A scuola di carità State buoni ..., se potete a. collaborare , per quanto possibile, con chiunque per attuare qualche opera buona; b. evitare che questa collaborazione nasconda la verità sull'uomo e sul mondo, che Cristo insegna; evitare cioè si scivolare nel buonismo Di don Giuseppe Bentivoglio Assistiamo negli ultimi anni alla diffusione del "buonismo". Di che si tratta? In che cosa consiste? Consiste, almeno fenomenologicamente, nella disponibilità ad aiutare il prossimo, ad essere solidali con chiunque. La persona "dabbene" è sempre disposta a fare qualcosa per gli altri: ascolta le tue ragioni, rispetta le tue scelte, nasconde o in qualche modo sfuma la sua identità, se tale identità dovesse creare in qualcuno animosità e scontento. Ci viene detto: in questo mondo le ingiustizie dilagano, la violenza, l'intolleranza e l'indifferenza sembrano avere il sopravvento.... TU devi fare qualcosa: ridurre al minimo le animosità, mostrare in ogni occasione una grande accondiscendenza, essere pronto ad aiutare chiunque senza giudicare nessuno....; appena possibile chiudere un occhio, meglio se entrambi. Ci chiediamo: il buonismo può essere condiviso da chi è cristiano? Apparentemente sembra che non ci siano ostacoli in tal senso. Tuttavia se riflettiamo più attentamente, ci rendiamo conto che il buonismo nasconde alcuni equivoci, che è necessario mettere in evidenza. 1. Chiediamoci innanzitutto: "Quando una persona è buona?" La domanda è necessaria. Infatti, se voglio essere buono e agire di conseguenza, debbo sapere quali sono le condizioni per esserlo. Nel vangelo di Marco leggiamo: "Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?" Gesù gli disse: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo" (10,17-18). Innanzitutto: perché Dio è buono? Risposta: perché egli è la verità. Non esiste alcuna bontà separata dalla verità. Quindi nessuno è buono se è indifferente alla verità, se non la cerca e non la desidera, se nega la sua esistenza. Se vogliamo essere buoni, la prima cosa da fare, allora, è osservare Dio, renderci conto della sua bontà. Nessuno - dice Gesù - è buono; lo dobbiamo diventare imitando la bontà di Dio. Ma questa bontà è Cristo. In lui la bontà di Dio può essere conosciuta, più precisamente può essere incontrata e seguita. E di essa possiamo fare esperienza. Tuttavia, imitare Dio, seguire Cristo, diventare buoni, non è possibile senza la grazia di Dio, senza il suo Spirito. Per questo Dio ci rende buoni, rende ognuno capace di imitare la sua bontà. Egli ci cambia mediante Cristo. la bontà di Dio cioè Cristo, ci rende buoni e capaci di fare il bene. Questo è il motivo per cui Cristo rivolge al suo interlocutore un invito: "Vieni e seguimi" (1,21). E' il rapporto con Cristo che ci rende buoni e contribuisce a rendere buono quel che facciamo. Riassumendo: a) la bontà é Dio e Cristo è la sua rivelazione; b) egli ci rende buoni. La pretesa di essere buoni senza conoscere la verità e obbedire ad essa e senza accogliere la Grazia di Dio nasconde il rifiuto di Cristo. Egli viene ridotto a semplice esempio. La prima lettera ai Corinzi dice, al contrario, che "l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita" (15,45). E' lo Spirito di Gesù a cambiare il cuore dell'uomo, a renderci buoni. Lo Spirito dà ad ognuno la possibilità di vivere una vita nuova ovvero la stessa vita di Gesù e rende ognuno "conforme all'immagine" di Cristo (v.Rom 8,29) 2. Questa pretesa caratterizza il nostro tempo. Essa ha origini lontane. Possiamo dire che la modernità porta con sé questa scommessa: "Non c'è bisogno di Gesù per essere buoni e della fede in lui per essere giusti". I valori possono essere ugualmente vissuti, il mondo può essere cambiato, la società può essere migliorata, anche se prescindiamo da Cristo. Egli resta un esempio e niente più. Questa scommessa può essere vinta - è stato detto e viene ancora detto - mediante la ragione e la volontà, che ha in sé l'energia necessaria ad attuare i dettami della ragione. L'ottimismo della ragione e della volontà, che agiscono autonomamente, resta un dogma laico, nonostante il fatto che dolorosi e drammatici avvenimenti lo abbiano contraddetto e ancora lo contraddicano. Anche se alcune voci incominciano ad avanzare qualche dubbio in merito, il presupposto dell'educazione familiare e scolastica resta questo: chiunque può vivere in ogni circostanza i valori che sono universalmente riconosciuti, può essere in altre parole giusto e buono, purché lo voglia Il buonismo, a ben vedere, rilancia la scommessa. Lega i valori, ad esempio la generosità, la solidarietà, l'altruismo, non alla verità che è Cristo, ma al sentimento, il quale nel vuoto in cui viene a trovarsi ha bisogno di essere in qualche modo alimentato. Come? Mediante qualche spettacolo capace di commuovere chi guarda. Numerose sono le trasmissioni e i filmati che rendono il bisogno e la sofferenza degli altri spettacolo. Lo spettacolo convince lo spettatore che in questo mondo bisogna fare qualcosa per gli altri, bisogno essere generosi, ecc. Se faccio una buona azione, sono buono: la moralità è assicurata. In questo modo il buonismo addormenta la coscienza, perché non solo riduce la moralità a buona azione, ma rende inutile la conversione, ovvero quell'attaccamento al vero che attua il cambiamento di sé. Dice Gesù nel vangelo di Giovanni: "Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Gv 15, 4-5-). La comunione con lui è indispensabile perché la persona diventi buona e possa compiere opere buone. In altre parole, non b asta fare opere buone per essere buoni! E nello stesso tempo l'opera è veramente buona se restiamo uniti a Cristo e in quel che facciamo gli rendiamo testimonianza, rendiamo testimonianza alla bontà e verità che egli é. Il buonismo, invece, prescinde dal cuore che ognuno ha, prescinde dalla mia identità, volutamente ignora che la persona, se intende essere buona, deve obbedire alla verità. Il buonismo, a ben vedere, non tiene conto della persona che agisce, anzi allontana da ogni seria domanda circa la moralità e le condizioni di essa. Il buonismo dimentica la persona. 3. Se diventiamo buoni perché il cuore è stato cambiato dalla verità, i valori acquistano una prospettiva nuova, non vengono parzialmente vissuti o peggio ancora deformati, come oggi il più delle volte accade. Ad essi possiamo restituire il significato originale. Così facendo, non diventiamo complici di un progetto, che mediante il buonismo l'ideologia dominate persegue. Quale? Il progetto di convincere gli uomini che, essendo inevitabile la confusione delle lingue, il disorientamento dell'esistenza, il rifiuto della verità, la ristrettezza degli orizzonti, l'inadeguatezza dei rapporti, il relativismo morale,... restano i buoni sentimenti, le buone maniere e alcuni valori ai quali come naufraghi aggrapparci. Va da sé che è la stessa ideologia a dire quali sono i valori e a dare ad essi i contenuti che vuole. Ognuno, perciò, essendo convinto della positività dei valori suggeriti, non si accorge di fare il gioco altrui. Il cristiano, la cui identità viene dalla fede e la cui esperienza possiede una inevitabile originalità anche culturale, deve prendere sul serio l'invito di Cristo ad essere "prudenti come i serpenti e semplici come le colombe" (Mt 10,16). Infatti, occorre nello stesso tempo: a. collaborare, per quanto possibile, con chiunque per attuare qualche opera buona; b. evitare che questa collaborazione nasconda la verità sull'uomo e sul mondo, che Cristo insegna; evitare cioè di scivolare nel buonismo. Riguardo al buonismo, è chiaro che esso non può sostituire la bontà e la carità, così come sono state testimoniate da Cristo e da millenni di storia cristiana. Esso è senza dubbio una caricaturA della bontà e un tradimento della carità: infatti Cristo ha insegnato che la carità consiste nell'accogliere l'altro, come conseguenza del fatto di essere stati accolti da Dio in Cristo, e che tale accoglienza deve accompagnare ogni uomo a fare esperienza della verità, che non va taciuta, ma sempre detta. Come, in fondo, la parola stessa dice, il buonismo è una caricatura della bontà, è l'ennesima deformazione di quella carità che per essere tale non può ignorare la verità ma deve essere alimentata da essa. 4. Voglio concludere facendo un esempio di buonismo, un esempio preso da recenti fatti di cronaca. Qualche settimana fa alcuni gruppi giovanili hanno occupato a Viganello uno stabile per sensibilizzare l'opinione pubblica al bisogno, che alcuni settori giovani hanno, di avere spazi da autogestire. Le reazioni, che abbiamo potuto leggere sui quotidiani, sono state diverse. Alcune di queste reazioni erano e sono giustamente preoccupate di capire le esigenze giovanili e di venire incontro ad esse. Tuttavia, in alcuni casi appare evidente il cedimento al buonismo. L'attenzione alle esigenze dei giovani, il desiderio di valorizzare queste esigenze, l'ascolto delle loro richieste, erano privi di un giudizio, che andasse al di là del solito giovanilismo, il quale per principio accondiscende a tutto ciò che i giovani dicono e fanno. Nella migliore delle ipotesi a questa accondiscendenza scriteriata s'accompagna qualche raccomandazione e qualche suggerimento. Non c'è traccia di un giudizio, inteso come contributo dato ai giovani perché colgano aspetti dimenticati della loro esperienza e tengano conto di prospettive, pericoli e fraintendimenti sempre in agguato. Voglio dire che molti pensano di essere buoni, di rispettare gli altri (in questo caso alcuni giovani) di agire con carità, solo perché difendono e giustificano emotivamente, sentimentalmente, romanticamente, le scelte di questi giovani, invece di volere il loro bene e quindi dire anche cose spiacevoli. E questo in nome di quella verità, di cui il cristiano fa esperienza; una verità che riguarda l'uomo e quindi aiuta ad avere uno sguardo diverso sull'uomo e sui bisogni autentici che egli ha. Il buonismo coccola i giovani, la carità li tratta da uomini e prende sul serio il loro cuore, anche se, così facendo, corriamo il rischio di incontrare incomprensioni e ostilità. Il buonismo é, dove più, dove meno, paternalista, la carità (o bontà) testimonia, invece, una fedeltà all'uomo e una paternità senza equivoci. Spero che queste osservazioni aiutino a riflettere sul fenomeno, tutto contemporaneo, della moralità ridotta ai buoni sentimenti e alle buone maniere, indifferente alla verità, senza riferimenti oggettivi, e quindi devastante nelle sue conseguenze, soprattutto in ambito educativo. Spero che i cristiani tornino a testimoniare la carità, senza compromessi con le sue numerose contraffazioni.