CHIESE
IN BOSNIA:
Dal Tamaro a Sarajevo?
Di Robi
Noris
Il Cardinal Vinko Puljic in visita in Ticino nel mese di marzo, ospite di
Caritas Insieme TV, confidava la sua grande preoccupazione per le chiese distrutte
in Bosnia, circa 600, e la difficoltà a reperire aiuti per ricostruirle.
Intravvedeva conseguenze gravi per la comunità cattolica della Bosnia
ed Erzegovina, che ha nuovamente espresso a Vera Podpecan, collaboratrice di
Caritas Ticino e presidentessa della missione croata del Ticino che su suo invito
era andata a trovarlo in maggio.
Con lei abbiamo cercato di capire il quadro della situazione; un quadro non
facile da comprendere nella nostra realtà che probabilmente è
più distante di quanto i chilometri che ci separano potrebbero far credere.
Infatti siamo tentati anche noi di liquidare il problema dicendo che prima si
devono ricostruire le case e poi solo in seguito si ricostruiranno le chiese.
Del resto è ciò che pensano tutte le organizzazioni umanitarie
intervenute in Bosnia. Almeno quelle di ispirazione cattolica e naturalmente
quelle laiche. Gli aiuti invece che provengono da nazioni islamiche pare che
siano spesso destinate alla ricostruzione di moschee. Vera ci spiega che il
90 % degli aiuti internazionali sono andati al governo e a organizzazioni musulmane,
e solo il 10% a organizzazioni cattoliche (Caritas) e pochissimi aiuti direttamente
alla diocesi. Questa ripartizione si spiega col fatto che la maggior parte degli
aiuti in Bosnia ed Erzegovina provengono da organizzazioni islamiche.
A questo va aggiunto che per le organizzazioni cattoliche non vi è nessuna
difficoltà ad aiutare i musulmani mentre non avviene mai l'inverso.
Alla diocesi di Sarajevo per pensare alla ricostruzione delle chiese rimangono
briciole assolutamente insufficienti. Il Cardinale raccontava a Vera un episodio
sintomatico: "durante la guerra un'emittente spagnola aveva fatto un appello
alla comunità internazionale che non era piaciuto ai serbi che avevano
per tutta risposta buttato cinque granate sul palazzo vescovile di Sarajevo
lo stesso giorno. La richiesta di aiuti mandata dal Cardinal Puljic a diverse
conferenze episcopali ha avuto solo una risposta, quella del Papa."
La chiesa è un simbolo per tutta la cristianità ma per i cattolici
in Bosnia ed Erzegovina, ci spiegano, rappresenta la "sicurezza":
significa che c'è un parroco e un luogo in cui sentirsi protetti, persino
un luogo dove pensare di potersi rifugiare.
Dopo l'accordo di Dayton diversi villaggi a maggioranza cattolica sono stati
dati alla Repubblica Serba di Bosnia. Molti cattolici hanno paura a tornare,
e se non c'è il parroco e una chiesa non torneranno: un anziano non può
neppure immaginare di morire senza la comunione e un giovane senza poter battezzare
i propri figli. Forse è difficile comprendere queste cose se non si cerca
di immaginare una realtà dove l'espressione della propria fede passa
attraverso un forte radicamento nella tradizione.
A scanso di equivoci di stampo nazionalista, va detto che il Cardinale di Sarajevo
spera in una Bosnia ed Erzegovina multietnica, e ci crede al punto di aver creato
una scuola, la Scuola per l'Europa, con insegnanti e allievi cattolici, musulmani
e ortodossi che vivono già la speranza del cardinale come realtà
quotidiana. Ma una Bosnia ed Erzegovina multietnica ci sarà se la presenza
dei cattolici non sparisce, e le chiese di "sasso" sono il segno della
loro presenza.
Parlavo di queste cose al Tamaro, qualche giorno fa, con alcuni collaboratori
durante un pranzo di lavoro con Egidio Cattaneo, l'imprenditore ticinese che
ha voluto la nuova chiesa sulla montagna, e ho proposto di fare un articolo
per la nostra rivista che mettesse in relazione la preoccupazione del Cardinale
di Sarajevo e il fatto che in Ticino ci sia ancora chi vuole costruire una chiesa
e vi riesce. Gli occhietti furbi di Egidio si sono illuminati e con la sua voce
roca ha sentenziato "ne parlo col Botta". È sparito per alcuni
minuti ed quando è tornato sorrideva come chi ne ha combinata una grossa.
Aveva trovato l'architetto Mario Botta al telefono che gli ha detto di combinare
un appuntamento a Sarajevo col Cardinale.
Non so cosa potrà nascere da questo incontro e neppure se si riuscirà
a organizzarlo, ma è straordinario che dal Ticino si possa anche solo
immaginare che nasca una speranza per il Cardinale di Sarajevo.