SE VOLETE ACCOGLIERE, IMPARATE A CHIEDERE

Di Dante Balbo



L'accoglienza non è né un miraggio, né un'esperienza automatica, ma ha bisogno di un incontro dove nascere, di una casa dove crescere, di una famiglia ove dimorare

L'esperienza dell'accogliere, oggi quanto mai attuale, sia come modo di fronteggiare il fenomeno della nuova immigrazione, sia come strumento per rispondere alle più diverse solitudini, è una preziosa, caratteristica ricchezza del nostro tessuto sociale, delle nostre istituzioni, delle nostre famiglie. Perciò, una famiglia che si interroghi sul proprio posto nel mondo e sulla propria crescita umana e sociale, non può non fare i conti con questa domanda di apertura cui è chiamata dalle circostanze della vita. Noi e altre famiglie, nell'ambito di un cammino che chiamiamo della Montanina, dal nome della casa dove spesso si sono tenuti gli incontri in questi anni, abbiamo avuto la fortuna di parlarne con chi di questa realtà ha fatto uno stile di vita. Riportare una sintesi della loro testimonianza, ascoltata il 24 ottobre 1998 al liceo diocesano di Lucino a Lugano, mi sembra un modo efficace di condividere con i nostri lettori qualcosa intorno ad una questione che, al di là dei profughi, interpella la nostra vita.


PRESENTAZIONI

"Siamo una coppia, viviamo in un piccolo paesino del Ticino, abbiamo due figli nati nella nostra famiglia e una bambina a noi affidata."


È IN UN INCONTRO CHE UNO CAMBIA "I CONCETTI CREANO GLI IDOLI, SOLO LO STUPORE CONOSCE"

Siamo una famiglia in cammino e a un certo punto di questo percorso io, ho letto un libro che mi ha affascinata. S'intitolava "Accoglienza volto del gratuito" e parlava dell'esperienza di un gruppo di famiglie che hanno fatto dell'accoglienza uno stile di vita, un modo di rapportarsi fra loro e con il mondo. Poi le abbiamo incontrate, queste famiglie e, invece di deludermi, sono state meglio del libro, perché erano vere, felici, autenticamente aperte alla Totalità, impegnate a giocarsi di persona in un'avventura esaltante, quella della vita piena, dello sguardo a tutto tondo, dei mondo abbracciato qui e adesso. Il libro aveva preso vita e quella vita mi piaceva molto e avrei voluto diventasse anche la nostra, cioè mia e della mia famiglia.


PORRE I PROPRI DESIDERI IN UN LUOGO AL QUALE TU APPARTIENI, GENERA GIA UN CAMBIAMENTO (LA TUA FAMIGLIA È PERCHÉ RESPIRA IN UN LUOGO DI ACCOGLIENZA CHE LA AMA PER QUELLO CHE È).

II desiderio è cresciuto, nella nostra vita ordinaria, con i figli che arrivano, uno diverso dall'altro. Il secondogenito mi ha creato problemi enormi al parto, sono stata malissimo, ma allora è intervenuto mio marito, che parla poco, ma quando parla ... "La nostra casa resta aperta". Ma per crescere e rimanere vivo, il desiderio di accogliere, di rimanere accoglienti, ha bisogno di una casa più grande, di una "Fraternità" in cui sostenerci gli uni gli altri, ammonirci, esortarci, in una parola, Camminare insieme.


LA VITA È UN DONO, LA VITA È UN COMPITO AL QUALE RISPONDERE UNO NON SI DEVE INVENTARE NULLA, DEVE SOLO LASCIARSI EDUCARE DALLE CIRCOSTANZE, MANTENENDO DESTO IL DESIDERIO DAL QUALE È PARTITO

Dalla Fraternità ci venne dato un compito: diventare amici di chi come noi aveva questo desiderio dell'accoglienza.
II motivo di un simile compito è semplice: Gesù ci ha scelti insieme, perché il mondo lo conosca. L'amicizia con queste persone ci ha maturato, educandoci a capire che l'accoglienza non vuol dire necessariamente avere in casa qualcuno, ma anzitutto guardare ciò che la vita ti chiede, nella tua realtà, con disponibilità totale. Quello che la realtà ci proponeva eravamo noi, l'uno all'altra, marito e moglie, ma anche genitori e figli e poi ... Poi tutti coloro che la vita ci porta accanto. Pensavamo di aprire la nostra casa a miriadi di bambini e la prima ad essere accolta fu una zia anziana, cui seguì la sorella. Poi venne la mamma, che da sola non ce la faceva più, poi un nipote i cui genitori erano in grande crisi di coppia.


L'ACCOGLIENZA È UNA DISPONIBILITÀ TOTALE ALLA PERSONA PERCHÉ C'È

Accogliere non è sempre un'esperienza di gioia, nel senso della gratificazione. Spesso si sperimenta l'impotenza, la frustrazione, il senso profondo di ferite che erano rimaste sopite per molto tempo e improvvisamente ricominciano a sanguinare. L'altro che ti interpella allora è da accogliere perché c'è, perché è persona, perché è dono ricevuto in quel momento. Qualche cosa del genere ricordo per l'accoglienza della mamma, difficile, dolorosa, ma anche ricca della riscoperta di mio marito, sostegno e forza, presenza viva del Signore nella mia vita, perché capace di accogliermi. E' in quei momenti che ho sperimentato la mia insufficienza, la sana scoperta che io non sono risposta al bisogno di nessuno, ma che posso essere con l'altro, come Gesù è con me, non per togliermi il dolore, ma per portarlo insieme a me.


C'È UNA PRESENZA CHE MI AMA ED È PER IL BENE MIO, NOSTRO, DI TUTTA LA FAMIGLIA, DEI MIEI AMICI E DI OGNI PERSONA CHE INCONTRO

Finalmente è arrivata la bambina che ci è stata affidata, preparata dal cammino di accoglienza precedente, con i suoi problemi e la sua storia. Non è stato facile, ha voluto dire rimettersi in questione, lavorare seriamente su di noi, coinvolgendoci tutti, non solo io e mio marito, ma anche i nostri figli, e la mamma che era ancora con noi. E allora che abbiamo scoperto pienamente che per accogliere bisogna imparare a chiedere, a tutti, vicini, amici, per portare insieme i pesi gli uni degli altri. La piccola è così cosciente di questa appartenenza reciproca che spesso mi dice: "Se voi non potete tenermi, una volta, posso andare anche da questa o da quell'altra famiglia." Da soli non saremmo riusciti a sostenere la domanda continua e insistente della bimba in affidamento, la sua richiesta di essere accolta per quello che era, con la sua storia, il suo dolore, la sua paura di essere di nuovo sola. In un'esperienza di accoglienza non ci sono più sicurezze, non più schemi, né piani, ma il continuo rimettersi dì fronte all'altro per incontrarlo. Dentro questo cammino c'è tuttavia l'instancabile azione di Dio, il suo farsi accanto a te, alla tua famiglia, negli altri, nelle circostanze, nell'amicizia, nella fraternità condivisa.

CONCLUSIONE
Potrebbe sembrare che accogliere significhi legarsi, condizionare la propria vita, costringersi dentro il dono obbligatorio. Invece è un'esperienza di libertà, di passione, di certezza che non siamo noi a salvare nessuno, ma che un'altro ha salvato noi e il mondo intero. Accogliere quindi è solo aderire ad un già dato, ad un già scritto nella storia e nel vissuto di ciascuno. Significa fare memoria, ricordare ciò che siamo, in quella dignità di persone che sono tali quando accolgono l'altro che ti viene incontro nella vita per quel dono che è per te. Per questo l'accoglienza è il segno della speranza, perché è fondata non sui nostri sforzi personali, ma sull'incontro con Uno che ha già fatto la stessa strada per accoglierci.