La festa
del Beato si celebra a Riva, come detto, il 27 gennaio (nel 1999, la festa esterna
sarà la domenica 31 gennaio) 24.25.26 gennaio un triduo in preparazione
della festa. "Dopo Riva la parrocchia in cui più profonda è
la devozione al Beato Manfredo è Meride. I Meridesi da tempo immemorabile
si recano in processione ogni anno al Lunedì di Pentecoste sul S. Giorgio
in onore del Beato; il 27 Gennaio lo festeggiano colla Messa e coi Vesperi cantati,
nonché recandosi in processione ad una vecchia Cappelletta." Queste
parole venivano scritte nel 1917 e la tradizione è molto viva ancora
ai nostri giorni. II culto del beato Manfredo fu sempre apportatore di grazie
e benefici sia spirituali che materiali. "La tradizione orale e alcuni
scritti ci hanno tramandato alcune di queste cose meravigliose: dell'orzo maturato
pochi giorni dopo la seminagione nella frazione di Albio (territorio di Riva),
in un campo denominato appunto perciò tuttora "campo del Beato"
e che è proprietà della chiesa di Riva; dei pani moltiplicati
in un forno di quella frazione: operati, l'uno e l'altro, questi miracoli dal
Beato ancor vivente in favore di quei miserabili coloni; di ammalati (storpi,
emoroisse, ecc.) che rivoltisi all'intercessione del Beato Manfredo, ottennero
in modo meraviglioso la guarigione; di individui posti in pericoli gravissimi,
da cui furono liberati ricorrendo al nostro Servo di Dio." Per concludere
vogliamo fare un accenno alla questione della legittimità del culto pubblico
del beato Manfredo, trattato dall'autore del testo dal quale abbiamo attinto
le nostre notizie. "II dubbio sulla sua legittimità può sorgere,
e in alcuni semi informati sulla dottrina della Chiesa è sorto, da non
essere il nostro beato in possesso di un formale Decreto o sentenza di Beatificazione
(...) quando è risaputo che, dal tempo di Urbano VIII specialmete, è
proibito render atti di culto pubblico a persone defunte in fama di santità,
ma non canonizzate o dichiarate Beate dalla Sede Apostolica." 3)
"Tutto ciò è vero: ma è pur vero che Urbano VIII non
volle che fosse generalissima e senza eccezione alcuna quella proibizione."
Così dichiara Urbano VIII nel Decreto del 13 marzo 1625: "(...)
colle sopraddette disposizioni (interdicenti cioè il culto pubblico ai
non Beatificati o Canonizzati formalmente dalla S. Sede) non vuole né
intende in alcunché pregiudicare coloro che godono di culto pubblico
o per comune consenso della Chiesa, o per corso immemorabile di tempo, o per
gli scritti dei Padri e di uomini Santi, o da lunghissimo tempo sapendo e tollerandolo
la Sede Apostolica o l'Ordinario." E queste sembrano proprio le eccezioni
da attribuire al caso del nostro beato. Queste ultime riflessioni ci permettono
di ricollegarci agli spunti accennati nell'introduzione e che trovate nei riquadri.
1) Davide Sesti, arciprete vicario foraneo di Riva S. Vitale, "il culto
pubblico
al 8. Manfredo Settala Studio storico critico", Mendrisio 1917
2) È del genere di quelle `sequenze' con le quali, dall'anno Mille fino al Rinascimento, i conventi, i capitoli, ecc. davano maggior splendore ai loro patroni nella ricorrenza delle feste. Ma essendo queste composizioni poco raffinate quanto a sintassi, grammatica e metrica, furono, a quanto pare anche per questo motivo, quasi tutte abolite nella riforma posttridentina ad eccezione di cinque: il "Victimae Paschali", il "Lauda Sfon", il "Veni Sancte Spíritus", lo "Stabat Mater" e il "Dies Irae".
3) Ricordiamo
che solo a partire dal secolo XI le canonizzazioni divennero papali, mentre
in precedenza esse avvenivano a furor di popolo e in seguito il vescovo le regolamentava.
Un giornalìsta scriveva qualche mese fa su un nostro quotidiano, a proposito di madre Teresa di Calcutta, che se anche per lei si adottassero le procedure antiche, sarebbe già stata proclamata santa. Faceva poi tutta una serie di considerazioni sulla questione della pratica eroica delle virtù: ma cosa sono poi le virtù? ... E la Chiesa, non manca forse di fede o di fiducia se ritiene necessario un processo per dichiarare un santo? Non basta tutta una vita che parla? Non si rischia di vivisezionare questa vita e perdere di vista il nocciolo della questione? Ma, appunto, qual è il nocciolo della questione? Mi è sembrato che l'accento fosse messo sulla persona in sé, sul suo fare, piuttosto che sul segno che questa persona può essere. E allora mi è venuto in mente quel proverbio (cinese?) che dice: "Quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito." Mi è venuto in mente perché era come se l'articolista ci dicesse: "Guardate il dito!". Invece il santo è lì a indicarci, con la sua vita, la "luna". O meglio ... il "sole", il senso della sua e nostra vita. Mi occupo di santi e di beati da quando mi sono imbattuta in ritratti di santi che mi hanno dato soddisfazione e mi hanno fatto essere grata di appartenere all'esperienza della Chiesa, in compagnia di tutte quelle persone, di ogni ceto, età e provenienza, che hanno saputo e sanno vivere la loro vita come segno di qualcosa di più grande. Certo, poi ci sono le virtù eroiche e quant'altro, ma non come sforzo di coerenza morale, bensì come conseguenza dell'aver riconosciuto la forza dell'incontro con il Dio fatto uomo, presente realmente nel tempo e che riempie di senso il nostro quotidiano. Ho riscoperto tutte queste donne e uomini in carne ed ossa, dai più conosciuti ai meno appariscenti e ho desiderato che potessero essere persone da guardare anche per altri. E così, ogni due mesi, scrivo di santi e di beati su questa rivista. E più ne conosco, come si conosce un amico, uno che ci sta vicino, che ci accompagna, più capisco che i santi sono santi non perché sono stati bravissimi (come si rischiava di dedurre dall'articolo citato), ma perché hanno saputo esprimere con la loro vita la capacità di affidarsi, di seguire e di riconoscere di essere fatti da Dio. II resto è "solo" conseguenza. Se Madre Teresa potrà essere dichiarata santa, non lo sarà e non scandalizzatevi! prima di tutto per la montagna di bene che ha fatto, ma per il motivo per cui l'ha fatto "Per Qualcuno", come diceva lei e per come ha saputo indicarlo anche a noi. |
Vi
è una accezione della parola santità la quale si rifà
ad una immagine di eccezionale che una aureola esprime. Eppure il santo
non è né un mestiere di pochi, né un pezzo da museo.
La santità va vista in ogni tempo come la stoffa della vita cristiana.
(
) il santo non è un superuomo, il santo è un uomo
vero. Il santo è un vero uomo perché aderisce a Dio e quindi
all'ideale per cui è stato costruito il suo cuore, e di cui è
costituito il suo destino. (
). Eticamente tutto ciò significa
"fare la volontà di Dio" dentro una umanità che
rimane tale eppure diventa diversa. ( ) il vero significato di santo nella tradizione cristiana originale è quello di colui che riconosce "la venuta nella carne" del Figlio di Dio, colui che è stato coinvolto nella Alleanza Nuova ed Eterna, e vive in responsabilità, "rispondendo" ad essa. È infatti all'interno di questa amicizia consapevole, di questo coinvolgimento esistenziale con la Presenza, la compagnia di Dio, che l'uomo acquista una personalità nuova: la personalità essendo determinata dal significato ultimo che l'io riconosce e dalla realizzata tensione nel perseguirlo. ( ) La santità risulta così esperienza di vera nuova radice culturale. Nel rapporto con il mistero della persona di Cristo s'accende, si svolge e si esalta una percezione di sé, della umanità, delle cose, degli avvenimenti, che tende, in modo più implicito o più consapevole, ma sempre appassionatamente, ad una valutazione e ad una concezione critica e sistematica, organica del reale. ( ) il vero problema della santità cristiana non è la scelta di un atteggiamento da avere nel mondo, ma il riconoscimento di Qualcosa che è accaduto e che ci si è donato, e ci muta giorno per giorno l'atteggiamenti, il volto. (L.Giussani, "Alla ricerca del volto umano", Ed.Rizzoli 1995, pagg. 163 ss) |