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BEATA EDITH STEIN
A cura di Patrizia Solari
È
recente la notizia che presto Edith Stein, proclamata beata nel 1987, sarà
canonizzata: è la prima ebrea di nascita, dopo gli apostoli, ad essere
proclamata santa. Occupandoci di questa figura, vogliamo così, fra le
altre cose, sottolineare questo aspetto della nostra storia di cristiani che
spesso è apparso controverso: il legame di continuità, vissuto
comunque nella sofferenza, tra il popolo ebraico e il cristianesimo. E a questo
proposito rimandiamo i lettori all'intervento di don Giorgio Paximadi sul numero
scorso della rivista (pagg. 3-5): "Dio (...) è intervenuto molte
volte nella storia, preparando il suo intervento definitivo, la sua Alleanza
'nuova ed eterna' , con una serie di Alleanze le quali sono state di volta in
volta ricapitolate nelle successive ed hanno tutte trovato la loro definitività
e la loro pienezza in Gesù Cristo." Il Papa ci ha richiamato a più
riprese questa verità e in maniera particolare quando, nella sinagoga
di Roma, definì il popolo ebraico "nostri fratelli maggiori".
"Edith nasce a Breslavia (allora in Germania, attualmente è la città
polacca di Wroclaw) nel 1891, undicesima e ultima figlia di una coppia di sposi
ebrei. Rimane orfana di padre a due anni e la numerosa famiglia viene guidata
con forza e saggezza dalla madre, una donna profondamente religiosa e tenacemente
attaccata alla propria tradizione ebraica. Edith è però una bambina
indipendente e di intelligenza particolarmente vivace. Verso i quindici anni
abbandona la fede in cui è stata educata, perché non le riesce
di credere all'esistenza di Dio, mentre tutta la sua adolescenza si protende
nel culto verso la verità (intesa come sviluppo della conoscenza) e verso
la difesa della dignità della donna." 1)
Così Edith, fatto raro per una donna nel 1910, si iscrive alla facoltà
di filosofia dell'università della sua città e poi si trasferisce
a Gottinga. E un altro aspetto che ci interessa sottolineare è proprio
il seguente. Accanto alla forte figura dell'illetterata Caterina da Siena, presentata
in precedenza, Edith Stein si presenta come una vera e propria "intellettuale",
professoressa di filosofia e pedagogia e assistente di uno dei maggiori filosofi
del nostro secolo, Edmund Husserl. Ma ciò non coincide con astrattezza
o lontananza dalla realtà. Il suo maestro, Husserl, l'incontro col quale
fu determinante nella vita di Edith, è il fondatore di quella corrente
della filosofia che si chiama fenomenologia. "Merito di Husserl (...) è
quello di educare i propri discepoli al suo celebre principio: Zu den Sachen:
occorre aderire alle cose, aderire ai fenomeni così come si presentano.
Ed è per questa intellettuale onestà che ella non può fare
a meno d'essere toccata, interiormente segnata, anche da alcuni fenomeni particolari."
E vediamo quali sono questi "fatti" che segneranno in modo particolare
la vita di Edith Stein. "Alcuni più generici: uno studio interessante
sul Pater noster in antico germanico; l'incontro con la personalità affascinante
di Max Scheler, geniale ma disordinato neo convertito (di cui Papa Woytjla sarà
uno studioso n.d.r.); due anni di esperienza al fronte come crocerossina durante
la prima guerra mondiale, ciò che la mette in contatto col mistero della
sofferenza. Sono tutti fatti che cominciano a farle scoprire il fenomeno religioso.
Possiamo comprendere il tipo di attenzione con cui ella normalmente vive, ascoltando
lei stessa descrivere la sorpresa provata durante una visita fatta per motivi
esclusivamente artistici a una chiesa cattolica: sorpresa, al vedere una donna
del popolo entrare e pregare con la borsa della spesa sotto il braccio: 'La
cosa mi parve strana. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti che avevo visitato
si entra soltanto durante il servizio divino. Al vedere qui la gente entrare
tra una occupazione e l'altra, quasi per una faccenda abituale o per una conversazione
spontanea, rimasi colpita a tal punto che non mi riuscì più di
dimenticare quella scena'.
Ci furono poi altri due episodi, ancora più precisi e determinanti. Uno
fu il fatto che, frequentando la casa di un giovane docente, conosciuto a Gottinga,
alla morte di questi, ucciso combattendo nelle Fiandre, non trovò la
vedova sprofondata nella disperazione, bensì "un'indicibile pace"
e l'amica "con il volto segnato dal dolore, ma come trasfigurato."
I due coniugi erano da poco entrati nella Chiesa protestante e Edith Stein,
riflettendo su questa esperienza dirà: "Fu quello il mio primo incontro
con la Croce, con quella forza divina che la croce dà a coloro che la
portano. Per la prima volta mi apparve visibilmente la Chiesa, nata dalla passione
di Cristo e vittoriosa sulla morte. In quel momento stesso la mia incredulità
cedette, il giudaismo impallidì ai miei occhi, mentre si levava nel mio
cuore la luce di Cristo. È questa la ragione per cui, nel prendere l'abito
di Carmelitana, ho voluto aggiungere al mio nome quello della Croce".
Questa esperienza lavorò in lei per quattro anni, finché non avvenne
il secondo episodio, ancora più determinante. Era ospite di un'altra
coppia di amici, anch'essi convertiti al protestantesimo. Una sera che era sola
in casa, dalla biblioteca prese un libro a caso, senza scegliere. "Era
un grosso volume che portava il titolo: Vita di Santa Teresa d'Avila, scritta
da lei stessa. Ne cominciai la lettura e ne rimasi talmente presa che non la
interruppi finché non fui arrivata alla fine del libro. Quando lo chiusi
dovetti confessare a me stessa: Questa è la verità!".
Il mattino seguente andò a comprarsi un messalino e un catechismo e,
dopo averli studiati approfonditamente, partecipò alla sua prima messa
e al termine andò dal prete a chiedergli il Battesimo. Naturalmente questi,
pieno di stupore, la rese attenta alla necessità di essere preparata
da qualcuno e accompagnata al Sacramento, ma dopo averle fatto un approfondito
esame, si rese conto che non c'era nessuna verità della fede su cui Edith
non fosse istruita. Così il Battesimo venne fissato per il Capodanno
del 1922 e, in quell'occasione Edith aggiunse al suo nome quello di "Teresa".
"(...) per Edith Teresa Stein la vocazione al battesimo e quella al Carmelo
coincisero con assoluta certezza, fin dal primo momento. Tuttavia il suo direttore
spirituale le impedì di concretizzare subito quella vocazione claustrale,
ritenendo che avesse un compito insostituibile da svolgere nel mondo."
Così Edith passò i primi dieci anni dalla sua conversione "a
fare la 'maestra' nel senso più totale del termine, in un istituto di
domenicane", preparando le ragazze alla maturità liceale. "Conduceva
una vita molto riservata, quasi monastica, e intanto studiava la tradizione
filosofica cattolica (in particolare San Tommaso) con l'intento di paragonarla
con il pensiero fenomenologico. (...) comincia a elaborare il suo proprio pensiero
e a pubblicare saggi scientifici, anche se la sua nuova fede non le facilita
certo la carriera universitaria. Dal 1928 al 1931 partecipa a numerosi congressi
ed è chiamata a tener conferenze a Colonia, Friburgo, Basilea, Vienna,
Salisburgo, Praga, Parigi."
Nel 1933 però, ad appena un anno dalla sua nomina a libera docente nell'Istituto
superiore germanico di pedagogia scientifica di Münster, tiene la sua ultima
lezione: Hitler è diventato cancelliere del Reich e ha imposto l'allontanamento
degli ebrei dagli impieghi pubblici. "È l'anno santo della Redenzione
e le notizie delle persecuzioni naziste contro gli ebrei cominciano a diffondersi.
Ormai nulla più trattiene Edith nel mondo e le viene perciò concesso
di entrare nel monastero carmelitano dove prende il nome di Teresa Benedetta
della Croce. In clausura vive umilmente, come tutte le altre suore che nulla
sanno della sua fama né delle sue capacità, e la giudicano solo,
benevolmente, dal suo notevole impaccio nei lavori manuali. I superiori religiosi
tuttavia giudicano che le sue capacità debbano essere valorizzate e le
chiedono di continuare compatibilmente col nuovo stile di vita monastica e di
preghiera la sua attività scientifica."
Nel 1938 viene trasferita, insieme alla sorella Rosa, che l'aveva seguita nella
conversione e aspettava di entrare in convento, nel monastero olandese di Echt:
si pensava così di salvarla dalla furia del nazismo. Quando, nel 1939,
scoppia la seconda guerra mondiale, i superiori chiedono a Edith di scrivere
un libro sul pensiero e l'esperienza di S. Giovanni della Croce, in occasione
del quarto centenario della nascita del santo. Sarà il saggio intitolato
Scientia Crucis, la Scienza della Croce. "Nel 1942 cominciano le deportazioni
in massa degli ebrei. L'episcopato olandese protesta e viene rassicurato: nessuno
toccherà gli ebrei che si sono convertiti al cattolicesimo." Ma
siccome i vescovi cattolici, il 26 luglio, condannano ufficialmente le deportazioni
degli ebrei, facendo leggere in tutte le chiese una lettera collettiva, per
ritorsione viene segretamente decisa anche la deportazione degli ebrei cattolici.
Così il 2 agosto la Gestapo si presenta alle porte del monastero di Echt
per prelevare la "monaca ebrea".
"Le ultime parole di Edith che le consorelle odono, sono rivolte alla sorella
Rosa, terrorizzata: 'Vieni, andiamo per il nostro popolo'. Sul suo tavolo la
'Scientia Crucis' è quasi finita: l'opera è giunta al momento
in cui descrive la morte di S.Giovanni della Croce." In un bigliettino,
indirizzato alla Priora, Edith chiede di rinunciare ai tentativi che sono stati
messi in atto per rintracciarla e farla liberare. "C'è scritto:
'... io non farei più niente in questa faccenda. Sono contenta di tutto.
Una Scientia Crucis la si può acquistare se la croce la si sente pesare
in tutta la sua gravezza'."
Muore in una camera a gas di Auschwitz tra l'8 e l'11 agosto del 1942.
"Nella sua stessa persona Edith espresse questo vero dramma su cui non
riflettiamo mai abbastanza: uccisa come ebrea perché non aveva 'sangue
nordico' da ex cristiani che si dedicavano a inventare un nuovo paganesimo,
ma uccisa perché cristiana, per vendetta contro i vescovi che quel paganesimo
avevano voluto condannare. Ed Edith apparteneva contemporaneamente, interamente,
paradossalmente, al popolo cristiano e al popolo ebraico. Anzi, è testimone
di quanto il popolo cristiano sia innestato su quello ebraico e di quanto diventi
pagano un popolo cristiano che si scaglia contro le sue 'sante radici'."
Prima di terminare vogliamo accennare ancora ad alcuni aspetti della vita di
questa grande figura. Uno di questi è il rapporto con la madre. "Nel
rapporto tra madre e figlia, tutta la passione e le sofferenze che uniscono
e separano ebraismo e cristianesimo sono rappresentate come un'icona vivente."
Quando "pur sapendo di straziarle il cuore e di non poter essere capita,
la figlia s'era presentata alla madre, s'era inginocchiata davanti a lei e,
senza nessuna tergiversazione, con tenerezza e fermezza le aveva detto: 'Mamma,
mi sono fatta cattolica' fu la prima volta che Edith vide piangere quella donna
che aveva affrontato da sola con undici figli, una dura vita di 'educazione',
di lavoro e carità."
Il 12 ottobre, data di nascita di Edith, nel calendario ebraico è il
giorno del Kippur, la grande festa dell'Espiazione. La madre era solita trascorrerlo
interamente nella sinagoga, digiunando. Una volta che Edith l'aveva accompagnata
per farle piacere "quando il Rabbino lesse con voce profonda le parole
solenni 'Ascolta Israele, il tuo Dio è uno solo', la madre strinse convulsamente
il braccio della figlia dicendole: 'Hai sentito? Il tuo Dio è uno solo!'
(...) Un altro giorno dell'Espiazione, il 12 ottobre 1933, l'ultimo che Edith
passò a casa, tornando dalla sinagoga (...) per farle piacere Edith disse
alla madre che il primo periodo in monastero sarebbe stato soltanto di prova:
'Se tu fai una prova disse soffrendo la donna sono certa che la superi...' E
poi: 'Non era bella la predica del Rabbino?' 'Sì'
'Anche nella fede ebraica si può essere religiosi, non ti pare?' 'Sì,
quando non si è conosciuto altro.' 'E tu - replicò desolata -
perché l'hai conosciuto? Non voglio dire niente contro di Lui, era certamente
un uomo molto buono. Ma perché ha voluto farsi Dio?"'
Edith racconta poi la scena straziante avvenuta la sera stessa e ripetutasi
l'indomani. "Rimanemmo sole nella camera. Ella nascose il viso tra le mani
e cominciò a piangere. Mi posi dietro la sua sedia e andavo stringendo
al seno la sua testa bianca. Rimasi a lungo così, finché riuscii
a persuaderla ad andare a letto. La condussi su e l'aiutai a svestirsi per la
prima volta nella mia vita. Poi rimasi ancora seduta accanto al suo letto, in
silenzio, finché lei stessa non mi mandò a dormire." Il giorno
dopo Edith dovette fuggire. "La madre non le scrisse mai (...) negli ultimi
tempi aggiungeva nelle lettere delle sorelle un saluto per la Madre Priora di
Edith. Edith le scriveva ogni venerdì, fino a quel giorno in cui la madre
morì mentre lei pronunciava i voti." Era il 14 settembre, giorno
che per i cristiani è la festa dell'Esaltazione della Croce.
Un altro aspetto riguarda la vocazione professionale di Edith Stein nel mondo
della cultura. "Nel lungo tempo del suo ateismo, ella potè dire
di sé: 'la mia unica preghiera era la sete di verità'. (...) Dopo
un lungo periodo di tempo in cui aveva dominato il soggettivismo (per cui la
verità dipende da ciò che il soggetto pensa e costruisce) tornava
a dominare la verità oggettiva: 'La verità è un assoluto
... non dipende da chi la pensa ... Bisogna partire dall'esperienza, descriverla
prima di volerla spiegare ...' così diceva Husserl. E insisteva: 'Bisogna
andare alle cose e domandare loro quello che esse stesse dicono, ottenendo così
delle certezze che non risultano affatto da teorie preconcette, da opinioni
ricevute e non verificate'. Sappiamo che per Edith questo insegnamento abbia
agito anche in campo religioso e come ella abbia poi tentato in seguito alla
sua conversione di mettere a paragone e di cercare di far interagire la filosofia
perenne della Chiesa, incarnata da S. Tommaso d'Aquino, con l'insegnamento di
Husserl."
Per concludere, ecco la testimonianza di un commerciante ebreo di Colonia, che
aveva incontrato Edith nel campo di concentramento di Westerbork "dove
sì fermò prima di essere avviata all'ultima stazione della sua
'via Crucis' (...): 'si distingueva per il comportamento pieno di pace e l'atteggiamento
calmo. Le grida, i lamenti, lo stato di sovreccitazione angosciata dei nuovi
arrivati erano indescrivibili. Suor Benedetta andava tra le donne come un angelo
consolatore, calmando le une, curando le altre. Molte madri sembravano cadute
in una sorta di prostrazione prossima alla follia; rimanevano a gemere come
inebetite trascurando i figli. Suor Benedetta si occupò dei bimbi piccoli,
li lavò, li pettinò, procurò loro il nutrimento e le cure
indispensabili. Per tutto il tempo in cui stette al campo dispensò intorno
a sé un aiuto così caritatevole che a pensarci mi sconvolge'."
1) Tutte le citazioni sono tratte da: A. Sicari "Ritratti di santi",
ed. Jaca Book, Milano 1987