Testimonianze di vacanze diverse
Vacanze giovani: tempo di solidarietà, tempo di carità, tempo di Dio
A cura di Federico Anzini
Le vacanze si dice comunemente sono il tempo della libertà. A dire il vero, però, imbottigliati nelle code autostradali o inchiodati dalle mode, spesso si ha l'impressione che proprio in estate la libertà si riduca a livelli minimi, ed impera invece la noia e l'omologazione.
I giorni di vacanza sono il più delle volte "pieni" perché drogati, riempiti di cose e di gesti suggeriti dal pensiero dominante o dalla pigrizia. Non sono quindi giorni di libertà, in cui si approfitta di maggior tempo libero per approfondire il senso ed il gusto della vita. Quindi volano via senza lasciare troppe tracce, se non un po' di nostalgia di quei momenti di "dolce far niente" che si faranno attendere fino alle future ferie.
Dimmi che vacanze fai e ti dirò chi sei ! Eh, già, proprio nel tempo libero si vede che cosa si cerca nella vita, quindi le vacanze sono un vero e proprio test !
Davanti a chi vorrebbe far credere che per essere "in", cioè al passo con i tempi, l'estate bisognerebbe passarla da "vip", la Chiesa non può ridursi unicamente a mettere in guardia da pericoli o abusi. Si tratta di rieducare, con esempi concreti, ad usare questo tempo prezioso ed unico per uno scopo più grande di quello fissato dalla pigrizia o dall'egoismo; è necessario conoscere e abbracciare il significato ultimo dell'esistenza.
Anche Caritas Ticino vuole dare il suo piccolo contributo in questa direzione proponendovi questa carrellata di testimonianze di alcuni giovani della nostra diocesi, provenienti da diverse realtà ecclesiali. Lasciatevi contagiare, la fede qualche volta fa compiere imprese umanamente folli, ma che ridanno vita e giovinezza al nostro cuore. Oppure fa gustare maggiormente il quotidiano, pur monotono che sia. Buona lettura!
Tempo privilegiato, tempo di Dio
Qualcuno forse ricorderà la mia lunga testimonianza dell'anno scorso, nella quale presentavo, con una certa baldanza, la mia lunga vacanza estiva, trascorsa in ogni dove, in diversi paesi dell'Europa, facendo le più svariate esperienze, dal volontariato con ragazzi normodotati a quello con persone portatrici di handicap, fino a trascorrere addirittura una settimana in completo silenzio. Beh, probabilmente vi aspettereste qualcosa di analogo anche quest'anno, ma spiacente deludervi, i miei programmi sono stati monopolizzati da due fatti importanti. Il primo è stato l'esame di maturità che si è protratto più a lungo del previsto, fino ad occuparmi quasi metà mese di luglio. Il secondo è stato l'urgenza di ripassare le conoscenze di inglese in vista dell'università, iscrivendomi a Lugano ad un corso di due mesi circa.
Quindi le grandi avventure che pensavo di vivere si sono ridotte, per forza, a due settimane di colonia integrata con i ragazzi handicappati, a Saas Grund in Vallese. Sono state due settimane intense, forse per la consapevolezza che erano le uniche, ma sicuramente anche perché la compagnia della colonia è una grande famiglia di gente che si vuole bene e protesa alla conoscenza del proprio Destino.
Quest'anno, essendo in una regione non italofona, abbiamo rinunciato a ideare un pezzo di teatro da presentare al pubblico, per ovvi problemi di comunicazione, e quindi abbiamo optato invece per una serie di piccole rappresentazioni o giochi con lo scopo di creare tra di noi un ambiente di vacanza, di divertimento e di amicizia.
In questi giorni ho capito come la nostra natura umana sia caratterizzata soprattutto dalla dimenticanza. Mi sono accordo di questo, perché essendo il terzo anno consecutivo che partecipo ed avendo avuto il medesimo ragazzo da curare, sono partito con la convinzione di essere a posto, di sapere già tutto. Invece mi sbagliavo.
Cercare di vedere il ragazzo handicappato non come un poveretto da compatire ma come un uomo con pari dignità alla nostra; vivere fino in fondo la carità evangelica, cioè voler bene in modo disinteressato e sovrabbondante; curare maggiormente i rapporti personali rispetto alle "cose da fare",... Tutto questo ho dovuto ricuperarlo, perché il senso profondo che si cela in questi principi l'avevo in parte dimenticato.
Quindi l'educazione, cioè l'introduzione alla realtà, in tutti i suoi aspetti concreti e quotidiani, è caratterizzata dalla ripetizione di gesti, talvolta apparentemente sempre uguali (penso alla scuola di comunità, alla preghiera, all'eucarestia,...) che però ci costituiscono, ci rigenerano.
La comunità cristiana deve essere prima di tutto un gruppo di amici che fanno memeria di un avvenimento, cioè capaci di ridestare nel quotidiano la presenza di Cristo, perché solo lui rende la vita sempre nuova, ma soprattutto ci riconduce a ciò che è essenziale. Altrimenti la nostra natura di sentimentaloni ci conduce immancabilmente alla superficie delle cose.
Come dicevo prima il resto del tempo estivo l'ho passato in parte studiando, preparandomi alla mia partenza per Roma, dove mi attenderanno cinque anni di università. Però mi sono anche preoccupato di intessere amicizie, mantenendomi in contatto con chi in vacanza non è potuto andare, perché come diceva il Vescovo Eugenio, importante non sono il numero di esperienze che si fanno, ma l'intensità con cui si vivono. Per cui questi mesi estivi sono stati per me bellissimi, quanto quelli dell'anno scorso, perché invece che ribellarmi a questa situazione "forzata", accusando tutto e tutti, ho scelto di affrontare questa realtà con grande libertà, cioè aderendo al progetto di Dio, che è sicuramente più grande dei miei piccoli calcoli. E così è avvenuto, perché grazie ad incontri, lettere e chiaccherate (da me non organizzate) senza accorgermi si sono rafforzate notevolmente le ragioni della mia scelta universitaria. Ciò, in questo momento, vale per me sicuramente molto di più di mille esperienze.
Federico Anzini
Campo di lavoro ad Oituz: Romania
Traspare da queste testimonianze che non sempre, all'inizio, i partecipanti hanno avuto le idee in chiaro sugli scopi del campo. L'esperienza che cresceva di giorno in giorno, permetteva però di scoprire e vivere gli obiettivi fissati. Ognuno, per quello che ha e per quello che ha potuto dare, è riuscito, non senza fatica, a vivere durante questo campo quei momenti che serviranno durante il resto dell'anno ad essere da esperienza da continuare e condividere nella propria realtà quotidiana.
Come molti altri, all'inizio non conoscevo il significato di questo campo di lavoro. Sto studiando da assistente sociale a Bucarest ed ho pensato che un'esperienza come questa poteva essere una continuità ai miei studi. Infatti alcuni momenti mi hanno aiutata a maturare. Sono venuta anche per un'esperienza spirituale e per conoscere altre persone.
Ho trovato calore ed unità non solo con i giovani di Brezoi ma anche con gli altri partecipanti, come fossimo una famiglia, posso dire che siamo un solo gruppo e non esistono differenze.
Ai miei amici che sono rimasti a Bucarest, penso di poter trasmettere con piacere questa esperienza, donando quello che sento, cercando di partecipare ad altri campi come questo, perché è stato molto positivo e mi sono sentita utile e credo che ogni giovane debba approfittare di queste occasioni.
Silvia Nicu, Bucarest
Ho deciso di partecipare a questo campo di lavoro, senza sapere cosa si faceva. Campi di lavoro ne ho fatti tanti ma non come questo. All'inizio è stato difficile, poi questa esperienza di comunità si è rivelata un piacere. Ritengo positivo il fatto di sentirmi utile, specialmente qui dove c'è bisogno di aiuto. Non ci sono molte persone preoccupate di costruire una comunità, forse un giorno sarà così.
Eva Zabarcencu, Bucarest
Mi ha fatto molto piacere far parte dei giovani che hanno partecipato a questo campo, per me è stata un'esperienza nuova soprattutto dal punto di vista spirituale.
Ho incontrato nuovi amici e sono riuscito a rispettare il programmma di lavoro del campo vivendo il vero spirito di unità. Ho osservato bene quanto possiamo fare noi cristiani e di questa cosa ringrazio Caritas Ticino per tutto quello che ha fatto e che ancora farà qui.
Gli abitanti di Oituz ci hanno dimostrato una grande ospitalità. Avevano tanto bisogno di questo dispensario, prima dovevano andare a più di 10 km per prendere una medicina.
Questo campo è stato anche un aiuto per qualcuno che non riusciva a rispettare il programma ma in poco tempo si è abituato a tutto, anche alle pause del mezzogiorno. Abbiamo cantato insieme ci si siamo divertiti insieme, ed ho imparato come si lavora e come stare vicino a Cristo.
Sorin Cálin Ion, Brezoi
Ho riscontrato una piccola differenza tra il campo dello scorso anno e questo. Qui siamo due, tre o quattro giovani per casa e stiamo insieme per gli incontri dove raccontiamo la nostra esperienza. Un gruppo deve sapere quando stare assieme e quando stare a piccoli gruppi, abbiamo bisogno di imparare come vivere con gli amici.
A questo campo hanno partecipato per la prima volta diversi giovani che non avevano idea di cosa vuol dire un campo di lavoro. In seguito si sono dichiarati contenti avendo conosciuto nuovi amici e fatto un'intensa esperienza cristiana.
Dopo ogni campo noi giovani di Brezoi, ci incontriamo per discutere sulle cose positive e negative passate, cercando di continuare a fare del bene anche nella nostra città.
Discutiamo anche con don Nicola per vedere se siamo pronti a partecipare ad un altro campo. E' molto importante fare quello che dice don Nicola, lo dobbiamo fare per gli altri e non per noi.
Diana Lazãr, Brezoi
Ho accettato subito la proposta di partecipare, appena ho saputo che c'era un campo di lavoro, di preghiera e di vita comunitaria. Sono convinto che ho potuto aiutare il mio prossimo.
Non mi son tirato indietro quando ho dovuto aiutarlo. Il programma, a volte duro, non è un modo di vita per alcuni di noi, ma sono convinto che ripetendo e rispettandolo potremo costruire un edificio, ma anche edificare il nostro spirito. Per questo bisogna accettare l'amore di Dio, per poterlo valorizzare aiutando il prossimo quando ha bisogno. Ho incontrato alcune persone piene di ospitalità e di calore e ho visto con i miei occhi che il mondo senza amore è egoista.
Eugen Stefànesu, Bucarest
Ho partecipato per la prima volta ad un campo di lavoro. Abbiamo cercato di costruire l'unità e personalmente ho cercato di essere vicino a tutti. Per me è stato un piacere questo campo dove i giovani di Brezoi, Oituz, Bucarest e gli svizzeri hanno potuto lavorare insieme per costruire materialmente ma soprattutto spiritualmente.
Ibi Pal, Bucarest
E' la prima volta che partecipo al campo di lavoro in Romania. Un'esperienza che mi ha sicuramente colpito positivamente. Ora che sono tornato a casa già intravvedo in me un certo cambiamento, come ad esempio l'essere meno egoista e più paziente.
Ogni giorno durante il campo veniva messa alla prova la tua disponibilità verso gli altri. Per me, cosa non facile visto il mio carattere, a volte egoista e impaziente. Ma il periodo vissuto sta portando piano piano i suoi frutti. Un'esperienza vissuta non solo nel lavoro, ma anche nella preghiera e nel divertimento, come una grande famiglia. Ringrazio il Signore per questa condivisione con gli amici romeni e ticinesi. Vorrei invitare anche altri giovani a vivere questa esperienza. Lavorando si, ma con gioia e consapevoli di fare qualcosa di utile per gli altri ma anche per noi.
Henry Bassi, Lugano
Questa esperienza di lavoro, non facile, alternata a momenti di preghiera e meditazione in comune mi ha molto arricchita. Vivere per 2 settimane assieme a gente genuina, spontanea, pronta a qualsiasi collaborazone, senza nulla chiedere, mi ha portata a riflettere molto sulla qualità del modo di vivere. Le 2 settimane vissute in Romania sono servite a rafforzare in me la convinzione di quanto sia bello e gratificante poter offrire la propria collaborazione per miglirare le possibilità di vita di una situazione per certi aspetti meno facile della nostra.
Sara Matasci, Stabio
Questa è stata la mia secondo esperienza in Romania. Quest'anno eravamo pochi ticinesi. Questo potrebbe sembrare un fatto negativo, invece è il contrario perchè sempre più numerosi sono i giovani romeni intenzionati a partecipare a questi campi di lavoro. Quattro anni fa è stato gettato il seme, anche su invito del Vesovo Eugenio Corecco che sentiva nascere l'esigenza di un'apertura verso la Chiesa dell'Est.
Il seme gettato ha portato i suoi frutti là in Romania, ma anche nei nostri cuori.
Ogni esperienza di campo tra giovani, insegna a crescere e maturare nella fede.
Quest'anno hanno partecipato giovani di Brezoi, di Bucarest, di Oituz, una quarantina di volonterosi a seguire il Signore.
Siamo stati alloggiati nelle famiglie a differenza dell'anno scorso, questo comportava maggior responsabilità in tutti quanti, ad esempio, per arrivare in tempo agli appuntamenti previsti dal programma.
Al contrario l'anno scorso alloggiando tutti nella medesima casa, era più "facile" seguire il gruppo.
Il lavoro svolto era molto più pesante rispetto all'anno scorso, abbiamo lavorato il triplo.
I lavori erano i seguenti :
- spianare una serie di mucchi di ghiaia grossa per sistemare una strada
- trasportare terra con le cariole, pe rla sistemazione di un piccolo parco al centro di Oituz
- lo scavo per le fondamenta del dispensario, con attrezzi non sempre funzionali
Il lavoro era faticoso ma non pesava perchè tra noi c'era unità e collaborazione.
La decisione di tornare al campo di lavoro in Romania è nata perchè l'anno scorso, pur essendo partito per fare volontariato, ho trovato degli amici romeni. Quest'anno ho quindi deciso di tornarci per reincontrare tutti quanti e vivere un'altra esperienza di volontariato in questo Paese.
Come in ogni angolo del mondo dove mancano le comodità c'è più cuore ed umiltà. I romeni non hanno niente materialmente e ti danno tutto spiritualmente, ci fanno capire che il gesto di andare nel loro Paese a dare una mano è veramente importante per loro. Durante questi campi nascono amicizie, che seppur lontane ci fanno sentir vicini ed uniti nel Signore.
Paolo Frigerio, Morbio Inferiore
La mia esperienza romena è cominciata un po' per caso, non ero infatti a conoscenza che Caritas Ticino organizza da alcuni anni questo tipo di campi, è stata la telefonata di una conoscente che mi ha indirizzato verso questa possibilità.
La prima stupenda emozione l'ho vissuta durante la celebrazione della Prima Comunione a Brezoi, durante la sosta nel viaggio d'andata. Ho intravvisto nei volti dei bambini la felicità nel trascorrere un giorno con noi.
Ad Oituz eravamo ospitati dalla famiglie locali, facendo in modo di avere giovani romeni che parlassero italiano, con i ticinesi. Il rapporto che ho instaurato con la famiglia in cui ero alloggiato è stato subito fantastico. La signora che ospitava il nostro gruppetto, ci ha accolti come membri della sua famiglia ci offriva più di quanto disponeva. Questa mentalità si riscontrava in tutte le famiglie ospitanti. E' davvero incredibile, come queste persone pur povere dal lato materiale, siano ricchissime da quello umano.
Il lavoro svolto, assestamento di una strada, scavo per le fondamenta dell'ambulatorio, è stato molto duro. Sia il clima torrido che i mezzi a disposizione hanno creato non poche difficoltà. Comunque con l'ambiente e l'affiatamento venutosi a creare, anche il lavoro più duro pareva un gioco bello e divertente, infatti si lavorava spesso cantando.
Durante il campo abbiamo avuto anche momenti di divertimento, come ad esempio il bagno nel Mar Nero sulle spiagge di Mamaia e Constanza e di vita comunitaria con le famiglie di Oituz, come la visita all'antica città romana di Istria, seguita da un piacevole pic-nic.
Nel villaggio di Oituz ci si incontrava la sera in un piccolo bar con annessa "discoteca", dove ci si scambiavano le varie esperienze.
Un obiettivo del campo era quello di far sentire al Signore, tramite la preghiera, la nostra presenza. Sin dal giorno della partenza ero un po' preoccupato per quest'aspetto, essendo appunto questa la mia prima esperienza. All'inizio è stata molto dura. L'andare a Messa tutti i giorni, il pregare intensamente il Signore, non era e forse non è nelle mie abitudini. Con il passare dei giorni, grazie anche all'aiuto ed all'insistenza di tutti, andavo più o meno a Messa. Mi accorgevo che, anche se non pregavo nel modo "esatto", la mia presenza in chiesa era molto importante più per gli altri che per me stesso. Devo comunque dire un grosso GRAZIE a tutti per l'aiuto che mi è stato dato.
Lorenzo Trenta, Claro
Campo internazionale di formazione a Ricknov, Rep. Ceca
Ventisei giovani provenienti da diverse parrocchie della nostra diocesi hanno partecipato ad un campo internazionale di formazione di animatori di pastorale giovanile. Al campo erano presenti 400 giovani di dieci paesi europei.
E' la seconda volta, dopo l'esperienza positiva dello scorso anno in Slovacchia, a Blahowa, che viene proposto un incontro di formazione di questo tipo.
Relatore di queste giornate è stato Mons. Renato Boccardo segretario della sezione giovani del Pontificio Consiglio per i Laici. Le tematiche del campo erano: il rapporto tra la Chiesa ed il mondo contemporaneo, la figura dell'animatore ed il suo compito pastorale. Ecco alcune testimoniaze.
Sono venuto per approfondire la mia vita con Dio, per accrescere la mia fede. Sono andato anche l'anno scorso a Blahowa, mi è piaciuto tantissimo e ho voluto ritornare anche quest'anno a Ricknov.
Quando ritorno a casa, nella mia vita di studente porto alle persone che vivono con me la gioia di vivere un'esperieza di fede, la gioia che provo quando sto con questi amici. Cercherò di trasmettere cosa significa essere animatore, perché è importante aver fiducia in Dio. Desidero fare sempre di più la volontà di Dio, cioè amare gli altri così come sono, nel quotidiano.
Marius, Romania
Mi piace lavorare con i bambini, con i giovani in generale. Qui ho capito che i giovani quando sono uniti possono fare molto, mi è bastato cantare una canzone tutti insieme per percepire questa grande forza. Il valore del gruppo è fondamentale. Bisogna avere i piedi per terra, cioè fare attenzione prima di tutto ai propri bisogni, non agire come dei pecoroni, ma scegliere con attenzione, confrontandosi con chi è più in avanti nel cammino di fede. Dobbiamo agire insieme, non partire per la tangente, ma portare avanti un progetto di comunione, nella preghiera, nella formazione...
Per essere dei veri cristiani bisogna testimoniare con la vita, non soltanto con delle belle parole. Nel mio paese per esempio sono confrontata con molti cristiani ortodossi, i quali hanno una cultura ed una mentalità molto diversa, quindi i discorsi teorici non fanno che creare incomprensioni e divisioni.
I cristiani convinti sono sempre una minoranza, a scuola è un miracolo trovarsi in due, quindi è importante vivere il presente con intensità. Cerco sempre di essere una presenza per gli altri, una piccola "luce". Insieme questa luce diventa più forte. Non importa se gli altri non capiscono, importante è testimoniare che c'è un modo di vivere diverso, non solo il bar o la discoteca. Nei paesi dell'est è arrivata la TV, quasi tutti l'hanno, anche i più poveri e questo peggiora i rapporti con le persone, perché adesso la gente preferisce starsene a casa invece che parlare e affrontare i problemi insieme.
Nel mio paese mi occupo del settore caritativa, vado negl'ospedali con piccoli gruppi per trovare gli anziani. E' bello donarsi gratuitamente a chi ha bisogno, anche ,semplicemente, cantando insieme.
In questi giorni ho capito l'importanza del silenzio, come momento di riflessione, di comunione con Dio, per poi fare le scelte giuste. I paesi dell'Est hanno conquistatato la libertà economica, materiale, adesso bisogna conquistare la libertà interiore. Vanno ringiovaniti i cuori delle persone, oppressi da decenni di comunismo.
Agata, Romania
Sono venuta perché sento il bisogno di formare e vivere la Chiesa universale, qui ci sono giovani provenienti da diverse nazioni. Essere animatori è una grande responsabilità, per me vuol dire prendere per mano un raggazzo e condurlo in un'esperienza concreta di Chiesa viva. Educare per me significa guardare l'altro con amore, come un fratello e poi trasmettergli ciò che hai imparato, che hai già vissuto.
Ho capito che devo guardare la realtà che mi circonda, non sognare il paradiso terrestre o tendere verso ideali utopistici, ma essere prima di tutto "sale e luce" per il mondo che mi circonda, cioè nel mio quotidiano.
Daisy Zucchi, Lugano
Volevo fare un'esperienza diversa, non la solita vacanza di rilassamento, ma qualcosa che potesse servirmi nel quotidiano. Sentivo il bisogno di un arricchimento interiore. Qui ho potuto confrontarmi con molti ragazzi ed imparare da loro. E' bello vedere che altri giovani fanno il tuo stesso cammino, quindi ci si sente meno soli, soprattutto nelle difficoltà.
Essere animatori vuol dire condurre gli altri e rispettare i loro tempi, avere pazienza, come Dio ha pazienza con noi. Ma prima di tutto è necessario rispondere seriamente alla domanda: che senso ha la mia vita?
Zita Gabaglio, Monte
Ho ricevuto la proposta durante la giornata del Tamaro e mi è sembrata un'occasione d'oro per crescere nella mia vita. Gesù è presente in mezzo a noi, perché c'é una grandissima gioia in tutto quello che facciamo. L'Europa unita non è un sogno, ma è possibile se ognuno riscopre la propria fede, cioè le proprie radici in Cristo. Nelle persone dell'Est ho notato una grande umanità, sono semplici e aperti.
Valeska Spinelli, Arogno
Qui c'è la Chiesa viva, cioè si vive insieme a degli amici e si percepisce che c'è Gesù in mezzo a noi e si ha la voglia di comunicarlo anche agli altri. Il pericolo è quello di vivere qualcosa di bello e poi tenerselo per se. Ma la fede non è vera se non diventa annuncio. Questa esperienza è però fortissima, più del pericolo di dimenticare.
Nella mia realtà in Ticino, vivo l'esperienza di Azione Cattolica, ed in questa realtà sento di crescere, percui posso affermare senza ombra di dubbio che c'è una Chiesa viva.
Sento anche il bisogno di annunciare la dove la realtà è più fredda e più ostile, anche se è più difficile. La missione non riguarda solo un ristretto gruppo di "professionisti" ma tutti indistintamente devono contribuire, soprattutto noi laici, che viviamo a diretto contatto con le diverse realtà del mondo. Nella mia vita vuol dire prima di tutto essere disponibile per gli altri, non soltanto quando ne ho voglia, ma sempre, anche con chi non vado daccordo.
Roberto Stefanini, Minusio
Unità tra fede e vita per me significa che tutto ciò che il Signore mi dice, attraverso il Vangelo, o le persone che mi sono accanto devo sempre metterlo in pratica, nel quotidiano, cioè devo imparare a superare il mio egoismo. In questa esperienza mi hanno segnato soprattutto gli incontri, le amicizie che ho costruito. Mi sembra di averla vissuta bene questa settimana, perché non mi sono lasciata prendere dalla mia pigrizia, ma ho vissuto sempre con gli altri, fino in fondo.
Vivere il Vangelo è difficile, perché Cristo è esigente, ma è bellissimo, ed è l'unico modo per cogliere la vita fino in fondo e non sprecare niente.
Claudia Brazzola, Castel S. Pietro
Volontariato a Calcutta con Madre Teresa
Sembra facile scrivere una testimonianza su un'esperienza così ricca come quella che ho vissuto in India, in realtà non è così semplice descrivere tutte le emozioni che ho provato, penso proprio che bisogna viverle per poterle capire fino in fondo senza cadere nel banale.
Il primo impatto con l'india è stato a dir poco scioccante. Dopo un viaggio estenuante di 15 ore sei catapultato, dall'aereoporto in una torre di Babele grandissima, caotica, sporca e puzzolente. Il viaggio in taxi, un trauma, ogni istante ti sembra di investire qualcuno o qualcosa, poi finalmente arriviamo al nostro alloggio; per i parametri indiani un oasi di bellezza per quelli svizzeri non proprio, ma comunque dignitoso.
La sera stessa ci siamo recati alla Casa Madre delle suore di Madre Teresa di Calcutta, per l'adorazione eucaristica comunitaria. Una grande sala spoglia piena di suore e novizie, inginocchiate tutte in fila, ordinatamente, che pregano con una leggera cantilena sgranando il rosario davanti al Santissimo. La cosa che più ti colpisce è che dalle numerose finestre giunge il rumore assordante della strada (motori, clacson, urla) ma in quell'oasi di pace e serenità quel casino ti sembra solo un eco lontano che non disturba.
Ho lavorato per tutte e due le settimane in una delle tante strutture di Madre Teresa, a Calcutta, un orfanotrofio dove sono ospitati 357 bambini, per la maggior parte orfani divisi in quattro sezioni, io era assegnata a quella dei bambini andicappati non tubercolotici. C'erano circa 40 bambini per la maggior parte completamente dipendenti per tutto: dal mangiare, al vestirsi, al pulirsi.
I primi giorni non sai bene cosa fare, sei quasi d'intralcio, non capisci come devi comportarti e la lingua diversa non ti aiuta per niente, ma ci sei ed è già una cosa molto importante per tutti quei bambini. Poi giorno dopo giorno vieni coinvolta nel lavoro, o forse dovrei dire ti apri al lavoro e partecipi a quasi tutto, dal lavaggio dei bambini al mattino, che sembra una catena di montaggio, ma che alla fine lascia tutti i bambini puliti e profumati, al dare da mangiare ai bambini che senza dubbio è la cosa psicologicamente più difficile. Come far capire ad un bambino immobile in un letto che deve mangiare per vivere? Come invogliarne un altro quando a me quella poltiglia giallognola a base di riso e verdura mi faceva quasi ribrezzo? Come non perdere la pazienza quando per trangugiare una mezza scodella di pappa ci mettevano un ora, un ora e mezza? La forza per continuare ce la davano senza dubbio le suore o le donne indiane volontarie della casa che quando vedevano un tuo piccolo segno di sconforto ti mandavo un sorriso, era il loro modo per infonderti coraggio e forza.
La cosa che più mi ha colpito in tutte le case di Madre Teresa è certamente la tranquillità, la serenità che traspare, fuori il caos più totale dentro la calma e tutte le persone che entrano ne sono subito coscienti e rispettano questa regola mai detta con un rigore impressionante.
La prima settimana è passata come un sogno, sembrava che tutto fosse irreale mentre nella seconda tutto è diventato più vivo, più vero. Non era un lavoro, un compito quello che stavo facendo, era un essere me stessa, i bambini erano veri, con le loro emozioni. In quei momenti mi sono resa conto che tutti gli uomini sono amati dal Signore, ma che solo chi ha la grazia di accorgersene può donarlo agli altri. Non volevo tornare a casa, almeno non così presto, la vita mi sembrava più semplice in India, ma restare là sarebbe stata una fuga da una realtà difficile, la mia vita invece è qui, nella mia situazione particolare ed è qui che devo essere testimone anche se può sembrare più difficile.
Una domanda che mi faccio spesso è questa: se io non fossi andata in India tutti i bambini a cui sono stata vicina avrebbero continuato la loro vita senza nessun "intralcio", non avrebbero conosciuto gesti d'amore così lunghi come quelli che io potevo dare loro essendo una volontaria a tempo perso e non si sarebbero abituati ed affezionati alla mia presenza, ma allora il nostro operato in India è stato in realtà un ostacolo al lavoro delle suore Missionarie della Carità che pur facendo una cosa grandissima non si possono permettere le coccole e i vizi? No, non voglio crederlo, non voglio pensare che io sia andata in India solo per un mio bisogno di "fare del bene", perchè sarebbe una forma sottile di egoismo in cui io non mi immedesimo. Penso invece che quei bambini hanno ricevuto per alcuni giorni un po' più di coccole del solito in preparazione di quelle che gli darà la futura famiglia di adozione.
Adesso che sono passati alcuni mesi dal mio viaggio mi chiedo spesso cosa è stato, cosa ha significato per me questo viaggio in India, una cosa è certa mi è servito per capire che il significato della carità e il peso che essa deve avere nella mia vita non deve essere unicamente quella di un'attività che io faccio, ma bensì deve coincidere con una testimonianza continua dell'amore di Dio nella mia vita. Con l'obiettivo che così facendo la comunità in cui io vivo diventi sempre di più comunione, lo sviluppo più bello che un'avventura umana può avere.
Michela Bricout, Paradiso
Dopo un rosario recitato con un gruppo di giovani di Azione Cattolica, ho deciso di andare a Calcutta a fare del volontariato.
Una mia amica, Olga, era già stata a Calcutta l'anno scorso con Don Pietro Borelli che già da tre anni organizzava il viaggio. Quest'anno però aveva altri programmi e così io ed Olga ci siamo decisi a proporre questa esperienza con l'aiuto anche degli altri partecipanti. In tutto 19 persone. Raccolti medicinali, vestiti e giochi siamo partiti carichi di molte valigie.
Quello che mi preoccupava laggiù pensavo fosse il lavoro nelle case di Madre Teresa. Scelsi di partire e di andare a lavorare nell'ospedale Pran Dam, una casa di soli adulti, perché credevo di non potercela fare con i bambini. Invece una volta arrivati a Calcutta ecco che la suora incaricata di suddividerci nelle varie case dove c'era più bisogno di volontari in quel momento cercava 5 persone senza sapere quale sarebbe stata la casa dove si sarebbe dovuti andare a lavorare. Io mi annunciai senza neanche pormi il problema, in quel momento mi affidai completamente al Signore. La mia preoccupazione sembrava essere svanita. Ho lavorato in una casa che si chiama Nabo Jibon (che vuol dire Nuova Vita), con ragazzi andicappati, mentali e fisici.
A parte lo choc iniziale nel vedere le condizioni di miseria in cui vivono, è stata un'esperienza spiritualmente fortissima dove finalmente mi sentivo utile fino in fondo, donandomi totalmente agli altri per amore di Cristo. I lavori da svolgere in quella casa erano i seguenti: dare da mangiare, imboccare i ragazzi, metterli sul "gabinetto" (cioè su una panchina con un buco), lavarli con la canna dell'acqua, asciugarli, rivestirli, portarli a passeggio o intrattenerli con qualche semplice gioco.
Era faticosissimo soprattutto per il clima caldo umido che t'ammazza, si suda in continuazione per tutto il giorno. Esci dalla doccia e sei sudato di nuovo, come se non si fosse fatta.
La Casa Nabo Jibon era la più lontana dal nostro alloggio, al di là del fiume Gange, bisognava prendere due bus, e fare mezz'ora a piedi per arrivarci. La maggior parte dei volontari in questa casa vanno a lavorare per uno o due giorni poi ci rinunciano per la lontananza. Io e chi lavorava con me abbiamo lavorato a Nabo Jibon per quindici giorni, il tempo del nostro soggiorno a Calcutta. Avremmo potuto girare le case e rimanere tre giorni per casa, ma tale programma mi sembrava troppo turistico rischiavo di non vivere pienamente il mio soggiorno spirituale e di volontariato a Calcutta.
Gli incontri con Madre Teresa sono stati per noi una grazia continua, visto che non credevamo prima della nostra partenza di poterla incontrare con certezza.
Ogni sera l'abbiamo incontrata assieme a tutte le trecento suore e i volontari durante l'Adorazione. Là si vedeva la fede di questa donna meravigliosa e del Disegno di Dio su di lei e sulle sue sorelle.
Là anche un cieco avrebbe aperto gli occhi e si sarebbe accorto che lì non poteva che esserci il Signore, per poter vivere così di carità con semplicità e tanta fede. Queste suore che ogni giorno si inginocchiano davanti al Santissimo per due ore testimoniavano da dove prendevano tanta energia fisica e spirituale.
Madre Teresa ha voluto incontrarsi con il nostro gruppo e parlarci brevemente. Ci ha raccontato che le suore fanno i voti di castità, di obbedienza, di povertà e di servizio ai poveri. Poi Don Mirko (residente in Ticino a Giubiasco come vicario) ha chiesto a Madre Teresa cosa era scattato cinquant'anni fa quando ha iniziato il suo operato a Calcutta. Ecco che Madre Teresa risponde semplicemente girandosi verso l'altare e indicando con il dito indice il Tabernacolo della Cappella.
Quello che ho scritto dall'inizio fino ad ora sono soltanto belle parole, ma per capire veramente la realtà indiana bisogna andare sul posto. Sentire gli odori, vedere con i propri occhi e viverci per un vero periodo.
La mia amica Olga che era stata anche l'anno scorso ha passato un anno a raccontarmi la sua esperienza. Erano belle parole e bei discorsi, laggiù le ho detto che però erano serviti a poco perché per capire bisogna toccare con mano.
A soli quattro giorni dal rientro da Calcutta alla nostra realtà, sono ripartito con Caritas Ticino verso Oituz (paese a venti chilometri dal Mare Nero), per un campo di lavoro in Romania.
Cosa porto a casa dopo un mese di volontariato?
Sicuramente tanta malinconia e nostalgia di voler rifare al più presto un'esperienza simile e soprattutto ho imparato, donandomi agli andicappati ad avere più pazienza; questa pazienza acquisita mi serve con le persone che qui mi circondano nel mondo del lavoro.
Ho anche capito che la fede è un dono, è unica e che se la si perde è difficile e più faticoso riavvicinarsi al Signore anche se Lui ci perdona, è come riavvicinarsi su un monte per poter rivedere il Panorama.
Concludo con una preghiera breve di Madre Teresa:
il frutto del silenzio è la preghiera
il frutto della fede è l'amore
il frutto dell'amore è il servizio
il frutto del servizio è la pace
Paolo Frigerio, Morbio Inferiore