Mass media ed autanasia: Caritas Insieme reagisce
La bontà che uccide
Di Dante Balbo
L'eutanasia in TV sembra essere sempre meno occasione di dibattito fra posizioni sontrapposte sui fronti dell'etica, della orale e del diritto, ma sempre più la proposta di una soluzione ragionevole e buona contro la sofferenza di certe situazini estreme di malattia. Col supporto di medici, di operatori sociali e di drammatiche e toccanti testimonianze di ammalati e famigliari, si prepara così il terreno alla futura inevitabile legalizzazione.
I fattiI brividi scorrevano sulla mia pelle, lunedì 2 settembre, quando ho acceso il televisore e ho trovato sul video la presenza accattivante di una voce suadente e di immagini calibrate per essere convincenti. Il programma era un documentario della serie D.O.C. D.O.C., sul tema eutanasia.
Brividi di terrore, non per la malvagità di un documentario di parte, né per la mia rivolta di cristiano, ma per la agghiacciante apparenza di ragionevolezza che traspariva da quell'emissione.
Una bella morte
L'inganno è terribile, perché la realtà è completamente rovesciata e l'assassino sono io che dico che c'è qualcosa che non quadra nella tutela del suicidio.
Nel documentario erano mostrate una serie di situazioni limite, di fronte alle quali, l'unica idea ragionevole sembrava accettare il desiderio di far cessare una vita indegna di essere vissuta ai protagonisti delle storie.
Se si fosse trattato dell'aperta affermazione dell'eutanasia come un diritto, sarebbe stato palese il rifiuto istintivo di qualsiasi spettatore di buon senso.
Invece, si diceva che in Olanda, il paese da cui provenivano i documenti mostrati, l'eutanasia di per sé è un caso di omicidio.
Ma, e questo è il punto, stanti le 28 condizioni poste dalla legge del 1994, il medico non era perseguibile. Si tratta della stessa logica per cui l'aborto è una scelta estrema, che coinvolge in Ticino il 25% dei nati in un anno.
Ma davanti a situazioni estreme, in coscienza come facciamo ad essere così crudeli da impedire che un uomo possa porre fine alle sue sofferenze in modo dignitoso?
Oggi la medicina ci soccorre proclamando che il dolore è una esperienza dominabile attraverso l'uso di medicamenti adeguati.
Allora il problema non è la sofferenza fisica, ma la sensazione soggettiva di inutilità della vita.
Contro corrente
Risponderò dunque a questa questione con altre domande:
Quali responsabilità hanno l'organizzazione sociale, la cultura veicolata dai media, i legislatori, i preti accondiscendenti, ecc., nel far sorgere una simile domanda?
Quello che si fa passare per una conquista di civiltà, non è forse una dichiarazione di fallimento rispetto alla costruzione di una società realmente civile, dove la vita possa trovare spazio, qualunque sia il suo manifestarsi?
Oggi anche i pedagogisti si sono resi conto che buoni genitori non sono coloro che concedono tutto ai figli. Perché questo permane invece un pensiero valido per l'organizzazione sociale allargata?
I dati del problema
La posta in gioco non è la legge sull'eutanasia, che comunque passerà anche da noi, senza neanche scomodare questioni di fondo sull'impostazione sociale, e sarà un riconoscimento tecnico di uno stato di fatto, ma il futuro della nostra convivenza civile.
In vent'anni la nostra cultura si è modificata così radicalmente che questioni che un tempo non tanto lontano ci sembravano fantascientifiche o vaneggiamenti dei soliti cattolici catastrofisti, oggi sono oggetto di dibattito quotidiano.
All'inizio l'aborto era una questione terapeutica collegata con il rischio di salute fisica per la madre, poi è diventata salute psichica, poi situazione socio-ambientale. Oggi è una faccenda quasi formale, che comporta l'espletamento di qualche pratica e la decisione della madre interessata.
Nel documentario che sto commentando, prima si è parlato di sofferenza fisica, poi di sofferenza psichica, tali da giustificare l'eutanasia, infine si è presentato il filmato di una ragazza anoressica di 25 anni, che chiedeva di poter morire perché pesava 20 chili e tanto, altre anoressiche si erano lasciate morire di fame lo stesso.
Con l'aumento sempre più preoccupante degli anziani nei paesi occidentali, non è così fantasioso immaginare che fra qualche anno, si possa proporre l'alternativa fra eutanasia e una pessima pensione.
La questione ripeto, non è l'eutanasia, ma altri termini come tolleranza, responsabilità, coscienza storica, proiezione nel futuro a lungo termine.
Memorandum
Il "suicidio assistito" non è una realtà nuova, né di questo ultimo secolo.
Pensate ad esempio a Quo Vadis, il romanzo la cui versione cinematografica ogni estate ritorna sugli schermi di qualche impietosa emittente pubblica o privata.
In quest'opera si parla di Petronio, filosofo colto e intelligente, costretto a sopportare le idiozie di un imperatore pazzo e con velleità artistiche.
Quest'uomo si circonda dei suoi amici, dopo che l'imperatore ha fatto incendiare Roma e, con grande dignità, si suicida assieme alla sua schiava innamorata.
Al di là della condivisibilità di questa scelta, allora si trattava di una decisione filosofica, attuata da pochi, ma non vi era una legge dello stato a garantire questa opzione fra le altre possibili e, persino Petronio stesso, non si sarebbe mai sognato di chiederla come un diritto del cittadino romano.
Tutta la storia è piena di suicidi illustri, ma Dante Alighieri li mette all'inferno e non fa differenza fra suicidi felici o disperati.
In quel documentario si arrivava a dire che morire è un modo di vivere con dignità se puoi scegliere tu il giorno e l'ora.
Il problema non è l'affermazione in sé, ma il fatto che oggi risulti del tutto naturale.
Idee come questa non sono il frutto estemporaneo di qualche psicologo svanito o di qualche politico in cerca di consensi, ma il risultato di un lungo processo di sviluppo che ha almeno quattrocento anni.
Oggi le cose cambiano così rapidamente che si può dire di un paese che la sua economia è in crisi una settimana dopo che si era detto che era solidissima e nessuno o pochi eletti ha gli strumenti per capire se era esatta la prima o la seconda informazione.
La coscienza storica è limitata alla seconda guerra mondiale solo perché sono ancora vivi quelli che l'hanno vista e, anche loro, vengono già messi in discussione.
La Bontà è un'offesa all'intelligenza
Prendiamo un altro esempio e parliamo di solidarietà.
Questo termine è diventato di moda e significa vivi e lascia vivere.
L'idea che esista un modo di essere solidali assumendo su di sé quelle responsabilità che l'altro non riesce più a sopportare è inconcepibile.
Può pure sgolarsi il nostro Papa a dire che il problema demografico è una questione di sviluppo economico e che la responsabilità della mancata crescita dei paesi del sud del mondo è una responsabilità precisa dei paesi avanzati. Tutte storie, fa più colpo il foulard nei fustini di detersivo, per costruire un villaggio in Africa, coscienza a posto e situazione immutata.
La scelta di morire, per alcuni, non riguarda forse la solidarietà assassina che li ha lasciati da soli con il loro problema, perché nessuno ha avuto il coraggio di lasciarsi lacerare il cuore dalla lancia della loro sofferenza?
La bontà è il vergognoso strumento con il quale sono stati fregati tanti buoni cristiani che non se la sono sentita di non compiere un gesto di solidarietà e di "pietà" accogliendo senza batter ciglio leggi o prassi come quella abortista.
Libertà obbligatoria
Da Cartesio in poi, progressivamente, libertà è diventato equivalente a possibilità di scelta. Ma se giusto e ingiusto sono categorie soggettive, cosa c'è da scegliere, se non fatti estetici?
Non stupisce dunque se l'eutanasia in ultima analisi è una faccenda di "bella morte".
Ciò che sempre più va a rotoli è la capacità di giudizio, perché per giudicare siamo costretti a fare uno sforzo di ricerca delle categorie di confronto sulle quali valutare i fatti che ci vengono presentati.
Oggi avere una identità precisa è un reato grave e si chiama integralismo. I colpevoli di questa infamia, devono giustificarsi sempre e in modo preciso, con il rischio costante di non essere capiti, perché una conseguenza naturale della mancanza di giudizio critico è la stupidità imperante.
Un romanzo new age come "La profezia di Celestino", con tanto di istruzioni per l'uso, vende milioni di copie e, forse, ha sostituito il Vangelo sul comodino di molti cristiani, ma siccome "non fa male e parla di valori positivi..." va bene.
E noi qui a parlare di eutanasia, di problemi di futuro dell'umanità, c'è da essere matti!
Forse, ma preferisco questa pazzia alla dittatura della tolleranza obbligatoria.Non posso non concludere che ogni uomo che chieda di morire è una accusa bruciante come il sangue di Abele il giusto e non sarà una normativa accomodante a farmi cambiare idea.
Prospettive
In una società così disgregata dal punto di vista della sua identità, lo sforzo di chi vuole esprimere un'idea precisa è immenso, come quello di Sisifo, un eroe greco costretto nell'inferno a portare sulla cima di una montagna un masso enorme che poi ricade sempre in fondo alla valle: ogni volta che si apre un capitolo, infatti, si è costretti a rispiegare l'intero libro.
La verità, tuttavia, per essere affermata, non ha bisogno di "audience", e vale sempre la pena di gridarla finché abbiamo fiato, perché crediamo che sia questo un modo di vivere con dignità.
Perciò queste sono solo alcune riflessioni sparpagliate, e dovremo ritornare in argomento.