MA
DOVE VANNO I PO?
Di Roby Noris
Caritas Ticino dopo 10 anni di programma occupazionale, sta oggi riflettendo
sulle prospettive di questa misura che è stata sempre considerata come
uno strumento interessantissimo di lotta alla disoccupazione. Ma oggi il clima
della riflessione è caratterizzato da una domanda preoccupante sul senso
stesso dei programmi nei prossimi anni, più che dalla celebrazione di
un anniversario. Il cambiamento delle disposizioni della legge federale ci pare
rischi di snaturare sempre più i programmi: vediamo perché.
La caratteristica dei PO che abbiamo difeso sempre strenuamente finché
abbiamo potuto, era quella di essere posti di lavoro "normali" dove
la nozione fondamentale di scambio fra prestazione lavorativa fornita dall'utente
del PO e un salario corrispondente, era salva. Questo permetteva di aiutare
disoccupati di lunga durata a riprendere contatto con il mondo del lavoro recuperando
il ritmo e le modalità necessarie a potersi ricollocare nel mercato del
lavoro. Poi le cose hanno cominciato a guastarsi quando due anni fa i PO hanno
perso la possibilità di far riguadagnare le indennità di disoccupazione:
cominciava così a diventare difficile far credere che quello era un posto
di lavoro normale. Ma rimaneva comunque almeno la nozione di salario "vero"
su cui far leva. L'anno scorso si è cominciato a minare anche questa
idea con nuove tabelle salariali stabilite indipendentemente dal lavoro svolto
e infine da gennaio quel che resta del "salario" è pagato dalle
casse disoccupazione come le indennità, secondo un calcolo che si riferisce
sempre più alle indennità relative all'ultimo salario percepito.
L'ultima spiaggia sarà cambiargli nome e far saltare anche la definizione
di "salario" che rischia di creare qualche problema legale con ricorsi
al tribunale federale. Sembra infatti che il tribunale federale potrebbe essere
imbarazzato di fronte al dilemma "perché un lavoro salariato, anche
se PO, non fa maturare il diritto alle indennità di disoccupazione come
qualunque attività salariata?", e la situazione pare si risolverebbe
semplicemente rinominando il salario dei PO come indennità.
A dir la verità a gennaio avevamo potuto pagare ancora direttamente i
salari agli utenti del nostro PO perché l'autorità cantonale,
comprendendo la nostra preoccupazione, aveva voluto concederci questa eccezione
in ragione del carattere particolare del nostro programma che accoglie disoccupati
"generici" e difficili da ricollocare. Ma dopo il primo pagamento
una serie di difficoltà tecniche sul passaggio di dati sulle trattenute
fra le casse disoccupazione, garanti e responsabili dei salari e il nostro sistema
amministrativo, hanno messo alle corde il sistema. Da febbraio quindi anche
nel PO di Caritas Ticino si lavora ma si è pagati dalla cassa disoccupazione.
Ora la difficoltà sta nel riuscire a motivare gli operai che in fondo,
sia che lavorino sia che si rifiutino, alla fine potrebbero ottenere praticamente
ancora le stesse indennità di disoccupazione. Non essendoci più
incentivi di tipo economico e non essendoci più i salari del PO, diventerà
impresa ardua se non impossibile, motivare i disoccupati nelle attività
proposte. Ma se non si riuscirà più a proporre un percorso "pedagogico"
che aiuti a percorrere le tappe consecutive di quel modello di lavoro necessario
per re-immettersi nella dinamica del mercato del lavoro, il rischio di trasformare
i PO in parcheggi di tipo assistenziale diventerà triste realtà
quotidiana: in questo caso che significato avrebbe per Caritas Ticino - ma penso
anche per molti altri - continuare a impegnarsi nell'organizzazione di PO sostanzialmente
inutili per i disoccupati con più difficoltà di re-inserimento?
Speriamo di sbagliarci e di trovare quindi, con molta fantasia, la strada per
riproporre l'originalità di questa misura nonostante i cambiamenti sopra
descritti che sembrano snaturarla.