Santa
Rita da Cascia
Di Patrizia Solari
Quando ero
bambina, sul comodino in camera di mia nonna vedevo due immaginette incorniciate,
una di padre Leopoldo Mandic, l’altra di Santa Rita da Cascia: una suora
che prega con un raggio di luce che parte da un crocifisso e le ferisce la fronte.
Altre notizie su di lei erano legate a morte cruenta del marito e dei figli.
Da allora la mia conoscenza di Santa Rita non era andata oltre queste poche
informazioni, con sapore vago di leggenda.
Poi, qualche anno fa, ho ricevuto quell’immaginetta da amici devoti di Santa Rita e residenti a Milano vicino al Santuario a lei dedicato, e ho imparato a pregare questa Santa. Finché, recentemente (cercando altro!) ho trovato un testo molto interessante1), scritto da un agostiniano, che ordina le notizie intorno alla Santa sulla base di documentazione storica e con un continuo rimando al pensiero di sant’Agostino. Così ho potuto dare maggior spessore alla figura di questa donna, approfondendone gli aspetti conosciuti della vita, svoltasi tra la fine del 1300 e la metà del 1400, e come sempre, ma ogni volta con stupore, l’incontro si è fatto concreto, da persona a persona.
Le fonti
Nella prefazione, l’autore
ci avverte che il testo non presenta una vita di Santa Rita, ma che il suo intento
è stato quello di “stabilire i dati storici riguardanti la sua
vita per trarre da essi il messaggio che Dio vuol trasmettere oggi a tanti devoti
della Santa. (più avanti sottolinea che il culto di Santa Rita è
diffuso in tutto il mondo, in modo sorprendente)” e ci dice che lo scopo
del suo lavoro è “che una devozione tanto popolare e universale
sia ancorata sempre più saldamente al mistero di Cristo e della Chiesa
e porti frutti copiosi non solo di sollievo della sofferenza, ma anche e soprattutto
di profondo rinnovamento cristiano.”
Guardare un Santo e la sua vita vuol dire essere rimandati all’Oltre della
sua persona, che è segno di qualcosa di più grande, dentro cui
è accolta anche la nostra persona. Dunque i Santi sono lì per
indicarci questa verità di noi stessi, ciò a cui siamo destinati.
D’altra parte non bisogna perdere di vista “quello che nella devozione
dei santi è più importante: l’imitazione che, a dire di
S. Agostino, costituisce l’essenza stessa della devozione. ‘Tutta
la religione consiste nell’imitare colui che onori’, egli scrive
nella Città di Dio (8, 17.2).”
Dopo queste precisazioni
prendiamo allora in considerazione le fonti tramite le quali abbiamo notizie
attendibili di Santa Rita.
“(...) la prima leggenda da sfatare è che la vita di S. Rita sia
tutta una leggenda o che sia affidata, tutt’al più, a una tradizione
orale, tardivamente raccolta, di cui nessuno può saggiare la consistenza
storica.” Prima sorpresa rispetto alle mie conoscenze...
E anche se “la nostra Santa non ha avuto molta fortuna con gli storiografi.
(...) non ebbe (...) un processo canonico in tempo utile per ascoltare testi
de visu o quelli che avevano sentito da questi il racconto delle sue vicende
e virtù (ma almeno uno lo potremo citare n.d.r.). (...) Abbiamo perduto
documenti preziosi”, tuttavia la documentazione alla quale possiamo attingere
consiste nei seguenti documenti: 1. la cassa solenne: iscrizione e pitture;
2. la breve biografia notarile; 3. le biografie pittoriche; 4. le testimonianze
processuali.
La tradizione
Oltre a questi documenti,
abbiamo anche la breve biografia che, sulla base di una più antica andata
persa, fu scritta e inviata a Roma, probabilmente dalle consorelle di Santa
Rita, in occasione della sua beatificazione, avvenuta nel 1628.
Rita nasce a Roccaporena di Cascia, in Umbria, intorno al 1381 da Antonio e
Amata Lotti e dopo una fanciullezza “trascorsa con singolare innocenza
e purità” sente un grandissimo desiderio di “congiungersi
strettamente con Dio (...) per godere anche nella presente vita le delizie celesti”.
Ma non ottenne il permesso dai genitori e fu costretta a sposarsi con un uomo
“di costumi molto aspri, perché non le mancasse in casa un continuo
esercizio di religiosa tolleranza (...) e per 18 anni visse con lui in buona
e da tutti ammirata concordia.” Ma il marito, siccome “non seppe
ritrarre dalla mansuetudine e dalla pazienza di Rita tanto profitto (...) da
deporre l’insolenza e l’orgoglio (...) finì miserabilmente
con morte violenta i suoi giorni.”
Rita “chiedeva a Dio benedetto il perdono per gli uccisori di suo marito”
e cercava di raddolcire i figli perché non si vendicassero. Ma vedendo
che i suoi tentativi erano inutili, supplicò Dio di toglierle i figli,
piuttosto che lasciarli cadere in quella tentazione. E così avvenne:
i figli morirono in giovane età.
Allora Rita chiese di entrare nel monastero di S. Maria Maddalena, retto dalla
regola di S. Agostino. 2)
Ma la sua domanda fu rifiutata. Dopo incessanti preghiere, avvenne che S. Giovanni
Battista, S. Agostino e S. Nicola da Tolentino “presa unitamente la devotissima
vedova, la riposero con modo a lei incomprensibile dentro il monastero in cui
ella bramava di vivere”.
Dopo l’ascolto di una predicazione del Venerdì Santo, Rita nella
sua cella supplicò il Crocifisso “che le comunicasse almeno una
particella delle sue pene. (...) con miracolo singolare una spina della corona
di Cristo le ferì di tal sorta la fronte, che fino alla morte vi rimase
impressa insanabilmente la piaga, come ancora si vede nel suo santo cadavere.”
Prima di morire “giacque inferma quattro anni” e si racconta che
in un rigido inverno, a una parente di Roccaporena che la visitava, Rita avesse
chiesto una rosa e due fichi. La donna, tornata a casa, trovò nell’orto,
sui rami carichi di neve una bellissima rosa e sulla pianta due fichi maturi
e glieli portò.
In punto di morte “le apparve il nostro Redentore con la sua santissima
Madre, invitandola al paradiso. (...) tutta fissa nella contemplazione delle
cose celesti, piacevolmente si riposò nel Signore e subitamente le campane
della chiesa da per se stesse suonarono. Morì la beata in giorno di sabato
il 22 maggio dell’anno 1447 dell’età sua intorno ai 70 anni.”
I documenti
Torniamo ora brevemente a tre dei documenti citati: la cassa solenne, la breve biografia notarile e una testimonianza processuale (per i dettagli, rimando al testo dal quale sono tratte queste notizie).
A. “(la cassa solenne)
è quella in cui fu posto il corpo della Santa nel 1457 (il cui valore
storico) emerge dall’iscrizione poetica postavi in quell’anno e
dalle pitture raffiguranti la Santa. Poeta e pittore concordano nel darci di
lei alcuni particolari altamente significativi” che riguardano la spina
che S. Rita ricevette da Cristo e le linee essenziali della sua spiritualità.
L’iscrizione poetica (15 versi in terzine - vedere l’adattamento
del testo integrale in dialetto casciano, nel riquadro): “Una delle spine
di Cristo recepisti; quindici anni la spina patisti. (...) La testimonianza
dell’iscrizione sulla cassa è ampiamente confermata dalle pitture,
nella cassa e fuori, che presentano costantemente la Santa con la spina in mano
e la ferita in fronte. (...) la figura spirituale della Santa emerge da quei
versi (...). Infatti non si concede nulla alla fantasia se si dice che il poeta,
e le monache e i fedeli con lui - tutte persone che l’avevano conosciuta
- videro S.Rita come la donna forte: 1. che conobbe il soffrire e il soffrire
più lacerante: pene... avesti acute; 2. che ebbe come unico tesoro Cristo,
a cui si diede totalmente, e non in vista dei beni terreni, o in vista della
mercede, ma per puro amore: non che ella credesse aver altro tesoro se non colui
che tutta a lui si diede; 3. che considerò la sofferenza non come un
castigo, ma come un dono: ...passion tanto feroce... che a te sopra ogni donna
fu donata; 4. che dopo tanto soffrire non le parve di essere ancora sufficientemente
monda per entrare nella vita eterna: non te parve ancor esser ben monda... per
andare alla vita più gioconda; 5. che dalla sua croce fu luce e conforto
per gli altri: quando alluminasti in nella croce.”
Le pitture: “I due ritratti, quello del pennello e quello della penna,
convergono (...). Il pittore infatti ci dà la figura di una donna forte,
intelligente, soave, sorridente ed arguta insieme, piagata in fronte e con una
spina in mano; rivolta a Cristo risorgente e coronato di spine, tutta intenta
a dare a lui, e a lui solo, la prova dell’amore totale. (...) (La Santa)
dunque non fu una vecchia cadente sotto il peso dei suoi dolori e delle sue
sventure, bensì eretta, luminosa, consapevole della forza divina dell’amore,
tutta presente a sentirlo e a donarlo.”
B. Nella breve biografia
notarile, scritta dal notaio casciano Domenico Angeli nel 1457 come introduzione
alla registrazione di 11 miracoli avvenuti quell’anno per intercessione
di Santa Rita, troviamo alcuni dati significativi.
Dapprima i termini usati dal notaio, certamente non a caso, data la sua funzione
(onorevolissima Suora Donna Signora Rita) indicano presumibilmente le origini
sociali della Santa.
Poi emerge un dato cronologico certo: avendo passati 40 anni da monaca nel chiostro
della predetta chiesa di S. Maria Maddalena di Cascia.
Un altro tratto che si profila in queste poche righe riguarda la spiritualità
della Santa: vivendo con carità nel servizio di Dio, che riecheggia il
“binomio molto caro a S. Agostino, che espresse con esso l’essenza
stessa e lo scopo della vita monastica. Infine un’indicazione teologica:
E Dio (...) volendo mostrare agli altri fedeli un modello di vita, affinché
come lei era vissuta servendo Dio con digiuni e preghiere, così anch’essi,
i fedeli cristiani, vivessero, operò mirabilmente molti miracoli e prodigi
con la sua potenza e per i meriti della beata Rita. L’autore annota: “Che
(questa ragione - l’imitazione n.d.r.) l’abbia proposta un notaio,
dimenticando per un momento la sua funzione cancelleresca, arida e distaccata,
e l’abbia proposta quando la devozione a S. Rita, oggi universale e popolare,
era appena agli inizi, è significativo e interessante. Non resta che
essergliene grati e mettersi alla sua scuola.”
C. Per concludere, una testimonianza tratta dai testimoni processuali. “Tra tutti ce ne interessa uno (...) per la sua età (aveva 74 anni) e per l’età del nonno, morto a 90 anni, di cui ci riferisce la testimonianza (...): ‘Io ho inteso dire che la Beata Rita è stata monaca di S. M. Maddalena e che gli era stato ammazzato il marito prima che fosse monaca e questo lo dicevano gli antichi et in particolare l’avo mio che si chiamava Cesare et era di età di 90 anni quando morse (...). Io dopo che conosco bene e male, ho inteso dire tanto dal detto Cesare mio avo come da tutti gli antichi di questa terra, che la Beata Rita era vissuta Santamente (...) e in particolare che aveva pregato sempre Dio per quello che gli aveva ammazzato il marito e che essa nascose la camicia insanguinata del marito quando fu ammazzato acciò che i figli vedendola non si muovesssero a vendetta.’ 3)”
Ragioni di spazio mi impediscono di riportare altre interessanti considerazioni storiche e teologiche. Rimando perciò il lettore curioso al testo di Agostino Trapé.
1) TRAPÉ, Agostino
- Santa Rita e il suo messaggio, Edizioni San Paolo, 1986/2000
2) Ecco esplicitato il collegamento tra S. Rita e S. Agostino. E possiamo così
fare un ponte tra il 22 maggio (festa di S. Rita) e il 28 agosto (festa di S.
Agostino), per coprire idealmente lo spazio di tempo che ci separa dall’ultimo
numero della rivista...
3) Qui è interessante accennare brevemente al ruolo che avevano i “pacieri”
nella travagliata realtà sociale ai tempi di Rita (vedi lotte tra guelfi
e ghibellini). La legislazione era preoccupata di conservare e ristabilire la
pace e i provvedimenti, molto severi, indicano quanto le inimicizie fossero
profonde e durature e quanto fosse difficile sradicarle. per non parlare dei
delitti politici e delle conseguenti “cavalcate” punitive.
“Quella dei pacieri era come un’istituzione cristiana con il compito
di pacificare i contendenti, ‘per amor di Dio e remissione dei peccati’,
fuori dal processo civile o criminale”. Queste pacificazioni erano riconosciute
dalla legge ne veniva data notizia su un foglio pubblico. I genitori di Rita,
secondo la tradizione, esercitavano la funzione di pacieri e per Rita, la condizione
per entrare in monastero era dapprima un’opera di pacificazione. Infatti
“la vedova di un assassinato non poteva sperare di essere accolta in un
monastero (...) finché avesse lasciato dietro di sé una situazione
sconvolta dall’odio.”