Icona: un mondo di bellezza e di fede
In copertina l'icona della Natività: la contemplazione del bello che avvicina a DioDi Dani Noris
Icona , dal greco Eikon, significa immagine, somiglianza. L'icona è l'immagine di Cristo, della Vergine Maria , di un santo, di un angelo, di un mistero divino, dipinta su una tavola di legno, in modo conforme alle norme prescritte dalla tradizione dei Padri.
Il valore dell'icona non sta nella sua bellezza in quanto opera artistica ma in ciò che rappresenta, immagine della bellezza - somiglianza divina.
Per l'oriente l'icona è l'immagine che testimonia la presenza della persona raffigurata, permette l'incontro con la preghiera e la comunione spirituale con essa.
Le icone hanno le loro radici nel Vangelo e nella Liturgia, erano la base della formazione cristiana del popolo, per questo motivo la pittura delle icone era sorvegliata dai vescovi.
Lo "Stoglav", o libro del Concilio dei Cento Capitoli che si era riunito sotto lo zar Ivan IV, dava delle indicazioni precise sul come porsi di fronte all'arte del dipingere: "Dipingere per guadagnare del denaro non può essere uno scopo. Non si può assegnare l'arte di dipingere l'immagine di Dio a colui che la disonora. Non bisogna che la sua inettitudine sia un'offesa a Dio. Le icone sono fatte per la Gloria di Dio, quindi anche se uno fosse giudicato abile nell'arte di dipingere, se non conduce una vita pia non bisogna permettergli di dipingere."
I monasteri fissarono per iscritto le loro tradizioni in manuali ai quali l'ortodossia è rimasta fedele. Un manoscritto greco del Monte Athos (la montagna con numerosi monasteri in cui si svilupparono molti talenti) descrive il metodo pratico che deve seguire il pittore di icone: Colui che vuole lanciarsi nell'arte di dipingere le immagini religiose deve dimostrare innanzitutto, con alcuni esercizi, di averne la vocazione....Che preghi allora con lacrime perché Dio penetri la sua anima. Che vada infine da un prete affinché preghi su di lui e reciti l'inno della Trasfigurazione".
La Chiesa consigliava di dipingere come prima icona la Trasfigurazione affinché, esercitando questa arte tanto bella, il Cristo risplendesse nell'anima. Il lavoro dell'iconografo si confondeva con la sua vita in Dio, questa santificava il suo lavoro e il lavoro era la via della sua santificazione.
"Dipingi nella preghiera e allora la tua icona potrà trasmettere qualcosa agli altri. Pensa che un angelo si trova costantemente accanto a te, che guarda e si stupisce che un uomo possa rappresentare il Dio eterno. Prega perché le tue mani siano sempre pure".
Ma la preghiera non basta, é necessaria la pratica e l'insegnamento, in proposito lo "Stoglav" da ancora delle regole: "Dopo la preghiera, cerca di conoscere bene le regole delle figura da rappresentare con la pittura. Cerca per questo innanzitutto un buon maestro - cerca nelle chiese delle buone copie che proverai a riprodurre - ma sempre con timore di Dio, perché è un'arte divina".
Per il popolo cristiano d'Oriente, l'icona era la testimone di tutte le circostanze della vita, davanti a essa venivano poste le gioie e i drammi umani dalla nascita alla morte.
Alla nascita di un bimbo veniva talvolta fatta dipingere un'icona della grandezza del neonato, al momento del matrimonio gli sposi portavano nella loro casa la benedizione paterna, ossia l'icona con la quale i genitori l'avevano benedetta prima di recarsi in chiesa. L'icona veniva data ad un ragazzino che la portava sul petto, all'inizio del corteo nuziale e veniva posta sull'iconostasi durante la celebrazione del sacramento.
Anche prima di una partenza o di una lunga separazione, per esempio quando un figlio o il marito partivano per la guerra era davanti all'icona che si separavano dalla famiglia e ricevevano la benedizione. E alla morte è ancora l'icona che viene posta fra le mani del defunto accompagnandolo nella bara fino alla chiesa e alla tomba.
Simbolo della presenza divina e della benedizione della Chiesa nella propria casa, anche nell'isba più povera, l'icona aveva il posto d'onore, che veniva chiamato "angolo della bellezza". Generalmente era l'angolo destro della più bella stanza, dove si ricevevano gli ospiti. L'ospite che arrivava, cercava con lo sguardo l'angolo dell'icona e si inchinava dicendo per tre volte" Signore abbi pietà di noi" e in seguito salutava il padrone di casa. Prima si rendeva onore alle icone che rappresentavano la presenza di Dio invisibile, gli onori resi agli uomini venivano dopo.
L'importanza dell'icona non è però qualcosa legato a un passato; essa continua ad avere il suo posto d'onore per il fatto di essere un simbolo che unisce l'aldilà all'aldiqua.