CERCASI DISOCCUPATI DISPERATAMENTE
Dove sono finiti i disoccupati che potrebbero utilizzare i programmi occupazionali? L'allarme del PO di Caritas Ticino

A cura di Roby Noris



Allarme paradossale, quello lanciato da Caritas Ticino che nel suo programma occupazionale (PO) con 180 posti di lavoro attualmente in quattro sedi, ne ha 60 liberi e non trova disoccupati per svolgere le attività. Se il programma non servisse più perché la disoccupazione è finita si potrebbe festeggiare, invece nelle statistiche ticinesi figurano ancora 8'000 disoccupati a cui vanno aggiunte 4/5'000 persone in cerca di lavoro e 1'600 persone in assistenza provenienti dalla disoccupazione. Ma allora dove sono finiti i disoccupati che potrebbero utilizzare i PO? Per capire cosa stia succedendo Caritas Insieme TV ha incontrato Nicola Giambonini capo ufficio cantonale del lavoro e Meinrado Robbiani segretario cantonale dell'OCST.

D: 60 posti liberi, non occupati, su 180 nel nostro PO: ci sono troppi posti nei programmi occupazionali?
R:
Il Canton Ticino sta aumentando la sua offerta di misure attive rivolte ai disoccupati, da circa 5 anni. Ogni anno direi che si raddoppia quasi il numero di possibilità formative occupazionali rivolte ai disoccupati. Siamo senz'altro arrivati ad un limite che è quello di avere il 40% di disoccupati che per esempio nel 1997 ha svolto una misura attiva. Ciò dimostra che il Cantone fa molto per i disoccupati, però se 4 persone su 10 svolgono le misure, restano le altre 6. Dunque riteniamo che a livello quantitativo oggi esistano i numeri per far partecipare sufficienti disoccupati alle misure offerte oggi dalle varie organizzazioni. Il problema è concreto, comunque, lo vediamo ed è urgente risolverlo. Ritengo che sia principalmente dovuto a due fattori: un assestamento della Legge entrata in vigore al 1° gennaio 1996, ma che ha avuto le sue principali modifiche per quanto riguarda i programmi occupazionali, il 1° gennaio 1997. Ora il programma non permette più al disoccupato di maturare delle indennità di disoccupazione. Dunque ha perso un certo interesse e gli uffici di collocamento hanno più difficoltà a trovare persone che volontariamente domandano di accedere ad una misura occupazionale. Il secondo aspetto è legato strettamente a questo: non trovando più le persone o un sufficiente numero di persone che lo fanno volontariamente, il consulente del personale il collocatore, gli uffici di collocamento deve cominciare a obbligare il disoccupato ad accettare un'occupazione temporanea. Questo è un processo di maturazione anche del consulente, che oggi è chiamato ad applicare una legge, la legge sull'assicurazione disoccupazione, che chiama gli uffici dei lavoro ad attivare quei disoccupati che dopo circa sette mesi, dunque dopo 150 indennità percepite dall'assicurazione, non hanno un loro progetto chiaro e non hanno in vista una soluzione dal punto di vista dei mercato del lavoro. Davanti a quest'emergenza, l'ufficio cantonale del lavoro ha invitato tutti gli uffici di collocamento regionali, a procedere ad una verifica sistematica di tutti i disoccupati che hanno esaurito 150 indennità e che non hanno niente in vista. Nel corso dell'ultimo mese gli uffici hanno svolto questa verifica, e sono adesso pronti ad inviare un numero importante di disoccupati agli organizzatori di misure attive. È evidente che questo è un cambiamento forte di indirizzo. Noi chiediamo oggi al consulente del personale che lavora al fronte con le persone senza lavoro, di parlare in modo chiaro all'assicurato, dicendogli che lui è tenuto a seguire una misura del mercato del lavoro: è una condizione vincolante prevista da un articolo della Legge e se un disoccupato rifiuta una misura attiva, può essere privato del diritto alle indennità. Gli uffici del lavoro devono lavorare in questo senso ed è la legislazione che siamo chiamati ad applicare che lo esige. Dunque l'efficacia di questa nostra decisione sarà verificata alla fine di luglio; si tratta di correre ai ripari e segnalare queste persone disoccupate agli organizzatori di programmi. Secondariamente questo ci deve però far riflettere sulla quantità totale di misure che sono offerte ai disoccupati. A mio parere oggi, a livello quantitativo, il Ticino offre molto, ma offre una quantità adeguata di misure. Non siamo però ancora a posto a livello qualitativo, e per questo intendo l'adeguamento delle misure rispetto ai bisogni del disoccupato e del mondo del lavoro. Non escludo che oggi ci sia una sovrabbondanza di offerta in certi settori professionali e una lacuna in certi altri. Questo è il compito del nostro centro delle misure attive, che pianificherà le offerte del 1999. E proprio a questo scopo abbiamo deciso quest'anno di chiedere di inoltrare tutte le offerte per le misure attive del 1999 entro il 31 agosto per avere il tempo di valutarle e coprire nella misura più omogenea possibile, tutti i settori professionali e le esigenze del mercato del lavoro. Per farlo lavoriamo sui dati del 1997 molto approfonditi, lavoriamo sui dati generali della disoccupazione, dunque chi è il disoccupato tipo in tutti i settori professionali, e dall'altro lavoriamo su tutti i posti vacanti che sono segnalati agli uffici, per capire quali sono le figure professionali che oggi mancano. Le esigenze sono molto variegate, non c'è da aspettarsi di trovare un settore dove c'è una grande domanda di mano d'opera, però la difficoltà sta proprio nel fatto che le esigenze sono piccole e in tanti settori. Un altro elemento che ci fa dire cosa vuole il mercato sono le domande di mano d'opera estera che pervengono all'ufficio mano d'opera estera. Questo ci dà indicazioni su che tipo di professionalità i datori di lavoro oggi vanno a cercare oltre frontiera. Con tutti questi dati intendiamo pianificare il 1999 in modo che questi problemi non si ripetano più, se necessario riducendo un po' l'offerta, ma soprattutto mirandola meglio sui settori professionali.


D: In sostanza si obbligheranno i disoccupati a partecipare ai PO invece di lasciarli scegliere come fatto finora?
R:
Noi consideriamo i posti messi a disposizione degli organizzatori di programmi occupazionali, come dei veri e propri posti di lavoro. Dunque se è una persona non è disposta ad accettare un programma occupazionale, ci domandiamo che tipo di motivazione ha nell'accettare un posto di lavoro sul mercato, chiamiamolo pure vero. In questo senso davanti all'obbligo di presentarsi in un programma e cominciare un'attività, magari che non corrisponde ai propri ideali, ogni tanto abbiamo la sorpresa di vedere un disoccupato trovare subito un posto di lavoro, o togliersi semplicemente dalla disoccupazione perché si è reso conto che l'ufficio di collocamento adesso è diventato più attivo, che lo segue, che gli fa delle offerte e non si può più semplicemente stare fra i ranghi dei disoccupati, senza essere troppo disturbati.


D: Sono ancora utili i programmi di tipo produttivo imprenditoriale come quello di Caritas Ticino.
R: Caritas non è l'unica che offre programmi del genere, ma forse è l'unica che ha una struttura che assomiglia un pochettino ad un'azienda, perché ha sempre le stesse attività, ha delle date di consegna, che dunque simulano, copiano la realtà di un'azienda. In questo senso è esattamente, anche se con qualche nuance la situazione che ci si ritrova poi nel mondo del lavoro presso una qualsiasi azienda. Se parliamo di mano d'opera non qualificata, direi che la carta che una persona senza qualifiche, si gioca sul mercato del lavoro, è proprio la sua disponibilità di mettere a disposizione la sua forza lavoro a un potenziale datore di lavoro, occupandosi di attività molto diverse fra di loro. Quale migliore prova delle proprie buone attitudini, può dare un disoccupato a un datore di lavoro che entrare in un programma di questo tipo, un programma produttivo. Un datore di lavoro che cerca un generico, per delle attività di tipo manuale, venendo da voi può capire se una persona si è messa a disposizione con un certo entusiasmo nello svolgere il suo lavoro: è senz'altro la miglior carta da visita che può presentare.

D: Il Cantone ha ancora bisogno degli organizzatori di PO o questi partner non servono più?
R: Da un lato siamo, nel corso degli ultimi due anni, confrontati a una situazione nuova, che è quella che l'ufficio del lavoro gestisce o si vede indirizzare una quantità nettamente superiore di offerte a quella che può effettivamente realizzare. Dunque, se la vogliamo chiamare concorrenza, questa oggi esiste e il Canton Ticino, forse più di altri, ha visto questa esplosione; e probabilmente si è anche equivocato su questa situazione, nel senso che da alcuni questa opportunità è stata colta, non tanto per fare delle speculazioni e per guadagnare, ma più che altro magari per trovare una via propria. Dunque c'è stato chi, magari da disoccupato, è diventato organizzatore di misure. Oggi comunque sono restati coloro che lo sentivano un po' come una missione anche, perché avere a che fare con strutture che superano i 5, 10 disoccupati da far lavorare, diventa un vero e proprio problema perché per esempio in una struttura come Caritas, che ha periodicamente 180 persone che lavorano nei suoi ateliers, si ritrova a dover cambiare continuamente le persone. È più difficile gestire 180 disoccupati che 180 dipendenti, questo è innegabile. Dunque la somma di problemi che viene a crearsi, fa sì che per garantire un programma di qualità, chi lo gestisce deve metterci molto di risorse personali, psichiche, fisiche e tutto il resto. Comunque c'è un aumento degli attori su questo pseudo mercato, e questo causa senz'altro un problema al Cantone che è quello di fare una scelta, fra a chi assegnare questi mandati. Noi non possiamo, a mio parere, fare a meno di avere dei partner affidabili, che non crescano la mattina e muoiano la sera, ma avere la garanzia che dall'altra parte c'è qualcuno di competente che è abituato ad avere a che fare con persone a volte anche in difficoltà. Dobbiamo cercare di avere un numero ridotto di partner, per esempio anche domandando, sempre di più all'esterno di consorziarsi, di mettersi insieme, di creare di gruppi di Comuni, o una regione, o riunirsi sotto un Ente turistico, per organizzare progetti in quella regione, in modo da avere un partner solo che ci possa garantire che le persone siano seguite, che dunque ci garantisca una certa qualità. È la direzione che stiamo prendendo. Dunque non potremo fare a meno di partner, con una certa struttura.

D: Si poteva evitare questa situazione di sottooccupazione dei PO oppure era inevitabile?
R:
Non era inevitabile, ma è una situazione che viene a crearsi, e di cui dovremo tener conto anche perché una certa ripresa sul mercato del lavoro, ha fatto sì che numerosi disoccupati ritrovassero un posto di lavoro, ma oltre tutto che nelle liste della disoccupazione restassero persone che hanno una certa attività. Per esempio, questi sono dati statistici, sappiamo che circa il 30% dei disoccupati iscritti usufruiscono della possibilità di percepire un guadagno intermedio. Questo significa che o hanno un'attività a tempo parziale e sono ancora iscritti per la differenza; o addirittura hanno un'attività a tempo pieno, ma che gli garantisce un salario inferiore a prima e dunque hanno diritto ancora ad una differenza dalla disoccupazione. Questo numero di persone aumenta, oserei dire per fortuna, vuol dire che si comincia ad arrivare ad avere piccole attività, magari a tempo parziale e questo è positivo. Ma dal punto di vista statistico, non possiamo più fermarci a dire che ci sono 8'000 disoccupati più 5'000 cercatori di impiego e dire perciò che cerchiamo gente da mandare nei programmi in un bancino fra gli 8 e i 13'000 disoccupati. Cominciano ad esserci situazioni molto diverse. Dunque all'organizzatore noi cominceremo a chiedere di accogliere nei programmi anche coloro che hanno un'attività a tempo parziale, che lavorano al mattino ma che al pomeriggio possono venire al programma. Questo va incontro oltre tutto anche ad esigenze concrete, per le quali siamo anche sollecitati da interrogazioni parlamentari, a fare qualcosa per mettere a disposizione misure rivolte in particolare alle donne. Spesso, uno dei problemi, è quello di trovare delle attività temporanee compatibili con la situazione familiare della disoccupata. In questo senso chiederemo agli organizzatori di trovare delle formule flessibili per accogliere anche queste persone nei programmi.

D: Caritas Ticino non riesce a occupare 60 posti di lavoro su 180 del suo PO. Vuol dire che in Ticino la disoccupazione è finita?
R:
Se fosse così gradirei una bottiglia di champagne. Purtroppo non è il caso. I dati, infatti, pur se in riduzione rispetto ai mesi scorsi, manifestano la presenza di una disoccupazione tuttora preoccupante, sempre ai primi livelli rispetto al resto della Svizzera. È pur vero, però, che l'aspetto della carenza di disoccupati da inserire nei programmi occupazionali, va affrontato seriamente, anche perché mette in risalto qualche cosa che non funziona ancora a dovere nell'ambito della disoccupazione. E in questo ambito giocano vari elementi. Il primo, giustamente, è una certa contrazione del numero dei disoccupati, diminuzione benvenuta sia ben chiaro. Un secondo è sicuramente quell'assestamento che è in atto a livello degli uffici regionali di collocamento, dove si è fatto un notevole sforzo di potenziamento anche del numero di collocatori, ma che hanno bisogno di un certo periodo per entrare nel vivo del servizio stesso. Un altro elemento è che la nuova legge ha cercato di stimolare giustamente il ricorso a interventi attivi nei confronti dei disoccupati, che facilitano poi il loro reinserimento. Di conseguenza molti disoccupati sono chiamati a partecipare a tutta una serie di misure che rende probabilmente più difficile reperire dei disoccupati rispetto al passato. Ho l'impressione che per quanto riguarda specificamente il tema dei programmi occupazionali, forse si sono date in queste ultimi tempi eccessive autorizzazioni agli organizzatori dei programmi di occupazione in modo che forse oggi l'offerta di programmi rischia magari di risultare eccessiva rispetto alla rapidità con la quale gli organismi dediti al ricollocamento riescono poi a deviare persone disoccupate all'interno di questi stessi programmi. Quindi un aspetto di tipo organizzativo che comunque merita di essere affrontato con la dovuta serietà perché è in gioco certamente anche la sussistenza di questi stessi programmi d'occupazione nella misura in cui non dovessero riuscire a condurre la propria attività proprio per carenza di disoccupati. C'è di mezzo in fondo vi è la credibilità di tutto il sistema, alla fine la credibilità anche dei disoccupati stessi, perché sembrerebbe quasi che il disoccupato non sia disponibile.

D: Oggi i PO sono meno interessanti e meno attrattivi?
R:
Indubbiamente il programma occupazionale ha perso un po' quel suo alone di prestigio o di utilità immediata che aveva prima quando consentiva soprattutto a chi era alla fine del diritto alle indennità di seguire il programma e di rimaturare un nuovo diritto alle indennità stesse. Questo, purtroppo, è venuto meno per cui l'attrattività sul disoccupato è chiaramente andata riducendosi. Però il programma occupazionale rimane di grande importanza perché consente veramente, lo vediamo dalla nostra esperienza, al lavoratore disoccupato di mantenersi in un clima, in un ambiente di lavoro, di mantenersi in un ritmo anche di orari di lavoro, di non perdere il contatto diretto con le attività, di mantenersi soprattutto in contatto anche con altre persone, quindi di non perdere motivazione, di non perdere fiducia in sé stesso. (...) Quindi da questo profilo il programma occupazionale rimane sicuramente una misura decisiva cruciale. Inoltre vi è un altro elemento che va richiamato: per i nostri programmi di occupazione, ma so che anche per Caritas Ticino l'esperienza è analoga, la percentuale di ricollocamento è molto interessante, a occhio e croce attorno al 50%. Questo anche con personale generico, senza una formazione specifica.

D: Questo è un segnale interessante anche di una certa ripresa?
R:
Sicuramente. Infatti non tutto è ricollegabile al programma in quanto tale, però comunque sicuramente favorito nella misura in cui in questo periodo intermedio di disoccupazione, il lavoratore non ha perso quegli elementi a cui accennavo prima e quindi di contatto, di abitudine al lavoro, ecc. Ecco, sono elementi che da soli parlano a favore di una valorizzazione ulteriore dei programmi di occupazione.