Come studenti innalzarono barricate per un mondo migliore al grido di: "Fate l'amore, non la guerra!", lasciando riecheggiare la canzone dei Beatles da un campus universitario all'altro, ovunque nel mondo, e specialmente negli Stati Uniti, all'epoca impegnati nella tragica guerra del Vietnam. Nella Chiesa, il rinnovamento teologico e liturgico inaugurato dal Concilio Vaticano II scosse antiche certezze. Sembrò che perfino i più tradizionali insegnamenti della Chiesa dovessero soccombere al vento dei cambiamenti.
Il tema del "controllo delle nascite" era all'ordine del giorno. La televisione aveva posto Europa e America faccia a faccia con le stragi provocate dalla carestia. Abili propagandisti convinsero il mondo che l'umanità era ormai minacciata da se stessa: bisognava fronteggiare l'esplosione demografica. La tecnologia, venne di continuo ripetuto, ha trovato nella "pillola" lo strumento per regolare il tasso di crescita e sconfiggere in futuro lo spettro della fame.
La "pillola contraccettiva" divenne il simbolo della rivoluzione sessuale, in particolar modo per il movimento femminista. Le femministe videro in essa la via, data per la prima volta nella storia alle donne, per cui le donne potevano liberare se stesse da quella che Simone de Beauvoir ebbe a indicare come "la loro schiavitù nei confronti dei loro corpi". La pillola parve d'altro canto offrire una soluzione ideale per risolvere i gravi dilemma morali provocati dalle coppie che, per una ragione o per l'altra, non erano più nelle condizioni di avere altri figli.
Anche i teologi moralisti si chiesero se tale mezzo poteva essere effettivamente accettabile in vista di un fine moralmente buono. Potrebbe forse risiedere qui la via per vivere, da parte delle coppie cristiane, il loro matrimonio secondo quell'accentuazione, pure conciliare, posta sull'amore coniugale e sull'intrinseco valore delle sue espressioni sessuali? Molti mostravano crescente apprezzamento verso simile tesi. Altri ne vennero incoraggiati dalla notizia, subito entusiasticamente diffusa dalla stampa, secondo la quale, all'interno della speciale commissione voluta già da Giovanni XXIII e incaritata di esaminare la questione, una maggioranza si stava ormai profilando favorevole "all'aggiornamento" della dottrina.
Ma Papa Paolo VI confuse tutti quando, il 29 luglio 1968, pubblicò I'Enciciica Humanae vitae. Il mondo occidentale rimase sbalordito. Nel giro di pochi giorni il teologo americano Charles Curran organizzò una raccolta di centinaia di firme di altri colleghi teologi che dissentivano dall'insegnamento. La rivoluzione irruppe nella Chiesa. Il "dissenso" era nato.
Leggere
un testo, anziché formarsi su di esso un giudizio basato su informazioni
di seconda mano, è segno di sanità intellettuale. Se, pur con
trepidazione, ci si dovesse accostare a questo documento (breve e di non difficile
lettura), ci si accorgerebbe, forse con stupore, della sua forza convincente,
della sua probante ragionevolezza: insomma, della sua liberante verità.
Ma era allora ed è ancora oggi una sfida immensa: il successore di Pietro
non ha cessato di esserne consapevole.
Humanae vitae insegna che l'atto d'unione dell'uomo con la propria moglie deve
rispettare l'intrinseco significato procreativo. Unione e procreazione sono
i due aspetti inscindibili dell'atto matrimoniale: dall'esperienza del dono
di sé nell'amore coniugale aperto alla trasmissione della vita si riconosce
come l'essere umano non sia il padrone della vita, ma il ministro del disegno
inscritto da Dio nella natura della sua persona. Salvaguardando ambedue questi
aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l'atto coniugale conserva integralmente
il senso di mutuo e vero amore e il suo ordinamento all'altissima vocazione
dell'uomo alla paternità. La continenza periodica, i metodi di regolazione
delle nascite basati sull'autoosservazione e il ricorso ai periodi infecondi,
mentre rispettano il corpo degli sposi, favoriscono l'educazione ad una libertà
autentica. Sia Egli riconosciuto o no, Dio è infatti presente nell'amore,
nell'amore sessuale, di un uomo e di una donna sposati. Era per proteggere questa
verità essenziale, che Paolo VI promulgò, trent'anni fa, l'Enciclica
Humanae vitae.
Humanae vitae concerneva d'altronde più della semplice moralità coniugale. Era infatti in gioco, oggi come allora, la natura stessa della moralità. II Papa rifiutò l'idea, già molto in voga all'epoca, secondo cui "moralità" è ultimamente questione di scelte e decisioni personali. Stava cominciando a prendere sempre più piede l'opinione per la quale un atto non può essere buono o cattivo in se stesso, dipendendo interamente dalle circostanze o dalle buone intenzioni di colui che reagisce. Humanae vitae insegnò che la contraccezione era sempre cattiva, a prescindere dalle circostanze, e fu proprio questo principio "si danno atti in sé cattivi" la principale fonte del contenzioso protrattosi, anche dentro la Chiesa, per tre lunghi decenni.
L'Enciclica metteva ancora in luce il problema dell'autorità della Chiesa in ambito morale. La Chiesa, "colonna e sostegno della verità" (1 Tm 3, 15), "ha ricevuto dagli Apostoli il solenne comandamento di Cristo di annunziare la verità della salvezza" (Lumen gentium, 17). Forse che per lungo tempo si era ingannata, forse che per lungo tempo aveva guidato gli uomini per vie traverse, avendo essa sempre insegnato che la contraccezione è un atto cattivo? Noi cristiani crediamo che la Chiesa è assistita dallo Spirito Santo, che lo Spirito Santo guida il Papa e i Vescovi nelle decisioni attinenti la fede e la morale. Humanae vitae fu un modello di consultazione. II Papa ascoltò gli esperti, consultò medici, teologi, famiglie, ma l'emettere il giudizio definitivo dipendeva unicamente dalla sua personale responsabilità davanti a Dio. Paolo Vi fece così, perfettamente cosciente di parlare quale successore di san Pietro, il Vicario di Cristo.
Nessuno
dubita che esistano dilemma morali reali di fronte a cui le coppie possono essere
poste, per esempio allorché la salute di una donna non è più
in grado di sopportare una nuova gravidanza. Paolo VI lo comprese e manifestò
grande compassione per chiunque si fosse trovato in circostanze simili. La Chiesa
ha sempre insegnato che la responsabilità personale può essere
mitigata in ragione di determinate situazioni. Ma ciò che la Chiesa non
potrà mai affermare è che, in una qualunque situazione determinata,
l'uso dei contraccettivi sia una cosa buona.
Su scala mondiale, il sogno utopico degli anni Sessanta ha prodotto l'incubo
dei terrorismo, l'entrata dei carri armati a Praga, il terrore dei regimi comunisti
sovietico e cinese, con i loro innumerevoli martiri. Il rifiuto di Humanae vitae
denotò il rifiuto di un ordine morale oggettivo. Perché allora,
in fondo, la violenza non dovrebbe poter risultare giustificabile? Quando i
sogni non si materializzano, sono in molti ad imboccare la strada che ad essa
conduce. E da lì ad invocare argomenti per giustificare, in circostanze
determinate, l'uccisione del bimbo già concepito nel grembo della madre,
del vecchio non più autosufficiente o del malato terminale, il passo
è breve. Le istituzioni dotate di potere economico dettano a chi potere
non ha come regolarsi sulle questioni più sacre riguardanti la vita e
la morte.
Separato
il significato unitivo dal significato procreativo dell'atto coniugale è
divenuto di recente possibile avere procreazione senza unione coniugale: la
"produzione di bambini in laboratorio", dopo lunghi esperimenti condotti
su embrioni umani, appare ormai un dato acquisito. Humanae vitae prevedeva le
conseguenze che i rapporti sessuali, collocati al di fuori dell'amore e dell'obbedienza
a Dio, avrebbero comportato. Coloro che nutrono risentimento contro Paolo VI
e la Chiesa Cattolica per aver osato parlare negli anni Sessanta e per continuare
a farlo ora a fine Millennio, dovrebbero forse ricordarsi di una cosa. Nel promulgare
la sua Enciclica, il Papa aveva in fondo un solo compito da svolgere: indicare
a tutti la via da percorrere per agire bene, per piacere a Dio nella verità
di sé e nel rispetto della propria dignità, dunque per essere
felici. Dio sceglie i deboli per confonderei forti. Un debole, fragile, vecchio
uomo, Papa Paolo VI, tenne trent'anni fa testa ai potenti di questo mondo. Conscio
della sua insostituibile responsabilità per l'annuncio del Vangelo di
Cristo e della verità dell'uomo, ascoltò pazientemente ogni argomento
e, in quanto successore di Pietro, obbediente in coscienza solo a Dio, disse
la verità sull'amore umano di fronte ad un mondo osannante l'arbitrio.
Solo la verità rende liberi. E la verità, per il mondo, è
sempre inopportuna.
* Professore di Teologia morale fondamentale alla Facoltà di Teologia
di Lugano