Fecondazione artificiale
Naturale come l'amore: disumano come l'amore naturale
Doc D.O.C. TV: un'etica di "origine controllata"Di Dante Balbo
Insonnia
"Vede, dottore, il mio problema è sempre lo stesso: vado a letto troppo tardi e poi - zappando - sul video incrocio i documentari Doc D.O.C."
"E allora, dovrebbero tranquillizzarla, sono fatti bene in generale e si soffermano su problemi importanti, mostrandoli obiettivamente e senza forzature."
"E' proprio quello il guaio, sono apparentemente al di sopra delle parti e fatti con intelligenza, eppure mi inquietano."
"In che senso? Mi faccia un esempio."
"quello di testimonianza di alcune coppie sulla fecondazione artificiale, passato alla T.S.I. il 30 settembre 1996, con il titolo - Pazze D'Amore -, mi ha particolarmente interessato."
"Ah, quello lo ho visto anch'io, ma mi sembrava uno dei migliori, perché la scelta di fare una fecondazione in vitro non era esaltata come il metodo procreativo del futuro e le coppie alla fine non erano felici e contente di aver fatto un bel bambino, ma, anzi, spesso erano confrontate con il fallimento del metodo e con la necessità di fare altre scelte, come l'adozione. Cosa c'è che non va in un documento come quello?"
"Niente, appunto, era così naturale che una coppia tentasse per otto volte la fecondazione, che un medico proponesse di impianta-re tre ovuli, con opzione di aborto su di uno dei tre se avessero avuto la malaugurata idea di sopravvivere tutti. Era naturale che i limiti fossero solo soggettivi, normale che gli ovuli fecondati artificialmente fossero una proprietà della coppia.
Era nella regola che a una donna si forzasse una iperovulazione, per poi estrarle sette ovuli e selezionarli come i prodotti di un qualsiasi lavoro.
Durante il documentario si diceva che - la tecnologia crea i nostri bisogni, - ma tutto questo era normale.
Stava forse in questo, la forzatura? Tutto era così scontato che sembrava disumano."
"Come disumano. Si trattava di un progetto d'amore, per dare la vita ad un bambino, una delle più nobili possibilità offerte dalla tecnica alla famiglia, che altrimenti non potrebbe avere figli!"
"Perché allora non sono tranquillo? Forse che l'idea di fecondità della coppia che ho io è sbagliata? Mi fa sentire strano, il sapere che per ottenere un bambino se ne devono sacrificare altri, che per fare una esperienza di maternità e paternità si debba passare per numerose prove e fallimenti - chiamano così gli aborti spontanei in caso di mancato attecchimento dell'embrione -.
C'è qualche cosa di radicalmente malato, di profondamente disumano in un amore che per avere la vita, uccide la dignità della donna, passa sopra al sacrificio di molti, pur di raggiun-gere il suo fine.
Mi ricorda da vicino quanto disse il sommo sacerdote di fronte alla necessità di uccidere Gesù Cristo: - E' meglio che un uomo solo muoia per il popolo. -
Solo che in questo caso sono molti a morire per uno solo."
"Ma lei è malato, dipinge queste coppie come ciniche e insensibili, pronte a passare su tutto e su tutti pur di ottenere il loro scopo."
"No, le coppie sono le vittime, perché a loro si dice che è possibile, che è quasi necessario per essere davvero famiglia avere un figlio e che la tecnologia offre questa opportunità.
Se le coppie fossero mostri di insensibilità il gioco sarebbe facile. Si potrebbe denunciare la classe medica che aprofitta delle patologie della famiglia per fare esperimenti. Invece no, anche i medici sono vittime, convinti come sono di fare un servizio alla famiglia.
E' la cultura che è mutata. Sono concetti come naturale, amore, dare la vita, che si sono radicalmente trasformati e ci sfuggono di mano, costringendoci a fare ogni volta un lavoro di revisione difficile e controcorrente. Non vi sono mostri da una parte e buoni dall'altra, ma ci dobbiamo confrontare con una vita sempre più difficile da capire e nella quale le possibilità umane più sono grandi e più ci interrogano sulle radici delle nostre scelte, anche quelle di tutti i giorni."
"Ben venga, allora, la sua insonnia, se le impedisce di bere qualsiasi acqua, come se fosse sempre l'Acqua della Vita."
UN PIANTO, COME UNA LAMA DI COLTELLO, HA TAGLIATO LA MIA BIRRA SCURA
Un suono secco, meccanico, come un giocattolo, monotono come il cigolio di una finestra sbattuta dal vento.
Poteva essere un uccello, un animale ferito, per un attimo l'ho sperato, invece anche ad un cieco come me, era evidente che si trattava di un bambino vero.
Un bambino che a meno di un anno aveva già capito che nessuno lo avrebbe ascoltato.
Era l'inizio di un documentario girato in Burundi, su di una banda di ragazzini che vive in una discarica, trasmesso da Rai 1 il 12 novembre in seconda serata.
Non mi ha schiodato dal mio divano e non ho smesso di tenere in mano il mio bicchiere di birra scura, appena velata di morbida schiuma, fresca e rilassante.Eppure quel pianto mi interpellava, mi turbava, faceva tremare la schiuma della mia birra.
"E allora, ti è venuta l'idea di andare in missione, bravo, ma hai famiglia e rischi di buttare solo una serata in rigurgiti cretini di onnipotenza salvifica."
No. Non ho più vent'anni e l'indomani avevo già un sacco di grane da risolvere, senza aggiungere una vocazione missionaria estempo-ranea.
"Allora te la sei presa con la Rodesia e con gli altri che hanno finanziato la guerra civile in Burundi, così, trovati i cattivi, siamo a posto."
No. Forse ti scandalizzerò, ma, per me, multinazionali, intrighi e traffici di armi, giochi di potere, sono cose troppo televisive per turbarmi nell'intimo, se non in senso intellettuale.
"Allora ti sarai fatto una bella analisi della cattive-ria di noi occidentali e dello sfruttamento cui costringiamo quattro quinti dell'umanità per i nostri comodi."
No. Questo mi è successo altre volte, ma mi ha sempre portato a continuare a bere la mia birra.
"Beh, ma almeno ti sarai sentito un verme, con la tua birra, la tua bella casa, i figli che dormivano tranquilli nella stanza accanto!"
no. Sarei un ipocrita e un ingrato se mi lagnassi di un dono che non ho meritato e che gratuitamente si rinnova nella mia vita.
Eppure quel pianto flebile, soffocato e insistente, stava lì, piantato come una lama di coltello nel brusio della schiuma di banalità che riempie i nostri bicchieri e il nostro cervello.
La presenza di quel pianto, che gridava dal corpo di un bambino la barbarie di secoli, era disumana. Invece di commuovermi, sembrava suscitare in me la disperata consapevolezza che quello era il lamento sardonico del Male che cantava la sua vittoria sulla mia pigrizia impotente.
Ma quando stavo per arrendermi, lasciandomi travolgere dalla depressione che sarebbe durata lo spazio di una notte, visto che l'indomani sarei stato ripreso dal vortice del quotidiano, quel pianto, come un diapason, fece vibrare un'altra corda della mia intimità.
Finalmente la lama trapassò la schiuma e scoprii il fiume della sovrabbondanza.
Quel pianto non denunciava solo la povertà di un bambino, ma la nostra povertà.
quella a cui ci siamo progressivamente costretti accettando la logica della risposta ad una mancanza, del tentativo di colmare il vuoto, del dovere di appagare un bisogno.
L'esempio era lì, chiaro e nascosto al contempo: il mistero della traboccante Carità di Dio.
Io che mi ritenevo cristiano, non avevo ancora intuito così profondamente il segreto della ricchezza inesauribile.
Mi tornarono alla mente le nozze di Canaan e le sei vasche di acqua cambiate in vino, il granello di senapa che diventa una pianta alta e forte, il fiume della visione del profeta Ezechiele che diventa così grande da sanare anche le acque salate del mare, e altri esempi della esagerata traboccanza dell'amore di Dio per noi, così esagerata da condurLo fin sulla croce, pur di incontra-re anche uno solo di noi.
Infine, mi sono ricordato di una parola di San Paolo agli Efesini importante per la mia vita e che più volte mi si è presentata alla riflessione, che dice più o meno:
Vi esorto io, prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vostra vocazione.
E quale è questa vocazione se non quella di scoprire dentro di noi la sovrabbondanza della ricchezza che gratuitamente abbiamo ricevuto?
Questa è la ragione per cui adesso scrivo sulla rivista di Caritas. Questo il motivo per cui Caritas si muove, la coscienza di non poter contenere fra le nostre quattro mura un fiume impetuoso e straripante di gioia e gratitudine.
E' questa stessa Carità che abbiamo ricevuto senza merito, che scardinerà le porte dell'inferno che custodivano un pianto come quello che ha scalfito la pacata schiuma della mia birra novembrina.
Dante Balbo