Il Vescovo Corecco e l'architettura religiosa
Architettura religiosa: caso o necessità
In occasione della
benedizione della nuova chiesa del Monte Tamaro il 1° settembre scorso,
Caritas Insieme ha dedicato l'emissione televisiva* proponendo le riflessioni
di Egidio Cattaneo, l'imprenditore che l'ha voluta dedicare alla moglie, dell'architetto
Mario Botta, e di molti giovani che al Tamaro vanno in pellegrinaggio col
Vescovo ogni anno.
Un pellegrinaggio e una chiesa legati alla figura del Vescovo Eugenio Corecco
di cui riportiamo le considerazioni sull'architettura religiosa che il 20
febbraio 1992 aveva espresso a una tavola rotonda all'Università Cattolica
di Milano.
I - La cultura cristiana, di cui il Vescovo deve essere testimone, garante,
ma anche soggetto confrontato con l'imperativo della creatività, si
è sviluppata su due assi dottrinali convergenti.
Il primo asse portante è quello della teologia della creazione. Ha
avuto come conseguenza, verificabile anzitutto nella storia europea, quella
della riabilitazione del lavoro anche manuale. Il rifiuto delle opere servili
nell'antichità aveva generato la schiavitù. Il lavoro deve essere
retribuito. San Paolo lavorava con le proprie mani e la cultura europea è
dominata dal principio di San Benedetto "ora et labora".
Il lavoro, con lo sviluppo tipicamente europeo dell'artigianato, è
interpretato e valorizzato come partecipazione e cooperazione dell'uomo all'attività
creatrice di Dio. È la prima tappa in cui si realizza il principio
della incarnazione. L'uomo, nel suo lavoro, sperimenta nel concreto della
storia la stessa emozione ontologica ed estetica di Dio, che contempla le
creature da Lui poste in essere: "Dio guardò tutto quello che,
operando, aveva creato e vide che era molto buono". In quanto partecipazione
all'opera del Creatore, l'attività creatrice ed artistica dell'uomo
acquisisce così dimensione religiosa intrinseca.
II - Il secondo asse portante della cultura cristiana è la teologia
dell'incarnazione. In effetti la cultura europea è nata da due vittorie.
La prima vittoria è stata quella sull'arianesimo, con la definitiva
cristianizzazione dei popoli barbari ariani (Ostrogoti e Visigoti) e dei Franchi
(con il battesimo di Clodoveo); la seconda è stata quella sulla iconoclastia.
Il II Concilio di Nicea ha liberato la cultura cristiana dall'influsso iconoclasta
di origine ebraica e mussulmana. Il trionfo dell'immagine coincide con il
trionfo dell'ortodossia cattolica, il cui punto di riferimento sono i dogmi
sull'incarnazione di Cristo dei primi quattro Concili ecumenici.
III - All'interno del vasto orizzonte del dogma della creazione, l'arte cristiana
si precisa così, ulteriormente, come visualizzazione simbolica del
dogma della incarnazione.
Gravita, perciò, attorno alla Celebrazione liturgica, in cui si fa
la memoria del mistero dell'Incarnazione, Morte e Risurrezione di Cristo.
Nell'Eucaristia, espressione più compiuta e riassuntiva di tutta la
liturgia, questo mistero, infatti, si attualizza sacramentalmente come evento
sempre presente e operante nella storia.
IV - Nel corso della storia, la rappresentazione artistica dell'incarnazione
non è stata tuttavia univoca, poiché il mistero della incarnazione,
pur nel rispetto sostanziale della cristologia calcedonense, non è
stato interpretato con lo stesso rigore dalle diverse confessioni cristiane:
quella ortodossa orientale, quella protestante e quella cattolica prevalentemente
latina.
Queste diversificazioni nella comprensione del dogma hanno attinto abbondante
alimento dalle diverse opzioni filosofiche che, nelle singole confessioni
cristiane, hanno talvolta esercitato un influsso egemonico sull'infrastruttura
razionale della loro fede.
1. L'ortodossia, in seguito ai contatti con il neo-platonismo e alla ristrutturazione
ellenico-bizantina subita nel primo Medio Evo a contatto con i popoli slavi,
ha assunto una profonda valenza mistica.
Nel segno di una diversa radice antropologica, rispetto a quella occidentale,
e di una inconfondibile reminiscenza culturale orientale e platonica, tende
ad affermare l'assolutezza dell'essere, relativizzando il valore della storia.
Il pensiero orientale cerca di eludere i limiti delle apparenze cosmiche e
della contingenza della storia, elevandosi verso l'alto, per ritornare all'originaria
purezza del divino.
È una elevazione filosofica, perpendicolare rispetto alla direzione
orizzontale della storia, che pone l'accento sulla trascendenza. L'escatologia
ortodossa tende a disgiungersi dalla storia. L'icona, infatti, a differenza
del dipinto sacro occidentale, non rivendica una consistenza propria perché
non pretende di essere un'incarnazione del divino, ma solo un segno sensibile.
Attesta la presenza di Dio nel mondo, rappresentando gli archetipi razionali
dell'intelligibile, senza avere però la pretesa di materializzarli
o reificarli nell'immagine.
Non è un caso il fatto che la cupola dorata di Santa Sofia di Costantinopoli
(costruita dall'imperatore Giustiniano), con la quale l'Oriente cristiano
ha reso liturgicamente agibile il Pantheon romano, è fatta per essere
guardata dall'interno, essendo la sua intenzione profonda quella di richiamare
l'uomo alla trascendenza di Dio.
Solo di passaggio vorrei accennare al fatto che la cupola di San Pietro, espressione
dell'umanesimo rinascimentale, è fatta invece per essere guardata dall'esterno;
da una posizione in cui l'uomo, postosi ormai al centro della storia, possa
dominarla e fruire su questa terra della sua plasticità estetica.
2. Il protestantesimo, nel solco sia del messianesimo giudaico, ripreso in
Occidente da Marx, che con l'idea di progresso ha dato corpo alla forma più
consapevole e scaltrita del mito prometeico, sia del nominalismo del tardo
Medio Evo, subisce invece il fascino di un messanismo, che tende a identificare
Dio con la storia, intesa come progetto dell'uomo privo di prospettiva escatologica.
Nel protestantesimo, infatti, l'escatologia non investe la chiesa visibile,
considerata realtà sociologica senza valore soteriologico, ma solo
la Chiesa spirituale e invisibile. Ma anche questa dimensione escatologica
della Chiesa invisibile, disincarnata dalla storia, è bruciata, in
ultima analisi, dal principio della predestinazione, che più che al
futuro rimanda al passato.
Il tempio protestante è molto vicino alla sinagoga. Più che
luogo di azione liturgica, dove la Comunità celebra il mistero dell'incarnazione,
è il luogo di ascolto individuale della Parola, in cui l'uomo si consola
grazie alla fede fiduciale di Dio, che lo ha già predestinato alla
salvezza. Il movente della sua azione nel mondo , come ha dimostrato Max Weber,
non è una fede che lo spinge, come fa invece il fedele cattolico, verso
l'assunzione e la trasformazione della realtà terrestri, nel segno
della propria incarnazione personale nella storia, ma piuttosto l'urgenza
e la speranza di creare opere, che gli possano confermare l'esclusiva benevolenza
salvifica di Dio nei suoi confronti.
Il principio protestante dell'incarnazione si arresta a Calcedonia, alla persona
di Cristo, non continua nella Chiesa visibile, con la conseguenza che il tempio
tende ad essere semplice luogo di ascolto individuale della Parola di Dio,
"extrinsecus data".
3. Il cattolicesimo interpreta nel modo più rigoroso il principio dell'incarnazione,
applicandolo da Cristo alla Chiesa, che è Popolo di Dio perché
è anche il Corpo Mistico di Cristo. Servendosi della metafisica ilemorfistica,
aristotelico-tomista, enucleabile nel principio "universalia in rebus",
in forza della quale la forma si incarna nella materia, (principio alternativo,
sia a quello platonico "universalia ante res", sia a quello nominalista
"universalia post res"), la teologia cattolica attua con estrema
coerenza dottrinale e senza soluzione di continuità, il passaggio della
cristologia calcedonense (comune anche alle confessioni cristiane) alla Chiesa:
realtà, visibile e invisibile, in cui Cristo risorto continua ad essere
presente nella storia, quale soggetto primario della stessa celebrazione liturgica.
Nella concezione cattolica il cristiano è perciò chiamato a
collaborare, da subito, all'opera della salvezza, "in" e "di
" questo mondo, vivendo l'escatologia come dimensione già presente
nella storia, senza fughe unilaterali verso la trascendenza e verso il tempo
futuro.
La Chiesa cattolica costruisce perciò l'edificio di culto come luogo
in cui essa stessa agisce ed opera in quanto Comunità cristiana, evitando
ogni evasione, implicita o esplicita, di estrazione monofisita o nestoriana.
Non è casuale il fatto che il termine Chiesa, con il quale il Nuovo
Testamento ha definito la Comunità dei fedeli congregata da Cristo,
sia stato progressivamente, ma anche definitivamente trasferito all'edificio
di culto.
Il monumento architettonico cerca di interpretare, avvolgendola dentro uno
spazio e diventandone anche il segno simbolico, la Comunione cristiana, che
nel momento della celebrazione dell'Eucarestia si realizza, sacramentalmente,
come realtà spirituale e sociale; quale soggetto culturale diffuso
nel mondo intero, perché è universale, ma anche convergente
nella sua totalità in un solo luogo. La Chiesa, l'unica Chiesa di Cristo,
ha due dimensioni essenziali: universale e particolare, che devono essere
riconosciute anche attraverso l'edificio di culto.
V - Su questo impianto teologico fondamentale si sono innestate spiritualità
e influssi culturali, declinatisi in stili architettonici diversi. Queste
differenti tipologie si sono susseguite e intrecciate lungo il corso della
storia e sono sempre risultate valide, nella misura in cui non hanno ceduto
alla tentazione di regredire nella imitazione del passato.
Ogni inflessione culturale e ogni stile architettonico sono validi, a mio
avviso, purché riescano a interpretare l'essenza del mistero cristiano,
rispettando quei risvolti ecclesiologici e liturgici, che la specificità
di ogni epoca esige.
Se è vero che all'interno del cristianesimo come tale esistono soluzioni
architettonico-liturgiche più cattoliche di altre, poiché esiste
un rigore cattolico diverso nell'interpretare il principio dell'incarnazione,
e nel concepire perciò l'ecclesiologia, non credo, per contro, che
all'interno del cattolicesimo, sia possibile affermare l'esistenza di stili
più cattolici di altri.
L'essenziale è che ogni edificio di culto sia espressione autentica
della concezione che la Chiesa, in quanto realtà sacramentale, ha di
sé in una determinata epoca storia.
VI - Oggi si verificano due fatti di cui il committente e l'architetto devono
tenere conto.
Da una parte il fatto che l'architettura contemporanea, a differenza di altre
epoche del passato (ma parallelamente ai primi secoli della storia della Chiesa),
riconosce la propria ascendenza, non più nella tradizione culturale
cristiana, ma nella cultura secolarizzata. Rispetto all'epoca delle basiliche
paleocristiane, l'aggravante sta nel fatto che la cultura laica moderna si
è frantumata in un pluralismo di espressioni, in cui è difficile
decodificare gli elementi portanti della sua unità.
Ciò rende più precario il giudizio sulla potenziale capacità
di queste espressioni culturali di offrire, di volta in volta, modelli ancora
atti a realizzare una concezione cattolicamente ortodossa del sacro: una concezione
capace di esprimere in modo adeguato il mistero dell'incarnazione.
Il secondo dato di fatto è che la Chiesa, se da un lato si è
espressa, con il Concilio Vaticano II, secondo una auto-concezione ecclesiologica
molto più precisa ed esigente di quanto non sia mai riuscita a fare
nei secoli passati, dall'altro ha assistito all'emergere di una varietà
di dottrine e modelli ecclesiologici, in cui non è sempre possibile
tracciare con sicurezza i confini tra l'ortodossia e la falsificazione del
dogma.
Coniugare una cultura e un'architettura di ascendenza prevalentemente illuminista
e secolarizzata, con le esigenze di una teologia contemporanea, in cui, a
differenza del passato, l'ecclesiologia e la pneumatologia sono diventate
il problema fondamentale da risolvere, non è impresa facile e di poco
conto.
Il Vescovo, cioè il committente, e l'architetto devono riuscire a interpretare
nella fede questi segni dei tempi, che purtroppo sono spesso eterogenei ma,
di certo, non inconciliabili "a priori" tra di loro, come dimostra
ampiamente la storia.
L'architettura religiosa autentica non è mai nata e non può
nascere dal caso. Il quadro dei parametri teologici e filosofici che hanno
presieduto nel corso di questi due primi millenni allo sviluppo dell'arte
cristiana e che ho cercato di individuare, mostra che l'architettura religiosa
è nata e nasce determinata da una necessarietà intrinseca. Nella
nostra società post-moderna, in cui la cattolicità è
confrontata con l'imperativo di ricostruire faticosamente un proprio impianto
culturale, le difficoltà di una certa sintesi possono essere maggiori
di un tempo.
*È disponibile su cassetta copia dell'emissione su cassetta VHS