ero in buona e coraggiosa compagnia di normali esseri umani, la diffidenza si è sciolta e anche la preghiera in comune ha preso a fluire più liberamente. Non ero abituata a recitare il Rosario, e questo è stato proprio il dono che ho ricevuto durante questo pellegrinaggio: l’aver potuto provare e vivere personalmente questo modo di pregare in mezzo agli altri, fuori dagli schemi dei miei preconcetti.

 

 

Il Rosario di mia madre

 

La presenza di persone di ogni età, sesso e condizione, l’ambiente e il moto ne hanno fatto qualcosa di vivido, in un tempo reale e con loro ho esperimentato che un Rosario non è poi così lungo! Mia madre recita il Rosario ogni sera da anni, ma da come ce lo raccontava, mi sembrava una religione da telenovela, roba per anime poco complicate. Insomma, l’avevo sempre accolto con quella tipica condiscendenza che nei rapporti genitori-figli nasconde il sacro terrore di finire ancora nell’orbita della loro influenza.

O dell’influenza, insomma, di una Madonna troppo invadente, eterea e zuccherosa. Invece il Rosario, con le preghiere a mezzogiorno e sera si è rivelato per me come un momento direi quasi creativo, in cui il corpo e l’anima si ordinavano secondo questa “marcia” interiore. Si è formata così con spontaneità una piccola comunità che ha condiviso materialmente e spiritualmente la luce e l’ ombra di ogni giorno. Compagni casuali ma non troppo, pensando che è il Signore che me li ha messo vicino. Compagni che nelle loro umanità hanno toccato o arricchito la mia. E non penso solo alla totale disponibilità e pazienza associata al fiducioso e umile abbandono della nostra coppia più esemplare (penso a Marco, pellegrino non vedente, e alla sua guida) ma a tutti. Passo dopo passo abbiamo ritmato con fatica e mal di piedi la marcia verso Einsiedeln, che per me, anche se si avvicinava tutti i giorni, non era poi cosi importante. Tali e tante ricchezze avevo trovato lungo la strada (bellezze naturali, gioielli artistici e ogni genere di stimoli a livello umano) che già mi sarebbe bastato. E invece, c’è stato ancora il punto fermo dell’Abbazia, la riunione con gli altri gruppi, l’adorazione notturna che mai avrei creduto di aver voglia di fare... e un’esplosione di gioia interiore che mi sono portata a casa. Questo è stato per me il tempo del pellegrinaggio: una sorprendente esperienza a volte difficile e penosa che si scioglieva spesso in momenti dolci come un abbraccio materno. Cosa è una crescita se non un accettare di farsi sommergere, oscurare da un qualche cosa che non si conosce, che non è ancora “sé” e che forse non lo diventerà mai, ...ma che se va bene ci restituirà nuovi a noi stessi?