Dalla
storia uno sguardo al futuro
4a parte: Tra ricerca
della propria identità e nuovi compiti (1976-’92)
Di Alberto Gandolla
II Sinodo 72, concluso
nel 1975, pur non producendo in genere risultati entusiasmanti, stimola Caritas
Ticino nel suo lavoro di riflessione sulla propria identità e specificità.
Da parte sua il vescovo mons. Martinoli decreta nel 1976 la costituzione di
una Commissione diocesana per le attività sociali, con lo scopo di analizzare
e promuovere le questioni sociali. I responsabili di Caritas Ticino si trovano
impegnati in prima persona in questo nuovo gruppo di lavoro, che partecipa pure
ad attività governative. All’interno dell’ente caritativo
diocesano per rispondere ai nuovi bisogni si registra intanto un aumento del
personale (tra gli altri Mimi Lepori-Bonetti dal 1976 e Roby Noris dal 1980),
e si sente l’esigenza di costituire sempre di più un lavoro d’équipe,
o meglio comunitario.
Negli anni Ottanta si verificano degli importanti avvicendamenti alla testa
di Caritas Ticino e della diocesi tutta. Nel giugno 1980 mons. Cortella, dopo
ben 31 anni, lascia la direzione dell’ente; il vescovo Ernesto Togni (successore
di Martinoli dal 1977) nomina nuovo direttore don Emilio Conrad, conosciuto
per il suo impegno pastorale nelle nostre parrocchie e poi in America latina.
Altri importanti cambiamenti negli anni seguenti: don Eugenio Corecco diventa
vescovo nella primavera 1986 e nel luglio 1987 don Giuseppe Torti subentra a
don Conrad come direttore di Caritas Ticino. Alla fine del 1991 Roby Noris sostituisce
a sua volta don Torti; come all’inizio si ritorna a un direttore laico.
Sempre in questo periodo si accentuano anche le antiche ma sempre attuali esigenze
di affrontare la questione finanziaria e quella di una migliore pubblicità
dell’attività svolta. Ci si rende conto che il sostegno e l’appoggio
che l’ente può contare presso i ticinesi dipende in grande parte
dall’immagine che il pubblico ha di Caritas Ticino; dunque la promozione
dell’immagine di quest’ultima diventa sempre più importante.
Viene così deciso, sostituendo l’annuale azione di novembre sui
giornali, di pubblicare con regolarità un Bollettino di informazione,
il cui numero zero esce nel novembre 1981. Sempre più spesso Caritas
Ticino pubblicherà dei documenti, dei “quaderni”, e –
sotto l’impulso di Roby Noris – elaborerà dei video e del
materiale audiovisivo. Inizia anche una rimessa in discussione del modello di
Caritas Ticino come servizio sociale polivalente sempre più dotato di
strumenti professionali d’intervento, basato soprattutto sulla casistica
individualizzata; questa riflessione porterà a un importante cambiamento
metodologico (lo esemplificheremo in seguito). Ancora nel 1981 don Conrad ottiene
dal vescovo la costituzione di un Consiglio Direttivo che potesse allargare
la responsabilità della conduzione di un ente sempre più importante
(ma senza garanzie di entrate regolari). La ricerca di una soddisfacente definizione
giuridica ha accompagnato l’ente caritativo sin dagli inizi, ma non si
dimostra ancora conclusa: l’Amministrazione cantonale delle contribuzioni,
per concedere l’esenzione fiscale a Caritas Ticino, esige la sua costituzione
in Fondazione civile. Nel 1987 la situazione si sblocca: il vescovo mons. Corecco
costituisce un Ufficio della Caritas Ticino diocesana e poi un nuovo statuto.
Caritas Ticino diventa così un’Associazione civile, retta da un
ristretto numero di soci attivi, l’assemblea generale, composta dal vescovo,
dai membri dell’Ufficio diocesano di Caritas Ticino e dal vicario generale.
Nuovi scenari economici, sociali e demografici
A partire dalla fine degli
anni Settanta entrano in crisi le varie politiche sociali, inizia poi un periodo
di importante ripensamento del Welfare State e si diffondono le idee del “meno
Stato”. In Ticino il Dipartimento delle Opere Sociali (DOS), nato e sviluppatosi
negli anni del boom economico, deve affrontare un’emergenza finanziaria,
e così come il suo crescere è stato spesso mancante di organicità,
anche le rinunce e i tagli risultano spesso privi di uno sguardo d’insieme.
Alcune decisioni governamentali, per esempio, contribuiscono a creare grossi
problemi ad alcuni istituti di congregazioni religiose (che fino agli anni Sessanta
avevano sopportato una grande parte dei bisogni sociali cantonali). Queste riflessioni
critiche portano i responsabili di Caritas Ticino a elaborare all’inizio
del 1982 il testo “Chiesa ticinese e politica sociale”, in cui si
invita i politici e le autorità a concepire una politica sociale in funzione
dei bisogni delle persone, e richiama tutti a una solidarietà con chi
è solo, emarginato, andicappato. Lo sviluppo economico del Ticino negli
anni Ottanta entra poi in una nuova fase, e accanto a una congenita debolezza
in alcuni settori appaiono potenzialità positive di altri. Si parla di
un Ticino “regione aperta”, “periferico ed emergente”.
In ogni caso dalla profonda trasformazione della società occidentale
di questi anni e dalla crisi dello Stato sociale emergono nuove forme di povertà
(che la crisi del lavoro degli anni Novanta accentuerà). Nel 1986 un
interessante studio sulla povertà nel Ticino, a cura del DOS, contribuisce
a fornire un quadro complessivo della questione: i “nuovi poveri”
non sono rintracciabili solo ai margini della società, bensì anche
al suo interno; la “povertà relativa” è la situazione
di privazione della capacità progettuale della persona. Lo studio calcola
in circa il 15% dei contribuenti (quasi 40mila individui!) il numero delle persone
che vive al di sotto della soglia della povertà. Si capisce allora come
sia importante saper cogliere lo stimolo e la sfida che la nuova povertà
pone: è necessario un ripensamento, un dibattito culturale sul modo di
intervento dello Stato e delle associazioni “private”, che storicamente
hanno sempre avuto un ruolo determinante nell’aiuto ai poveri. Si comincia
a parlare di “privato sociale”.
Altra fondamentale questione di questi anni è quella delle nuove migrazioni
internazionali, legata al problema Nord-Sud e all’instabilità politica
del Terzo Mondo; la conseguenza è l’afflusso di rifugiati in Europa.
Il numero dei richiedenti l’asilo durante gli anni Ottanta aumenta fortemente,
in Svizzera e in Ticino. Già nel 1976 Caritas Ticino aveva aperto un
Ufficio rifugiati a Lugano, a quel tempo soprattutto cileni e provenienti dall’Europa
dell’est, e per una quindicina di anni la “questione rifugiati”
sarà uno dei principali settori d’intervento.
Alla fine del periodo considerato in questo articolo, cioè agli inizi
degli anni Novanta, viene poi alla luce una grande e fondamentale trasformazione;
la globalizzazione, o mondializzazione, dell’economia. Da allora questo
diventa un tema centrale della riflessione politica-sociale-economica. Per il
Ticino questo momento coincide con una fase di dura ristrutturazione, di crisi
del lavoro; torna una forte disoccupazione. Questi fatti non possono non avere
delle ripercussioni anche sull’attività di Caritas Ticino e sul
suo modo di operare.
Nuovi compiti, nuove attività
Alla fine del 1979 il mondo
occidentale è colpito dalle immagini drammatiche, trasmesse dai media,
dell’esodo dei Boat-poeple, cioè dalle migliaia di vietnamiti che
cercano di scappare dal loro regime comunista. Nel mese di novembre un primo
contingente di una cinquantina di vietnamiti arrivano a Lugano. Inizia così,
da parte di Caritas Ticino, un’azione nuova, compiuta in condizioni particolari
(l’opinione pubblica guarda con favore e solidarietà questi profughi!)
e che richiede nuove soluzioni. Il modello elaborato è quello della comunità
che accoglie. Si tratta di combinare un intervento che prevede strutture professionali
e decine di persone (volontari) che formano dei “gruppi di accoglienza”.
Dopo alcuni mesi trascorsi al centro La Montarina a Lugano, concepito subito
in funzione di un’integrazione, i profughi vietnamiti sono accolti in
alcuni comuni ticinesi dai Gruppi di accoglienza, debitamente “formati”
dai responsabili di Caritas Ticino. Circa ben duecento volontari aiutano nel
quotidiano i profughi. Nascono molte attività concrete: corsi di lingua,
aiuto nell’inserimento scolastico, pubblicazione di un vocabolario italiano-vietnamita,
organizzazione di feste, ecc. All’inizio del 1983 viene aperto un Centro
culturale-ricreativo a Sorengo (durerà fino all’’86). In
definitiva l’”azione indocinesi” ha avuto un’importante
valenza metodologica, e ha sperimentato una complementarietà tra intervento
tecnico-professionale e la capacità di accoglienza della comunità
dall’altra. Nel frattempo il numero dei richiedenti l’asilo aumenta,
e spesso l’opinione pubblica non ha più una visione positiva sui
nuovi arrivati (africani, Tamil, ecc.) e sui loro problemi. Cantone e Croce
Rossa si occupano soprattutto della prima fase di accoglienza, mentre Caritas
Ticino svolge il lavoro di assistenza individuale ai richiedenti del Sottoceneri;
nell’86 il suo Servizio sociale per queste persone è riconosciuto
dal Cantone. L’anno seguente Caritas Ticino sviluppa un servizio di rappresentanza
alle audizioni per gli “asilanti” e inizia anche un lavoro di presenza
presso il Centro di registrazione di Chiasso. Nell’autunno del 1989 Caritas
Ticino apre a Pollegio, presso il vecchio collegio Santa Maria, un centro di
accoglimento, che può ospitare sessanta richiedenti l’asilo durante
i primi tre mesi di soggiorno in Ticino. Caritas Ticino assume anche la rappresentanza
in Ticino dell’Ufficio svizzero per l’aiuto ai rifugiati (USAR).
Insomma in questi anni l’ente caritativo diocesano prende una grande responsabilità
nella difficile accoglienza dei rifugiati, tema che divide (e preoccupa) nettamente
il popolo svizzero. Si sperimenta un interessante modello di rapporto fra pubblico
e privato e vi è una stretta collaborazione con lo Stato secondo il principio
della sussidiarietà. Questo non impedisce naturalmente a Caritas Ticino
di essere un partner critico, e a varie riprese infatti la politica d’asilo
sempre più restrittiva della Confederazione è nettamente criticata.
Fra la restante attività di Caritas Ticino, da segnalare l’apertura
di mercatini a Bellinzona (1988), Mendrisio (1989-91), Chiasso (1992) e la Boutique
Fairness a Lugano (1992); l’apertura nel 1989 dell’ambulatorio Caritas
Ticino a Lugano, in continuità con il servizio prestato dalle Suore Misericordine
per 80 anni, la costituzione di una serie di corsi per volontari su una serie
di importanti tematiche (“impegno sociale e comunità che accoglie”,
“accompagnamento agli ammalati e ai morenti”, “solitudine,
malattia e sofferenza”), ecc. La scelta propositiva di Caritas Ticino
di incontrare fasce di persone che rischiano maggiormente l’emarginazione
porta poi all’apertura nel 1988 dell’esperienza del Programma Occupazionale
per disoccupati di lunga durata “Mercatino” a Lugano. Questa direzione
si rafforzerà negli anni Novanta, con l’aumentare della disoccupazione
e il corrispondente sforzo di Caritas Ticino di sostenere il diritto delle persone
in difficoltà di essere sostenute nel tentativo di reinserimento nel
mercato del lavoro. Un accenno infine a un altro tipo di attività. Già
nel 1980 vi era stata l’apertura di un “servizio lavoratori della
Jugoslavia”, che interveniva nell’aiuto di tipo sindacale e amministrativo.
L’interesse per questa nazione aumenta quando purtroppo la situazione
politica di questa regione esplode e inizia una durissima guerra civile. A partire
dal 1990 Caritas Ticino collabora con Caritas Zagabria con una serie di azioni
concrete (colonia per bambini, invio di camion con materiale di soccorso, ecc.).
Il sostegno più importante sarà l’”azione Vrapce;
una casa per un bambino” del 1993 (ne parleremo nel prossimo articolo).
Il Cinquantesimo di Caritas Ticino
Negli anni Ottanta Caritas Ticino si è trovata in una situazione di grande cambiamento della propria attività e immagine. La riflessione su questa esperienza ha portato ad alcune importanti scelte. Si è compreso un criterio che è diventato fondamentale per ripensare tutti i servizi di Caritas Ticino: non si devono sviluppare servizi che siano il doppione di altre strutture pubbliche o private, ma solo forme d’intervento che rispondano a un criterio di “specificità” della Chiesa. Anche una presenza di supplenza in situazioni di bisogno non coperte da nessuno è importante, ma va considerata transitoria se non risponde a questo criterio. Così i responsabili di Caritas Ticino prendono la coraggiosa decisione di modificare o chiudere un servizio quando questo ha compiuto la sua missione, vedi la chiusura del servizio di aiuto e assistenza per i richiedenti l’asilo nel 1991-92, rilevato dalla Croce Rossa e dal Soccorso Operaio Svizzero. La scelta verso i più diseredati e la protezione della vita determina sempre di più l’attività di Caritas Ticino, che passa pure da un modello d’intervento individualizzato a uno di ”accoglienza in rete”. Il 1992 è l’anno del cinquantesimo, culminato nel congresso “Diocesi di Lugano e carità: sguardo al futuro” tenuto in novembre, nella produzione di un video e nella pubblicazione di un libro di raccolta degli atti e di altre analisi storiche. Questi momenti favoriscono l’elaborazione delle riflessioni e delle esperienze citate in precedenza. Il vescovo mons. Corecco appoggia Caritas Ticino nella sua nuova direzione, incoraggiandola a essere sempre di più un’espressione eloquente della missione pastorale della Chiesa. Caritas Ticino, pur cinquantenaria, entra in una nuova fase di vita.