NON
DISINCANTARE LA SPERANZA INNOCENTE
Intervento
di Mons. Angelo Scola, rettore dell'Università Lateranense di Roma, all'assemblea
generale dell'Associazione Amici di Eugenio Corecco, Vescovo di Lugano il 1°
marzo '97.
Ieri sera, salendo da Roma, ho riletto attentamente il nostro Bollettino e l'ho
trovato realmente uno strumento prezioso, ricco di tantissime perle. Ero anche
piuttosto stanco, alla fine della settimana, e mi sono lentamente rianimato,
proprio leggendo molte parole di don Eugenio. E per quest'introduzione me n'è
rimasta una, una delle più originarie, una, diciamo, delle più
antiche e sempre vive che lui ha scritto e che sono trattenute nel nostro Bollettino.
La prendo da quel delicatissimo commento del Bollettino di Prato Leventina,
dove lui appunto fu parroco a partire dal `56, e dove racconta quel piccolo
episodio che già sapete e raccontandolo dice: la mamma avrebbe fatto
bene a non disincantare la speranza innocente. Ecco, queste tre parole mi sono
rimaste dentro da ieri sera: non disincantare la speranza innocente. E mi sono
detto che sono le più indicate per fare memoria di lui. Perché
la nostra speranza non è una speranza mondana, cioè non è
un aspettare qualcosa che non c'è, ma è la speranza della fede
potente e lucida di Cristo, è la speranza che poggia sulla certezza del
Risorto, è la speranza che ha una strada solida davanti a sé ed
è realmente in questa strada, dentro la compagnia di Gesù che
vive risorto nel suo Corpo nel segno della Trinità, che don Eugenio già
è e che realmente ci tende la mano.
Ma questa speranza è innocente.
La morte forse è l'unico momento nel quale l'esperienza dell'umana libertà
incontra realmente l'innocenza come donata dalla potenza salvifica di Cristo
Risorto. Non come qualcosa di naturale, com'è nel bambino, o come poteva
essere nell'uomo del Paradiso terrestre, dello stato originario; ma proprio
l'innocenza, cioè la possibilità di non nuocere, di non recare
danno, né al proprio destino, né al destino altrui, perché
si è stati graziati.
Quindi non togliere il disincanto di questa speranza innocente, fare memoria
della compagnia di don Eugenio con noi, significa lasciarci incantare dalla
potenza di questa presenza che sfida il limite della morte e che impone alla
vita un destino di bene. Realmente fare memoria non è ricordare, perché
la memoria è un presente che fa capire meglio il passato mentre il ricordo
è un passato che domina nostalgicamente il presente.
Non disincantare la speranza innocente: nel nostro sguardo, nel nostro
modo di guardare a don Eugenio, significa recuperare quell'amicizia che è
la ragione per la quale siamo insieme e che si trasforma così in sostegno
e conforto per la nostra vita.
E di questa amicizia voglio, ancora con le parole di don Eugenio, dare un segno.
Mi riferisco ad una sua lettera del 1981, che scrisse qualche giorno dopo che,
con un gruppo di amici svizzeri, ma non solo svizzeri, festeggiammo nel Motel
di Claro i suoi cinquant'anni: sono molto grato e dobbiamo esserlo tutti
a chi ha preso l'iniziativa, ... mettendo a disposizione tempo e creatività
che ci hanno stupiti.
Questo scriveva il 9 ottobre 1981. Per me è stato un segno che il tempo
del Signore si fa sempre più stringente. Per tutti la chiarezza che dà
la memoria della nostra storia comune deve germogliare affinché la nostra
unità diventi così concreta da saper svolgere e far maturare la
promessa che da sempre in essa è stata presente.
E di questa promessa così parlava nel '67, scrivendo ad una ragazza,
come potete ritrovare nel Bollettino: In dieci potete fare cose molto grandi
a condizione che siate disposti ad essere amici per tutta la vita, dico per
tutta la vita ..., avete capito? Non é un giuoco, quello che abbiamo
iniziato, é un nuovo modo di vivere, cioè una vita, con tutta
la sua durata. Non lasciatevi spaventare da questa prospettiva, che deve sussistere
e continuare quando sarete sposati, o missionari o che so io, diventerà
sempre più bello, perché sarà una vita vissuta.
Ecco, io credo che la memoria presente della compagnia di don Eugenio con noi
sia realmente in questa solidarietà amicale, nel compito di ciascuno,
vicini o lontani che si sia. Gomito a gomito nel quotidiano oppure vedendoci
solo una volta ogni tanto sappiamo che l'altro é una risorsa per noi,
che l'altro c'è nel momento del bisogno, sempre.
In fondo, la parola amicizia è, nel suo senso ultimo e definitivo, la
più completa, perché, nella sua forma piena, vive dalla Trinità
stessa, dov'è perfetta identità, è perfetta reciprocità,
è perfetta persona, è perfetto scambio, è realmente perfetto
dono di sé, è perfetto consistere presso di sé di ciascuno
dei tre che sono il solo Dio. E noi già viviamo di questo riflesso. Don
Eugenio e tutti i nostri defunti che ci hanno preceduto all'altra riva sono
realmente un continuo insegnamento in questa direzione, che reggono gli affanni
e le cose belle della nostra vita.
Quindi il mio grazie e quello del Consiglio Direttivo al Cardinal Macharski,
al Vescovo Giuseppe, al Vescovo Gianni, a tutte le Autorità, anche civili,
che sono intervenute oggi, ma soprattutto alla mamma di don Eugenio, alla sorella,
al cognato, a tutti i familiari ed i parenti. Il mio grazie a questo nostro
incontro voglio che sia dentro questo lasciarci incantare dalla speranza innocente
di noi che guardiamo alla nostra fierezza e per questo viviamo lieti la nostra
giornata. Grazie.
(Testo non riveduto dall'autore)