ESSERE
MISSIONARI LAICI CON MADRE TERESA
Di Maria Giuseppina Scanziani
Assistendo ai funerali di Madre Teresa, mesi fa, si poteva leggere una scritta:
"Le opere dell'amore sono opere di pace". Ho voluto partire
da questo per spiegare, il più possibile con le sue stesse parole, il
significato della frase "il frutto del servizio è la pace".
Lei non avrebbe usato parole. A chi le avesse domandato spiegazioni, avrebbe
risposto, come ha fatto a me: Come and See. Vieni a vedere. Opere non parole.
"Il nostro lavoro, disse un giorno, è quello di incoraggiare
cristiani e non cristiani a fare opere d'amore. E ogni opera d'amore, fatta
con tutto il cuore, porta sempre la gente più vicina a Dio".
"Le opere dell'amore sono sempre opere di pace. Ogni volta che dividerai
il tuo amore con gli altri, ti accorgerai della pace che giunge a te e a loro.
Dove c'è pace, c'è Dio; è così che Dio tocca le
nostre vite e mostra il suo amore per noi, riversando pace e gioia nei nostri
cuori. Abbiamo il diritto di vivere felici e in pace. Siamo stati creati per
questo, per essere felici, e possiamo trovare la vera felicità e la vera
pace solo quando siamo in un rapporto d'amore con Dio: vi è gioia nell'amare
Dio, vi è grande felicità nell'amarLo".
Per seguire questo un giorno di maggio dell'anno 1987 mi trovavo a Roma, in
una piccola cappella di un convento in via Casilina. Erano le sei e un quarto
del mattino e la cappella era già affollata da un gran numero di persone
inginocchiate per terra o sedute, all'indiana, sui talloni. Tutti scalzi, le
scarpe messe in bell'ordine davanti alla porta. Sulla parete candida un crocefisso,
a lato una scritta in inglese "I thirst" "Ho sete". Accanto
a noi, inginocchiate e immerse nella preghiera, nel silenzio più assoluto,
una ventina di suore, col loro sari candido orlato da un bordo azzurro. A quindici
centimetri da me, Madre Teresa di Calcutta, che incontravo per la prima volta.
L'avevo cercata per anni, leggendo ogni riga si pubblicasse su di lei, vedendo
ogni film, informandomi sui suoi collaboratori. Per anni non ero riuscita a
trovare né lei, né alcuna persona che fosse a lei in qualche modo
vicina. Un giorno scovai il suo indirizzo su un libro, le scrissi e con mio
grande stupore mi rispose. Vi sono delle risposte che mutano la nostra vita,
ma la portata di questo mutamento si capisce solo molto più tardi.
Da allora iniziai a frequentare la Casa delle Missionarie della Carità
più vicina a me, quella di Milano, in via delle Forze Armate, 379.
"Come and see" suggerisce Madre Teresa a chi è interessato
alla sua opera. "Non offrire al povero solo il tuo denaro, offri il tuo
cuore". Così bussai a quel portone di via delle Forze Armate e fui
introdotta in una piccola cucina o in quella che aveva la pretesa di chiamarsi
tale: non sapevo cosa fare e da che parte girarmi, non avevo portato con me
neppure un grembiule che mi fu prontamente dato da una collaboratrice più
esperta: eseguivo gli ordini che mi venivano impartiti, ammirata dalla disinvoltura
delle altre. Mi misero a scegliere la frutta destinata alla macedonia e incominciai
subito ad imparare che lì la scelta è fatta in senso opposto a
quello cui noi siamo abituati: non il meglio, ma il frutto in peggiori condizioni
perché l'altro reggerà sicuramente fino al giorno dopo. Per procedere
nel cammino interiore bisogna rivoluzionare il proprio modo di pensare, cominciando
dalle cose quotidiane: ne avevo immediatamente un piccolo saggio. In un angolo
un'immensa pentola con l'acqua bollente attendeva borbottante oltre venti chili
di pasta.
Finita la macedonia, mentre qualcuno preparava il sugo per il primo piatto,
portarono un grosso prosciutto cotto da affettare rigorosamente a mano, con
coltelli che avevano dimenticato il filo da un pezzo: affettatrici, elettrodomestici,
lavatrici, compagne ormai della nostra vita quotidiana sono sconosciute alle
suore di Madre Teresa: esse non possono avere se non ciò che un povero
avrebbe: come capire i poveri, se non si condivide la loro vita? Seconda lezione.
Alla fine bisognava affettare il pane, spesso abbastanza duro, e farne porzioni
per quanto possibile uguali per non suscitare le proteste dei nostri commensali.
A questo punto le mie dita erano doloranti e le mie inutili mani da intellettuale
completamente fuori uso. A lavoro finito radunai le briciole che si erano riversate
giù dai taglieri e mi apprestavo a buttarle vie, quando fui arrestata
da una voce dolce, ma perentoria: "Non si buttano: servono per il pane
grattugiato". Per il povero anche la briciola è preziosa. Terza
lezione.
Per fortuna erano intanto arrivate le sei, la cena era pronta e bisognava servirla:
a Milano, ogni sera, ricevono un pasto più di 200 poveri, extracomunitari,
disperati. Mi accorsi che mentre noi lavoravamo in cucina, una squadra di altri
avevano preparato il refettorio, altri avevano organizzato la cena per i vecchi
e le donne residenti in un locale del piano superiore, alcuni avevano dato lezioni
di catechismo e altri ancora avevano consegnato a famiglie povere della zona
un sacco di spesa a loro riservato. Ma da dove veniva tutta quella roba? "La
provvidenza!". Mi rispose una suora. Ogni giorno non si sa cosa si potrà
offrire al povero e ogni giorno c'è qualcuno che porta inaspettatamente
ciò che occorre. "Non avere paura del domani, affidati!" Quarta
lezione.
Dopo cena, lavammo i piatti e rimettemmo in ordine, perché tutto fosse
pronto per il giorno successivo. Ero sfinita, ma catturata da una gioia misteriosa
e da una pace che non avevo mai provato: "Come and see", cominciavo
a capire. La sua dolcezza era tale che non ne avrei più potuto fare a
meno. La vita esteriore non mutò molto, ma quella interiore ha subito
e subisce una vera rivoluzione.
Fu per non perdere questa gioia e aderire a quest'amore straordinario, non mio,
che feci una scelta più radicale: diventare Missionaria Laica della Carità.
Cosa significa questo?
Risponde Madre Teresa: "Permettere a Gesù di servirsi di noi senza
chiedercene il permesso". Ciò non comporta un grande cambiamento
esteriore della propria vita, ma certo una vera rivoluzione interiore: il Missionario
continua a fare il proprio lavoro (ci sono impiegati, insegnanti, studenti,
medici, giuristi, scrittori, casalinghe), vive in maniera intensa la propria
vita familiare, partecipa, per quanto gli è possibile, alla vita dei
Missionari della Carità, facendo capo a una delle Case delle Suore o
dei Fratelli e condividendo le loro opere a favore dei più poveri fra
i poveri: barboni, ammalati, anziani, abbandonati, rifiutati, soli.
Le parole più illuminanti per capire l'azione e il modo di vita dei Missionari
laici della Carità sono contenute nelle loro stesse Regole. Il missionario
è colui che vive di preghiera, facendo di ogni atto, parola, sguardo,
sorriso, una preghiera; colui che ama con gioia il sacrificio e le umiliazioni
e si abbandona in Dio con filiale fiducia; colui che testimonia la propria fede
in casa, in ufficio, nei campi, in un letto d'ospedale, nello sport, nella scuola,
in officina, in giacca e cravatta, in tuta da lavoro, ovunque vada e si trovi;
colui che rinuncia a spolverare la sua casa, per andare a spolverare quella
dell'ammalato, colui che, anteponendo il povero a se stesso, va avanti con il
frigo vecchio e ne compera uno nuovo al povero che ne ha bisogno, cammina con
le scarpe rotte, ma ne acquista delle nuove a chi è scalzo; colui che
ama sempre per primo, senza mai pretendere di ricevere ...
Il primo campo d'azione nell'amare e servire è la famiglia, il secondo
è la famiglia e il terzo è la famiglia, poi vengono i poveri del
pianerottolo, poi quelli del palazzo, poi quelli della parrocchia, del quartiere,
del rione, poi i poveri delle Suore Missionarie della carità, poi i Missionari
della Carità, poi Le Missionarie della Carità, infine tutti gli
altri.
La scrittura dice "La carità comincia nella propria casa";
e Madre Teresa ripete: "L'amore inizia in famiglia. Se non ci amiamo l'uno
l'altro nelle ventiquattro ore, come potremo amare quelli che incontriamo solo
occasionalmente?"
Il nostro quarto voto (Servizio gratuito e di tutto cuore ai più poveri
fra i poveri) è osservato portando l'amore di Dio ai familiari, ai prossimi,
ai colleghi, agli allievi, che di questo amore hanno bisogno. I più poveri
tra i poveri sono spesso coloro, accanto a noi, che soffrono, che combattono,
che dubitano, che si ribellano.
Madre Teresa ha detto: "La peggiore malattia oggi non è la lebbra,
ma essere esclusi, essere dimenticati. Il peggiore flagello è dimenticare
colui che ci sta accanto, essere soffocati, per così dire, dalle cose,
non avere tempo per Gesù abbandonato, magari in quella stessa persona
della nostra famiglia, che ha bisogno di noi".
Appartenendo alla famiglia di Madre Teresa ho capito il vero significato di
una sua risposta, a chi le chiedeva se le Missionarie della Carità si
proponessero qualche messaggio religioso particolare per mezzo del loro lavoro:
"L'amore non ha altro messaggio che se stesso. Noi ci sforziamo di vivere
in maniera concreta l'amore di Cristo in ognuna delle nostre azioni di ogni
giorno. Se facciamo qualche predica, consiste in fatti e non in parole. È
la nostra testimonianza evangelica".