Una sfida chiamata droga
Tra cultura della dipendenza e cultura dell'igienismo individualistico
neo-moralista
Tre domande a Graziano Martignoni
Graziano Martignoni*: La scelta non mi sorprende. Aderisce , mi pare senza troppo travaglio culturale e intellettuale, ad una sorta di "Zeitgeist " che attraversa oramai molti settori della nostra società. Si potrebbe a lungo tentare una diagnosi sociologica e culturale di questo "spirito del tempo ", che sta alle spalle anche di questa scelta in materia di droga, ma la discussione ci porterebbe qui troppo lontano. Tuttavia è solo ponendosi domande fondamentali che si possono leggere criticamente le scelte del momento e soprattutto tracciare gli orizzonti che queste scelte, spesso a nostra insaputa, preparano. Poniamione alcune. Ho sempre sostenuto che la droga fosse una sorta di "isotopo culturale " particolarmente adatto a tratteggiare in miniatura quello che potrà essere il rapporto ( e il contratto sociale ) futuro o futuribile tra cittadino e comunità. Di questo infatti è qui questione. Il cambiamento di statuto giuridico del consumo di droga non può non provocare alcune trasformazioni dentro il concetto stesso di droga e soprattutto dentro la sua immagine sociale. La droga necessita di una storia, di una cultura, di convenzioni, di "norme" ovvero di una rete di discorso, una retorica esplicita. La droga è dunque ieri come oggi una questione fondamentalmente di retorica. Possiamo certo definire la natura scientifica di un tossico, ma non per questo tutti i tossici sono droghe... La valutazione etica e politica è allora centrale. Il concetto di droga porta in sè la norma e l'interdetto. Ecco perché riflettere sulla questione della depenalizzazione è anche e soprattutto chiederci in che cosa e in che modo viene ad essere mutato l'ordine retorico che ne definiva sino ad ora il concetto e l'immagine sociale. Con la depenalizzazione la droga arrischia di scomparire come domanda sociale, mentre invece sopravvivrebbe come veleno muto e come causa di miseria e di morte. E' come se insieme alla depenalizzazione avvenisse una caduta di senso della droga stessa. Il drogato non sarebbe allora ancora più solo di fronte ad una malattia oramai solo individuale? Credere dunque che la riforma proposta sia solo un accorgimento tecnico-procedurale per meglio affrontare il grande traffico, per superare e chiarire una prassi giuridica, almeno per il consumo, già nei fatti molto depenalizzante o ancora per spostare l'asse verso un vertice educativo-curativo (la qual cosa rimane tutta da dimostrare) significa disconoscere gli effetti di questo "scivolamento retorico" e minimizzare le ricadute sul modo già sufficientemente disorientato di pensare il futuro collettivo (penso soprattutto agli adolescenti) e sulla legittimità per una società di continuare a regolare il confine tra lecito e illecito, tra norma e interdetto, tra libertà e necessità.
Ecco perché l'indicazione politica delle nostre Autorità non è innocente (guai se lo credessimo svagati dal tempo estivo delle vacanze), anche se oramai una sottile e apparentemente poco gridata campagna di stampa, da mesi, lascia intendere che la soluzione della depenalizzazione, surrogata e confusa indirettamente dalle decisioni del Consiglio federale sulla sperimentazione con eroina e affini, sia divenuta la sola scelta possibile, la soluzione ragionevolmente inevitabile. Molta parte dei mass-media prepara infatti il consenso su questo delicato problema, così che il giorno di una possibile consultazione elettorale, non potremo che acconsentire a qualche cosa, che parrà a tutti logica e unica soluzione, avendo accuratamente sospinto gli scettici e i contrari alla depenalizzazione nel campo perdente di un conservatorismo anacronistico. Al di là delle buone o cattive ragioni delle parti, stiamo di fronte ad un vero e proprio tentativo di "imbonimento" collettivo, non riguardante un qualsiasi prodotto di consumo, ma ben più minacciosamente un "valore" culturale (con alto significato simbolico e dunque "connettivo" per tutta una comunità), che una parte della società vuole cambiare (e cambiare l'assetto legislativo-giuridico attorno alla droga non è come modificare una qualsiasi norma della circolazione stradale...). Un esempio tra i molti di questa sottile costruzione del consenso. E' preso dalla cartellonistica dell'Ufficio federale della sanità dell'anno scorso sulla prevenzione dell'AIDS. Si diceva a grandi lettere pressapoco così (lo cito a memoria) : "drogarsi fa male , ma se proprio lo devi fare usa una siringa sterile" e solo in piccolo sul fondo del cartellone stradale e dunque molto meno visibile, anche queste cose contano!) una dicitura che diceva che drogarsi era proibito dalla legge... L'operazione è subdola. Chi infatti non sarebbe d'accordo di prevenire a tutti i costi le mortali conseguenze dell'AIDS?... Il cartellone che fa leva su questo consenso introduce però un vero e proprio messaggio subliminale, che lascia intendere la caduta di valore della illiceità dell'uso di droghe e prepara al contrario nella coscienza collettiva il suo passaggio nell'ambito del lecito, anche se individualmente dannoso... E'come se, paradossalmente e senza nessuna contiguità vera con la tossicodipendenza, (stiamo infatti esaminando un effetto comunicativo e non i fatti in sé nelle loro radicali differenze) per prevenire i rischi della pratica del furto o delle rapine (anche questi atti illeciti hanno dietro di sé un uomo con le sue sofferenze e le sue miserie) in cui può incorrere il ladro, si scrivesse:" rubare (rapinare ) fa male, ma se proprio non ne puoi fare a meno, usa il giubbotto antiproiettile "... e solo in calce ricordarsi di dire che il furto è proibito dalla legge. Se siamo giunti a questo punto di sovvertimento delle categorie fondamentali di lecito e illecito, vuol dire che la questione droga non si eaurisce in se stessa banalmente, ma diviene frontiera di una concezione dell'uomo e della società, di una antropologia dunque sempre più relativistica sui valori e pragmatica-strumentale sulle scelte concrete (là dove lentamente solo ciò che é pragmatico, strumentale e calcolabile diviene poi vero e giusto...), su cui non si deve rinunciare a discutere e se del caso ad opporsi. Un processo, a mio modo di vedere, in atto in campi diversissimi tra loro, che investono il rapporto oramai disordinato tra etica, comportamenti e libertà individuali e bisogni della comunità. Processi di una società post-morale, che mentre sembra produrre una "deregulation" sui valori di fondo, vede risorgere nuove forme di neo moralismo igienico-individualistico (come le campagne americane antitabacco, i fanatismi sulla cura del corpo e sulla salute, ecc). In questo processo trova posto anche l'idea della depenalizzazione/legalizzazione. La depenalizzazione infatti, tende a liberare la questione della droga dalla tutela "proibizionista"(che nulla ha a che fare, è bene ribadirlo, con il carcere per i tossicodipendenti), in cui è la collettività che impone i suoi valori culturali e le sue leggi e separa ciò che è lecito da ciò che è illecito, al di là dall'efficacia immediata di simile scelta, sottoponendola (normalizzandola) a quella del promuovimento della salute. Non più luogo dell'etica ma luogo della salute. Il salto è radicale: dalla collettività all'individuo, alla sua responsabilità, alla maturazione della sua coscienza e in ultima analisi alla sua libertà ( ma quale libertà in ambito di droga?). E' di questa idea di uomo e delle sue illimitate e progressive sorti, che la scelta del CdS si nutre. Ma è su questa idea di uomo che io pongo la mia radicale opposizione. L'uomo è certo libero e tende alla libertà, ma non solo e la vicenda della droga mostra bene quanto egli sia nello stesso tempo governato dal proprio mondo nascosto e ribelle ad ogni dominio da parte della coscienza.
La droga, non scordiamolo, rinvia al di là dei suoi fenomeni più apparenti a ciò che di divino e di demoniaco è nel profondo dell'uomo, verso cui la ragione e la volontà non sono spesso che comparse. Se non badiamo a queste dimensioni profonde della tossicodipendenza, il "promuovimento della salute" arrischia di essere parola vuota, ideologia, lasciando fuori dalla società del calcolo e della razionalità (la società sul modello dell'impresa) tutti coloro che non ce la faranno... E' l'ordine della necessità che la legge socialmente e culturalmente assume, facendo sì che la libertà si accompagni alla accettazione dei suoi limiti, di quella "part maudite" come la chiamava Bataille, che alberga in ognuno di noi, verso cui i valori e le norme collettive possono fare opera di vigilanza, di contenimento e di guida. Il problema delle società post-morali sul piano dei costumi e della cultura non è tanto quello di allargare gli ambiti delle libertà individuali, ma di porsi al contrario il problema dei suoi limiti e dei suoi vincoli collettivi. Abdicare da parte della società a questa funzione di scelta tra il lecito e l'illecito, a porsi il problema della sopportabilità antropologica delle scelte in materia di droga, pur sottolineando la sua dannosità per la salute (sic! quale salute?), è dunque, a mio modo di vedere, molto rischioso. Per questo, come per altre molte ragioni più di ordine concreto e contingente oltre che clinico su cui qui per brevità non posso entrare, la mia opposizione è , non da oggi, radicale e ferma.
R: Se nella prima risposta avevo messo l'accento sui principi-quadro e sul loro rischio di trasformazione, qui la questione diviene clinico-pratica. Un ordine di pensiero e di azione che pur non offendendo i principi generali deve tenere conto delle singolarità, delle indicazioni medico-cliniche e dunque in ultima o in prima analisi della soggettività del tossicodipendente. Siccome le tossicodipendenze sono forse tante quante (esagero, poiché la questione non è ovviamente così semplice) i tossicodipendenti, è utile e necessario avere una variazione di possibilità terapeutiche. Tra queste anche il programma metadonico ha il suo spazio e il suo momento. Sulla questione si scontrano due opinioni: quelli che ritengono il metadone un trattamento di prima scelta (vi è persino chi auspica che tutti i tossicodipendenti ticinesi siano assunti dai trattamenti metadonici...) e quelli, come chi scrive, che credono che rappresenti una opzione terapeutica utile ma di seconda o terza scelta , ovvero con indicazione, modalità e tempi specifici. Se poi il trattamento sostitutivo con metadone diviene la chiave di entrata per la sperimentazione con eroina, la questione impone una particolare prudenza. Mi sono espresso già a suo tempo contro l'illusione pericolosa della sperimentazione con eroina, per ragioni cliniche , psicologiche e culturali. L'unica indicazione, che però non corrisponde certamente alle istanze dei gruppi di pressione soprattutto svizzero-tedeschi che hanno voluto questa soluzione con l'appoggio dell'Ufficio federale della sanità, per questa estrema scelta è, per me, quella palliativa . Sostenere questa indicazione vuol dire non escludere ideologicamente dalla farmacopea l'uso dei prodotti dell'oppio (come già avviene per la morfina) ma limitare ad un'ambito medico e clinico evitando che la distribuzione di eroina (o anche metadone) si diffonda come risposta (illusoria) generale alla
dipendenza da oppiacei (...).
R: Sulla questione delle iniziative la risposta è nello stesso tempo difficile e semplice. Per quanto mi riguarda sottoscrissi a suo tempo l'iniziativa "Gioventù senza droghe", poiché ritenevo che l'affermazione di un principio e soprattutto il tentativo di ostacolare la "vague" depenalizzante e liberalizzante, che montava in Svizzera fosse impegno urgente. Non ho cambiato opinione anche se quella iniziativa ad una attenta lettura soffre, a mio modo di vedere, di un ideologismo e soprattutto di un rigorismo (per es. sul metadone) di difficile applicazione. Tuttavia di fronte a Droleg e alle soluzioni del Consiglio Federale, quella iniziativa continua a svolgere un funzione di freno e di difesa di valori necessari e oggi messi in pericolo. Per questo, anche se le mie critiche a quel testo rimangono presenti, continuerò, faute de mieux, a sostenerla. Il fatto poi che il Consiglio Federale non ha voluto presentare un controprogetto è scelta astuta ma scarsamente democratica, poiché speculando su un probabile rigetto delle due opposte iniziative, spera di fare vincere senza veramente sottoporla al guidizio dei cittadini una propria prassi (e dunque dei propri valori) che di fatto già sta applicando, in modo da portare il cittadino poi a considerare queste scelte come le uniche possibili e dunque le uniche ragionevoli... La droga è indice di una crisi della civilizzazione ed è sostanzialmente su quel piano che deve essere pensata ogni strategia sociale nei suoi confronti. Il resto è cosmesi politico-sociale o peggio pratica di nuove forme di dominazione igienico-burocratiche sui soggetti deboli del collettivo. Una crisi che è nello stesso tempo una sfida, che richiama la necessità e l'urgenza di una risposta capace di sottolineare con fermezza inequivocabile una scelta di civiltà e istanza etica che produca una barriera a quella che potremmo chiamare da una parte la collettiva "cultura della dipendenza" e dall'altra la non meno deteriore "cultura dell'igienismo individualistico e neo-moralista".