La posizione
della Chiesa è stata e rimane chiara
NON LEGALIZZIAMO LE DROGHE
"Solidali
per la Vita" è il titolo del Convegno Ecclesiale sulla droga promosso
dal Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari e svoltosi
dal 9 al 11 ottobre in Vaticano con la partecipazione di studiosi e delegati
provenienti da vari continenti. Pubblichiamo qui di seguito un ampio estratto
della prolusione tenuta dal Segretario di Stato Cardinale Angelo Sodano che
ha esposto le grandi linee del Magistero in materia di droga. Sul prossimo numero
della rivista Caritas Insieme pubblicheremo la traduzione italiana del discorso
rivolto dal Papa ai partecipanti al congresso.
1 . IL "FLAGELLO DELLA DROGA"
La prima cosa che salta all'occhio, quando s'accostano i ripetuti interventi
pontifici sull'argomento, è l'acuta attenzione che il Santo Padre dedica
alla drammaticità del fenomeno. Ecco i termini vibranti con cui Giovanni
Paolo II ne parlava alcuni anni or sono: "Oggi egli diceva il flagello
della droga imperversa in forme crudeli e in dimensioni impressionanti, superiori
a molte previsioni. Tragici episodi denotano che la sconvolgente epidemia conosce
le più ampie ramificazioni, alimentata da un turpe mercato che scavalca
confini di Nazioni e di continenti. Le implicazioni velenose del fiume sotterraneo
e le sue connessioni con la delinquenza e la malavita sono tali e tante da costituire
uno dei principali fattori della decadenza generale" (Insegnamenti di Giovanni
Paolo li, VII, 2, 1984, p. 347).
Dietro parole così pesanti ci sono i dati che voi, illustri Signori,
ben conoscete. È vero che, per quanto riguarda le statistiche, è
difficile ottenere dati precisi, a causa della natura ampiamente clandestina
dell'uso delle droghe. Ma è convinzione comune e fondata che esso vada
espandendosi a macchia d'olio. L'uso delle droghe sintetiche, rispetto a quelle
derivanti da piante, ha il triste vantaggio di renderle più vicine ai
consumatori, mentre il loro controllo diventa sempre più difficile, perché
da una parte può esserci un'eccedenza di produzione lecita seguita da
diversione, e dall'altra una fabbricazione illecita (cfr. United Nations international
Drug Control Programme, World Drug Report, Oxford University Press 1997, p.
41). Stando alle valutazioni offerte dal Programma delle Nazioni Unite per
il controllo internazionale delle droghe, per poter ridurre sostanzialmente
il profitto dei trafficanti dovrebbe essere intercettato almeno il 75% del traffico
internazionale di droga. Ma questo obiettivo è lungi dall'essere raggiunto,
ed è certo di ben difficile conseguimento, se si pensa che il traffico
di cocaina ed eroina è in gran parte controllato da organizzazioni transnazionali,
gestite da gruppi fortemente centralizzati con il coinvolgimento di una vasta
gamma di persone specializzato: dai chimici agli specialisti nelle comunicazioni
e nel riciclaggio del denaro, dagli avvocati alle guardie di sicurezza, ecc.
(ibid. p. 123). Negli ultimi 20 anni, come è noto, le organizzazioni
di trafficanti di droga hanno esteso i loro interessi ad altre forme di attività
illecite, che fanno lievitare all'inverosimile i guadagni e conseguentemente
lo strapotere di questa criminalità priva di scrupoli.
2. EFFETTI DEVASTANTI
Ma al di là delle dimensioni quantitative del fenomeno, la voce del Magistero
si è preoccupata in questi anni di mettere in guardia soprattutto dagli
effetti devastanti che esso produce non solo sulla salute, ma sulla
stessa coscienza, come anche sulla cultura e sulla mentalità collettiva.
Esso in realtà è insieme frutto e causa di una grande degenerazione
etica e di una crescente disaggregazione sociale, che corrodono il tessuto stesso
della moralità, dei rapporti internazionali, della convivenza civile.
In questi anni, poi, si sono rivelati sempre di più anche i danni fisici
concomitanti e conseguenti: dall'epatite alla tubercolosi e all'AIDS. Ed è
superfluo ricordare il conteso di violenza, sfruttamento sessuale, commercio
di armi, terrorismo, in cui questo fenomeno prospera. E chi non sa quanto le
relazioni familiari ne siano rese difficili? Un peso particolare ricade sulla
donna, spesso costretta alla prostituzione per sostenere il marito che si droga.
Sembrano dunque tutt'altro che eccessive le espressioni usate da Giovanni Paolo
II, quando ha definito i trafficanti di droghe "mercanti di morte"
(Insegnamenti, XIV, 2, 1991, p. 1250). Una morte che, se non sempre è
la morte fisica, è però sempre una morte morale, una morte della
libertà e della dignità della persona. La droga tende a "schiavizzare"
la persona. Lo ricordò il Papa nella sua visita pastorale in Colombia
del 1986, riferendosi ai narcotrafficanti: "Trafficanti della libertà
dei loro fratelli, che rendono schiavi con una schiavitù più terribile,
a volte, di quella degli schiavi neri. I mercanti di schiavi impedivano alle
loro vittime l'esercizio della libertà. I narcotrafficanti riducono le
proprie vittime alla distruzione stessa della personalità" (Insegnamenti,
IX, 2, 1986, p. 197). guardando a questi effetti, si spiega perché il
giudizio morale, che la Chiesa dà in questo ambito, sia particolarmente
grave. Va da sé la condanna di quanti sono direttamente responsabili
del fenomeno, con la produzione clandestina di droghe e il loro traffico, come
anche di quanti indirettamente ne diventano complici. Ma il Catechismo della
Chiesa Cattolica ricorda anche a quanti si drogano o sono tentati di farlo
che l'uso della droga, "esclusi i casi di prescrizioni strettamente terapeutiche,
costituisce una colpa grave" (CCC 2291). Evidentemente non si vuole dare
un giudizio sulla responsabilità soggettiva, dal momento che tanti, una
volta entrati in questa infernale dipendenza, diventano anche, almeno in parte,
incapaci della scelta radicale necessaria per sottrarsi a questa penosa schiavitù.
Ma il principio morale, ricordato senza tentennamenti, è non soltanto
una norma, ma anche un aiuto offerto alla coscienza, perché acquisti
vigore e coerenza.
3. LA RESPONSABILITA PUBBLICA
Di fronte all'enormità de fenomeno e ai suoi tragici effetti, non c'è
dubbio che la maggiore responsabilità nell'affrontarlo e debellarlo ricada
sulle pubbliche autorità. È un appello che Giovanni Paolo II ha
più volte rinnovato, perché sia a livello nazionale che internazionale,
si risponda alle sfide della droga in maniera decisa, adottando risoluzioni
che scoraggino in partenza l'infame traffico. Un discorso, questo oltre che
difficile, anche delicato per quelle regioni in cui l'illecita coltivazione
di piante destinate alla produzione di droga sembra essere la sola opzione vantaggiosa
per gli agricoltori. È chiaro che in questi casi occorre provvedere ad
offrire risorse sostitutive, "capaci di garantire agli operai e alle loro
famiglie una situazione conforme alla loro dignità di persone e di figli
di Dio" (Discorso ai Presuli della Conferenza Episcopale della Bolivia
in occasione della visita ad Limina, 22 aprile 1996, L'Osservatore Romano, 22-23
aprile 1996).
Ma questo aspetto del problema non deresponsabilizza la pubblica autorità
dall'assumere le altre misure necessarie. La Chiesa segue, a questo proposito,
con una certa apprensione il dibattito che da tempo si registra tra i cosiddetti
"proibizionisti" e gli "antiproibizionisti". È noto,
infatti, che questi ultimi fanno in modo sempre più vivace promotori
della liberalizzazione e legalizzazione delle droghe almeno delle cosiddette
droghe "leggere" , poggiando su argomenti di varia natura, e facendo
leva sul fatto che la politica proibizionista non solo non ha risolto il problema,
ma l'avrebbe aggravato. A loro volta i proibizionisti ribattono che l'assenza
di sanzioni provocherebbe problemi ancora più gravi di quelli già
esistenti, dando ai giovani un segnale sbagliato e facilitando loro un primo
passo che potrebbe poi portarli alle droghe pesanti. La legalizzazione andrebbe
così nel senso opposto dell'educazione e della prevenzione, comporterebbe
maggiori rischi alla salute e maggiori costi per la società, non farebbe
sparire il mercato nero di narcotici né diminuire violenza e criminalità.
Uno dei principali rischi sarebbe poi l'irreversibilità di una tale opzione
e la difficoltà di una simile regolazione.
Di fronte a questo "regulation debate" la posizione della Chiesa è
stata e rimane chiara. Non si vuole certo negare che il problema sia complesso,
e che tra i sostenitori della tesi anti proibizionista vi siano persone che,
in buona fede, si pongono il problema con serietà e senso di responsabilità.
Mala posta in gioco è troppo grossa, e le ragioni che portano ad una
politica diversa risultano più convincenti. Parlando alle Comunità
terapeutiche nel 1984, Giovanni Paolo II disse a tal proposito: "La droga
è un male, e al male non si addicono cedimenti. Le legalizzazioni anche
parziali, oltre ad essere quanto meno discutibili in rapporto all'indole della
legge, non sortiscono gli effetti che si erano prefisse. Un'esperienza ormai
comune ne offre la conferma. Prevenzione, repressione, riabilitazione: ecco
i punti focali di un programma che, concepito e attuato nella luce della dignità
dell'uomo, sorretto da correttezza di relazioni tra i popoli, riscuote la fiducia
e l'appoggio della Chiesa" (Insegnamenti, VII, 2, 1984, p. 349). Più
recentemente, il Pontificio Consiglio per la Famiglia, in una riflessione pastorale
su questo specifico tema, ha esortato ad evitare semplificazioni e generalizzazioni,
e "soprattutto la politicizzazione di una questione che è profondamente
umana ed etica". A proposito, poi, della distinzione fra droghe "leggere"
e "pesanti" ha osservato: "I prodotti saranno forse diversi,
male ragioni di base rimangono le stesse. È per questo motivo che la
distinzione tra "droghe dure" e "droghe dolci" conduce ad
un vicolo cieco. La tossicodipendenza non si gioca nella droga ma in ciò
che conduce un individuo a drogarsi ... La legalizzazione delle droghe comporta
il rischio degli effetti opposti a quelli ricercati. Attraverso la legalizzazione
della droga ... sono le ragioni che conducono a consumare tale prodotto che
si trovano convalidate" ("Liberalizzazione della droga? Una riflessione
pastorale del Pontificio Consiglio per la Famiglia": L'osservatore Romano,
22 gennaio 1997).
4. ALLE RADICI ETICO CULTURALI DEL FENOMENO
Queste considerazioni ci portano all'aspetto nodale del problema, sul quale
converge in modo speciale l'attenzione della Chiesa: perché ci si droga?
È chiaro infatti che, al di là di tutti i condizionamenti di un
mercato irresponsabile e a tutte le profferte di una criminalità ben
organizzata, è sempre il singolo, con la sia libertà e responsabilità,
che varca la soglia pericolosa delle droghe, finendo spesso in una via senza
ritorno.
Perché lo fa? Lestensione del fenomeno droga fa pensare ad un malessere
profondo, che tocca le coscienze, ma insieme l'ethos collettivo, la cultura,
le relazioni sociali. Il Papa invita a guardare in questa direzione. Alla radice
del problema della tossicodipendenza, egli osserva, "c'è di solito
un vuoto esistenziale, dovuto all'assenza di valori e ad una mancanza di fiducia
in se stessi, negli altri e nella vita in generale" (Insegnamenti, XIV,
2, 1991, p. 1249) . E ancora: "La droga è vuoto interiore che cerca
evasione e sfocia nel buio dello spirito prima ancora che nella distruzione
fisica" (Insegnamenti, XIII, 2, 1990, p. 1579). Esiste un nesso fra la
malattia provocata dall'abuso di droghe e una patologia dello spirito che porta
la persona a fuggire da se stessa e a cercare soddisfazioni illusorie nella
fuga dalla realtà, al punto da annullare completamente il significato
della propria esistenza.
Non si può inoltre negare che la tossicodipendenza sia strettamente legata
anche allo stato attuale di una società permissiva, secolarizzata, in
cui prevalgono edonismo, individualismo, pseudo-valori, falsi modelli. La "
Familiaris consortio" la considera conseguenza di una società che
rischia di essere sempre più spersonalizzata e massificata, disumana
e disumanizzante (Insegnamenti, IV, 2, 1981, p. 1087).
In questo contesto "malato", che investe i singoli e la società,
coloro che si drogano sono, secondo le espressioni del Santo Padre, "come
persone in "viaggio" che vanno alla ricerca di qualcosa in cui credere
per vivere, incappano, invece, nei mercanti di morte, che le assalgono con la
lusinga di illusorie libertà e di false prospettive di felicità"
(Insegnamenti, XIV, 2, 1991, p. 1250). Si potrebbe quasi dire che questo grande
"viaggio", che gli uomini cercano nella droga, è il "pervertimento
dell'aspirazione umana all'infinito... la pseudomistica di un mondo che non
crede, ma che tuttavia non può scuotersi di dosso la tensione dell'anima
verso il paradiso" (J. Ratzinger, Svolta per l'Europa, Ed. Paoline 1992,
p. 15).
5. UN'ADEGUATA STRATEGIA
Se questo è il problema, è ovvio che non basta la "proibizione",
che pur è necessaria. "Questo male ha detto il Papa chiede di essere
vinto con un nuovo impegno di responsabilità all'interno delle strutture
di vita civile e, in particolare, mediante la proposta di modelli di vita alternativi"
(Insegnamenti, XII, 2, 1989, p. 637).
È la strategia della prevenzione, per la quale sottolinea Giovanni Paolo
Il è necessario il concorso "di tutta la società: genitori,
scuola, ambiente sociale, strumenti della comunicazione sociale, organismi internazionali;
occorre l'impegno a formare una società nuova, a misura dell'uomo; l'educazione
ad essere uomini" (Insegnamenti, VII, 1, 1984, p. 1541). Si tratta di mettere
in atto un impegno corale per proporre, ad ogni livello della convivenza, valori
autentici e, in particolare, i valori spirituali.
Ma per quanti sono già caduti nelle spire della droga, sono necessari
opportuni percorsi di cura e di riabilitazione, che vanno ben al di là
del semplice trattamento medico, poiché in molti casi è presente
tutto un complesso di problemi che richiedono l'aiuto della psicoterapia sia
del soggetto individuale che dello stesso nucleo familiare, insieme con un adeguato
sostegno spirituale, ecc. Le droghe sostitutive, a cui spesso si ricorre, non
costituiscono una terapia sufficiente; esse sono piuttosto un modo velato di
arrendersi al problema. Solo l'impegno personale dell'individuo, la sua volontà
di rinascita e la sua capacità di ripresa possono assicurare il ritorno
alla normalità dal mondo allucinante dei narcotici.
Ma per aiutare la persona in un così impegnativo cammino, occorrono anche
degli aiuti sociali. La famiglia rimane certamente il riferimento principale
per ogni azione di prevenzione. È quanto Sua Santità ha sottolineato
in varie occasioni, senza tuttavia tralasciare di esprimere vivo apprezzamento
nei riguardi delle Comunità terapeutiche, le quali "puntando e tenendo
instancabilmente fisso l'obiettivo sul "valore uomo", pur nella varietà
delle loro fisionomie, hanno dimostrato di essere una formula buona (Insegnamenti,
VII, 2, 1984, p. 346).
6. UNA SFIDA PER LA CHIESA
In questo impegno corale c'è un ruolo che investe in modo specifico la
Chiesa: essa si sente chiamata in causa non soltanto come annunciatrice del
Vangelo, ma anche come "esperta in umanità". A coloro che vivono
il dramma della tossicodipendenza essa reca il lieto annuncio dell'amore di
Dio, che non desidera la morte, bensì la conversione e la vita. La Chiesa
si pone poi accanto a loro per intraprendere un itinerario di liberazione che
li porti alla scoperta o riscoperta della propria dignità di uomini e
di figli di Dio.
È soprattutto con questa testimonianza, che passa attraverso le variegate
forme di evangelizzazione, di celebrazioni liturgiche, di vita comunitaria,
che la Chiesa rende il suo servizio di prevenzione e di riabilitazione per quanti
sono rimasti vittime della droga. Devono sentirsi particolarmente impegnate
le famiglie cristiane, le comunità parrocchiali, le istituzioni educative.
Un ruolo speciale sono chiamati a svolgere i mezzi di comunicazione sociale
che fanno capo, a diverso titolo, alla comunità ecclesiale. Una speciale
e concreta testimonianza resta poi quella delle Comunità terapeutiche
di ispirazione cristiana, i cui metodi, pur improntati a una legittima pluriformità,
conservano sempre le caratteristiche di adesione al Vangelo e al magistero della
Chiesa.
7. L'ORIZZONTE DELLA SPERANZA
Ed eccoci, dunque, a questo Convegno che, sotto il patrocinio del regnante Pontefice,
vuole in qualche modo dare un nuovo impulso all'impegno ecclesiale in questo
settore, oltre che offrire elementi di riflessione e di proposta all'intera
società.
Sappiamo bene che la complessità del problema non autorizza alcun ottimismo
ingenuo. Ma non dobbiamo dimenticare che i motivi della speranza cristiana non
poggiano soltanto sull'impegno umano, ma anche e soprattutto sull'aiuto di Dio,
che sa moltiplicare le nostre energie. Nell'augurare, pertanto, che il Convegno
possa proseguire offrendo un grande contributo a questa nobilissima causa, desidero
concludere il mio intervento citando quanto il Papa disse davanti all'estendersi
di questo triste fenomeno nel Discorso alla conclusione della VI Conferenza
Internazionale su Droga e Alcool: "Davvero, in queste situazioni, potrebbero
sembrar forti le ragioni che inducono ad abbandonare ogni speranza. Pur consapevoli
di ciò, voi ed io tuttavia vogliamo testimoniare che le ragioni per continuare
a sperare ci sono e sono molto più forti di quelle in contrario".
Un discorso che ci apre il cuore alla fiducia e ci invita a lavorare con rinnovato
slancio a servizio di quanti il vortice limaccioso della droga rischia di inghiottire
nei suoi gorghi mortali.