Formazione professionale per un futuro possibile
A cura di Luigi Brembilla
Torniamo a parlare della collaborazione che Caritas Ticino ha iniziato con la Caritas Diocesana Bergamasca, all’inizio del mese di ottobre, per un progetto in Kosovo.
Si tratta, come già anticipato sulla precedente rivista, della fase finale della costruzione e accompagnamento alle attività formative del Centro Polifunzionale di Novoselle, attività prevista nel più ampio Progetto dell’Associazione Bergamo per il Kosovo dove Caritas Bergamo è una delle maggiori componenti.
L’obiettivo prioritario del progetto, partito con la gestione di due campi profughi in Albania, è stata e continua ad essere la collaborazione alla ricostruzione civile e sociale nella comunità della valle di Radavac attraverso le relazioni in tutti i campi dello sviluppo umano:
- Sviluppo delle relazioni tra comunità quale elemento facilitatore della ripresa della convivenza e riconciliazione.
- Sviluppo dell’economia, aiutando la ripresa produttiva e la cooperazione
- Sviluppo dell’organizzazione associativa in campo sociale, sportivo, culturale, ricreativo
- Attenzione alle fasce deboli della società e alla collaborazione con le istituzioni locali nei settori infanzia, anziani e handicap
Le realizzazioni attuate del progetto:
- Riabilitazione di 420 case
- Ristrutturazione e arredo della scuola primaria di Gllogjan
- Costruzione di una scuola elementare a Jablanica Vogel
- Costruzione di una scuola materna a Peje
- Avvio di 20 sostegni familiari a distanza
- Costruzione di un centro polifunzionale di Novocelle (centro sociale e centro professionale)
Scolarità e formazione
La formazione scolastica e tecnica è storicamente presente, non particolarmente dissimile, per durata non certo per qualità, da quella svizzera: otto anni di scuola dell’obbligo e tre o quattro anni di scuola superiore (licei e istituti tecnici). L’analfabetismo è assente o limitato a pochissimi anziani.
Prima del 1990 i tassi di proseguimento per le scuole superiori erano nell’ordine dell’80% e la metà dei diplomati proseguiva per l’università (essenzialmente a Pristina) con un discreto panorama di facoltà.
Per le donne i tassi di proseguimento sono decisamente inferiori: è stimato al 30% circa (sempre fino al 1990). Dal 1989/90 di fatto la popolazione kossovara, a fronte dell’imposizione della lingua serba come unica lingua nella didattica, veniva espulsa dal sistema formativo ufficiale e non frequentava più le scuole dell’obbligo e superiori. Nasceva così una formazione scolastica “parallela”, auto-organizzata almeno per la parte dell’obbligo, ma con ridottissime risorse economiche ed umane e quindi con ridotta efficacia; in molti casi la scuola era nelle case private.
Le donne da sempre sono impegnate in gran parte alle attività casalinghe e a quelle della trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli.
Da questa situazione emergono dunque almeno due grandi esigenze: i giovani con i problemi della disoccupazione, di orientamento formativo e occupazionale; gli adulti, soprattutto nell’immediato, col miglioramento delle attività produttive del ciclo agro-alimentare.
Nuovi progetti
Il lavoro di orientamento svolto in questo periodo con i giovani disoccupati ha portato alla progettazione di tre attività produttive da destinare a laboratori formativi in campo agricolo e zootecnico:
- allevamento mucche da latte
- allevamento polli da carne (un pollaio per 2000 polli)
- produzione orticola in tunnel (500 mq. coperti per la produzione di pomodori, cetrioli e peperoni)
Vi è un quarto progetto riguardante le persone portatrici di handicap. Il progetto riguarda l’attivazione di percorsi di socializzazione, formazione e occupazione, da realizzarsi presso il Centro Polifunzionale, per dare dignità sociale a persone che attualmente sono recluse in casa. Il problema delle minorazioni o disabilità resta ancora prevalentemente un problema etico, culturale e sociale. La mappatura dei bisogni è tuttora incompleta perché resta difficile far emergere situazioni di segregazione.
La Caritas Kosovara ha proclamato il 2002 anno dell’Handicappato e su questo tema solleciterà tutte le parrocchie cattoliche del Kosovo per una promozione sociale delle persone disabili. Le Caritas Diocesane coadiuvate da Caritas Italiana stanno già studiando percorsi formativi per volontari per l’animazione parrocchiale su questo problema.
Tutti questi progetti sono ora in cerca di finanziamenti per la loro realizzazione.
CONSIDERAZIONI SULLA SITUAZIONE GENERALE
La dipendenza
La dipendenza quasi totale dal sistema di pianificazione centrale comunista prima dell’occupazione militare Serba degli ultimi anni, con relativa occupazione di tutti i centri decisionali e amministrativi, non ha permesso alla popolazione Kosovaro-Albanese (90% della popolazione) di avere conoscenze, capacità, mezzi e strumenti organizzativi tali da consentire l’assunzione di compiti cosi gravosi come la gestione della ricostruzione e amministrazione di un paese appena uscito dalla guerra. Se le difficoltà economiche sono sempre state presenti in questo paese, se la guerra ha procurato morti, sofferenze, emigrazione forzata e perdita di beni, la ripresa economica basata sulle sole forze del Kosovo non sarà certo facile e indolore. Ripresa questa sicuramente impossibile nel breve periodo, ma sicuramente “salutare” per il prossimo futuro. La gente Kosovara dovrà fare i conti con le proprie forze, con la propria volontà di riscatto, con la grande voglia di indipendenza e internazionalità rivendicata.
L’autonomia
Nella primavera 2000, per la prima volta dopo la guerra, si sono tenute le elezioni amministrative per l’elezione dei consigli comunali.
Nel primo periodo, subito dopo la guerra, le municipalità erano rette da ex appartenenti all’esercito di liberazione “nazionale” UCK, seguiti da funzionari internazionali.
Ora dopo le elezioni delle municipalità, i nuovi amministratori sono affiancati ancora dagli stessi funzionari internazionali per un accompagnamento e formazione della nuova classe dirigente.
Il 17 novembre 2001 ci sono state le elezioni politiche per il nuovo “Parlamento” del Kosovo.
Parlamento che assumerà l’amministrazione della “REGIONE” Kosovo, ufficialmente ancora facente parte della Federazione Jugoslava .Federazione che nessun Kosovaro vuole riconoscere.
Tutti i maggiori partiti, chi più chi meno, chiedono l’indipendenza del Kosovo con la costituzione di uno stato indipendente. Il problema dell’indipendenza pone ancora troppi elementi di instabilità per tutta l’area balcanica, quindi questo governo sarà un governo “REGIONALE” di un “protettorato” internazionale. Il nuovo governo si troverà da subito confrontato con compiti molto gravosi per la mancanza di normative su molti fronti della vita di un paese: istituzionale, economico, sociale, di pianificazione del territorio ecc.
Il rientro dei profughi
Argomento questo all’attenzione della comunità internazionale ma che non trova facili soluzioni. L’esercito e l’amministrazione internazionale, KFOR e UNMIC, stanno chiedendo collaborazioni alle associazioni umanitarie più significative ancora presenti in Kosovo, per lo studio di progetti per la riconciliazione etnica e la costruzione di percorsi di rientro dei Profughi Kosovari Serbi, circa 200.000, attualmente confinati in Serbia. I progetti fino ad ora realizzati dai militari si configurano come “enclavi” con protezione armata, condizione questa assolutamente non condivisibile per una possibile convivenza futura.
Resta questo un problema aperto e sul quale non è possibile non riflettere. Anche Bergamo per il Kosovo con Caritas Bergamo sono stati sollecitati per incontri di contestualizzazione del problema. Per ora non ci sono previsioni di sorta ma credo che presto ci saranno incontri tra associazioni umanitarie che attualmente stanno sostenendo i profughi Kosovari Serbi in Serbia e le associazioni che hanno e tuttora sostengono i Kosovari Albanesi in Kosovo.
Il contesto
Novoselle, al centro di quattro villaggi nella valle di Radac (Novocelle, Radac, Jabllanica Madhe, Jabllanica Vogel) si trova a dieci chilometri da Peje, seconda città del Kosovo, che nella sua area amministrativa conta 120.000 residenti, contro i 182.000 del pre-conflitto. Le relazioni a tutti i livelli con la città sono forti, in particolare quelle di tipo scolastico, commerciale e istituzionale.